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LUCREZIO
TRADOTTO
D A
ALESSANDRO MARCHETTI
CON FEDRO.
TOMO SECONDO.
V INEZIA MDCCXCyiI.
PRESSO ANTONIO ZATTA QU; GIACOMO
Cut jMtnxjt i$' SHftritri, e Iriviltgit .
piangono a poto à pàeo
Vmìì Rométn» sftto varif formo
Hol ?MrnMso d' ItMRà ^' eoroMf loco.
A. R.
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INDICE
DEL LIBICO {QUINTO,
Huilli, che crédono] ' thi Ia terra y il tnMn ^
il cielo y la luna , il sole , e le altre par* ' '*'
ti del mondo siano mortali y non eredir$ ,
I che gli Dei siano mortali i fosche tali cos§
%on sono Dei . . tf
te furti del m^ndo non foter essere sedi de*
gli Dei. gè
21 mondo non essere [stato dsglì Voi ereaàà
per gli uomini, ivi,'
Che il mondo sia #4/# , e (he sia per mori^
re, ài
VI
2n qual modo tutti gli elementi 9 e le steU
U furono a pr^ncifh generati da,* primi
corpi . ' 2s
Del moto delle stelle . 5 a
Fff qut^l cagione là terra esser possa nel
m$zzo del mondo y non discénda più
basso . 3 1
Jl sole , la luna y e le altre stelle esser di
quella grandezza y che ci pajono, bB
Ver qual ragione , benché il sole sia mol-
to picciolo , maniii pero tanto gran lu-
Per qual ragione la luna adempisca i
eorsi annui del sole in spazj mensuali:
e per qual ragione il sole talora possa
avvicinarsi a noi , talora da noi alien"
tonarsi. ss
Ter qmal ragione si faccia notte > e rinasca
la luce . '57
Cerche a vicenda siano ^ era pik brevi 9 ora
piié lunghi i giorni y e le notti, 3^
Perchè in diversa maniera il Ueme della Ite»
na cresca , e decresca . 4^
Del difetto del sole , e della luna . 4'
Tutte le cose inferiori , /* erbe , gli alberi ,
e gli animali essere stati primd generati
dalla terra. 44
Mssere suti eriéUi dslU iena netnti mè]^
ti nfostri y li qUMli ^ ^oi^ poterono trt»
scoro : od ossoro foriti molti gonori ^'
animali . 4,^
Ncn ossor mai stati , ni poter ossero co»*
tauri y scilloy ed altri mostri di tal tta^
. tura, 4^
ta vita de* primi uomini ossero stili a a pri-
mo asprissima , ed ingrata di tutto lo
coso ^ ma poi esser divenuta à foco a pPco
pih mollo . si
ìao sto ha Hatura avere spresso dagli uo*
mini il parlare : ni doversi erodere »
eh* alcuno abbia imposto i nomi alle cose ,
• gli abbia poscia insognati a gli al-
tri, /7
V invenzione , # V uso del foco . ' dx
Aver prima gli uemini fabbricato le citiÀ,
divise lo coso sotto il governo do i
re \ poscia essersi Astretti a i vincoli
delle leggi 62
Qual motivo abbia prima insinuato no^
gli animi degli uomini V opinion degli
Dei. , óf
in qual modo siasi prima trovato l* oro ,
/' argento , il bronx,o , il piombo , il fef^
t&y e r uso loto, C^
TI
Conie siansi m pòe0 é p"$ec hifenidià 'mòtti
Mltrt eosi 4d uso della guerra» e eomi
siano a poco a poco per gradi arrivate ad
un termine cos) avffnx^to tutte l'altre eOm
90 i e le atti: J2
YH
LIBRO SESTO
Tiel Tuono. SJ
Vel folgore, '^f
VelU nuturA , mobilita , e ffrzi del fulmi-
»*. P-f
iPerche nelV autunno^ e nelU primavertt si
generino molti fulmini. 7o>
V over si ricercare con rMgibni U natura de*
fulminìi e non doversi temerariamente ri"
ferire agli Dei. ZQl
Qual sia la causa de* Vresterii o sian fuochi
celesti, mqG
Delle Nubi. 107
Delle yiogge ^ 109
Dell* Arcobaleno . 11'
Del Terremoto . i'^
Verche il mare non divenga maggiore per
V afftuenxM di tante acque. sis
De i Fuochi d'Etna. '^7
Dell* inondazione del Nilo . 121
De* luoghi averniy e d*^lcuni altri MVVirsi -^
agli augelli f $ quadrupedi. i^t
vm
Tirchi mlVittém V sejM sìm f^ fridds 91*
fozzi'. zzi
Pérebe il fonte , eh'ì frisse mI Tempio i*
Amment > sta freddo di giorno > e caldo di
motte , ivi.
lereVé avvicinata la stoppa ^ ovvero $ma ffh
cella ad an certo freddo fonte , e* acce»'
da. zBo
Perche il fioro venga tratto dalla CaUmt-
ta. i3<^
D* onde à crei la peste • 141
^tUa peste degli jiteniesi. t^^s
DI TITO
LUCREZIO CARO
DEIXA NATUR^rDELLE COSSt
L>iHi m darà b voce» e le patofc
CaAv^wti a à nobil toggecco ^
Chi Tali al vefso impennerammi io gaif%
I eh' ti giunga $h mesco di colili» dbe tali
■ Premj ^quiacaù «ci*l iva raro* iogegii<»
Pria n^ la«ci4» lol pei bctsrKfte appisnoi »
Nesstia cxed'io., che di c»duco e frakt
Corpo formato sia. Poiché. sft punk
Dir debb*io ciò eh* io scoto > e ckft.dtl nro
La venccfinèi niAcatà ricJMcde,
Fa Dt(»> Dio fij. p«c certo > inclito Menualo «
Qael, cht^ primo insega del vt«e( noais^
La regola ÌQfiiiUil|yc> e La dritta
Noron» che Saféema or diUma il moid»;
£ che kot a si. t(wlttde pmoatts
di Tù$Lutf. Cmtù T. i/. A
/
4 01 JlTO LUCJUZIO LlBs V.
P^r le selve profonde , e pe*;gran monti i
Luòghi y che io scinYargli è in poter nostro
Ma se i' alena non è purgata e monda
Dalle fallaci opinion del volgo ,
Venti cootrat) alUi tranquilla rita».
Qaai guerre alloe > mal nostro grado » e c[ui
Ne s* appxestan perigli ? £ quai pungenti
Cure stracciano il petto a chi non frena
Gli sfrenati appetiti ? £ quante , e quali
Ne tormentano il cor vane paure»
Che sorgon quindi? £ quali stragi e ^aati
Generan la superbia» e Tafrogansa,
L'odio 9 la fraude» là sozzura» il lusso »
La gola, il sonno» e 1* oziose piume ^
Dunque colui» che debellò primiero
Tali, e tante sciagure» e via cacciòlla
Lungi da' nostri petti» e non con Tarmi, .
Ma pus co'l Senna» un signnd'uómo adai
CoBvefievol non Sa» che tra' celesti
Numi t* ascriva» e che per Dio s' adori ?
Massime nvendo de medesmi Dei
Scritto divinamente » e delle cose
Tuttt fvelata a noi l'occulta essenza i
Di cuinitntr'io le sacre orme calcando
Seguo Ip stile incominciato» e mostro
Nelle parole mie 9 con qoai legami
D'amicizia , e d* tmoc tutte le cose
i>i f ITA luciiui^ Ltii. y. i
Create sian dalla tiatura > e (|ttanto
Star flt debbiano avvinte , e come iódatiio
Procuraa di ^ifar dei tempo edace
I decreti immutabifi ed eterni f
Qua! deli* animo am'an prioeipalmente
Già li provò , che di natia lostanza
Creata e la natura > e cbe tìoa puoce
Étcrnalìiente conservarsi intatta 9
Ma the spesso ingannar loglioa gli Ipettri
Le menti di cfat dotilìe > ttlor the paté
Veder chi «lotte ih cenett converse s
Nei resta il pt'eso metodo tDfl tira
A doverti insegnar > che di menale
Corpo e il mondo > e tfacivo , ed in filai modi
n concorso degli atomi fondasse
la terrai il cielo, il mar, le s^lle, «1 sole,
£ il ^lobo deila lana , e ^aai viventi
Nascati dai grembo deiranti&a madre,
£ quali anco all'incontra in alcun tempo
Nascer giammai àoa pomio , e come gii tfotiini
Variando^ favèlta iacòRiinciassero
l' un 1* altro iosieme a aynversaf pei meoteo
t>e'nom\ ét\Ìt <tost, e com' entrasse
li timor degfi' Dèi ne' petti nostri ,
Che sol quaggiù ^si beate t saflce
Custodisce le sélve > i lagki , i templi
Sairri a' Nomi immonali> e k'^iie , e gf idoli .
€ DI Tiro LiJ[C&£zio Lia.y.
Del sole inoltfc, e della luna il corso
Dirotti > code proceda , e con ^ual forza
Natura i moti loc tempri e governi ;
Acciò tu forse non credessi , o Meihmio ,
Che tai cose per se libere e scio! ce
Vadano ognor per lo^gran vano errando
Spontaneamente infra la terra» e il cielo
Per dar vita alle piante» al grano, all' <
A gli uomini , alle fere ; e non pensassi
Che nulla mai ne si raggiri incorno
Per opra degli Pei . Poiché quantunque
Già sappia alcun > che imperrurbabil sem
£ tranquilla e sicura i santi. Numi
Menan l'etade in ciel; se nondimeno
Meraviglia jc .stupor T animo intanto
or ingombra , onde ciò sia » che possan
Genraarsi le cose > e specialmente
Quelle» che sopra il capo altri vagheggi
Ne* gran campi dell* Etra» ei nell' antiche
Religion cade di novo, e piglia
Per se stesso a se stesso aspri tiranni >
Che il miser crede onnipotenti: ignaro
Di ciò che puote » e che non puore al f
Prodursi i e come finalment9e il tutto
Ma poter limitato, e termin cerco.
Nel resto» acciò eh* io noq ti tenga a bad
Più fra taate proisesse ^ or via contemp
DI Tito Luciuzio Li». V. 7
Primieramente il .mar> la certa, e 11 cielo.
La loro essenza triplicata > i loro
Tre corpi , o Memmio , tre si yarie forme y
Tre si fatte testure un giorno solo
Dissolverai ne se mill'anni, e nille
Si resse eterea, durerà, ma tutta
La gran macchina eccelsa. al fin cadrà.
l so .ben io, quanto impensata e nova
Cosa , e stupenda é per parerti , o Memmio >
La furarsi del mondo aita mina i
E quanto il ciò provar con argumenti
Sia difficile impresa: appunto come
Succede, allor che inusitate e strane.
Cose apporti all'orecchie , che negato
T'é non per tanto il sottoporle al senso
. Degli occhi , e delle mani, onde munita
S'apre, il varco la fede, e può sicure
Del cor guidarle, e della mente al tempio.
Ma io pur la dirò: forse a* miei detti . .
Per se medesmo intera fede il fatto
Sforteratti a prestare forse vedrai
L* ampia terra agitata orribilmente
Squassars'in breve, e dissiparsi il tttto;
Il che luDgt da noi volga fortuna,
£ piuttosto iì mio dir , che il fatto stato
N* induca a confessar , che" debbe al fine
Dagli vii deiretà percosso e vinto
A4
<
CMi orrendo fragor oadeit tI ^ttKmte •
Del che pria eh' io gli oraceli focaci
'M»dà « ayete moke pia Nàtiti e ttvA
Dì quei , <ÌC 'è hm^ , che dd «acro Udito
DI FebH) « dalle Pitie timpie coitine
Uscisser gii» se tìo'i ricbsi > io Vo^ìè
Porgerci 'n brevi si, ina t>br6 «aggi
Detti U9 lungo conforto; accioicché fólEie
Dalla Religioh eeiiutò a frenò
A creder no ti dia , che il cielo, e M itoare.
La luba) il sole, il tertieti gloho> « tutte
L'auree srelle TagAtiti, e gli àslti-^tadbilì
Abbian corpo immortal safnco e idiviiM it
£ che giusto però sta , che eok)io ,
Che ^1 mondo atterrar he mura eccelse
Co' gli argomenti lor bramano, e tanti»
Osan, che fin d'ApoSlo i rai lucenti
SftMtaar yorriarto , ed oscurar notane
Con motta! lingua gì' Imànortali e Divi »
Qiial noti ai ciel nemici empj Giganti >
Del temerarie ardir paghino il fio .
Ma radao por si fotte cose in batfdo
Dalla divina Maestà si lungi,
£ si scinfki si vili-» e tanto Indeglrts
D'ener àscAritte Jh£ra gli etemi Dti,
Che piuttowo dagli uomini credaCé
.&m di «010 TfCil iprite i tèi ifM^.
PoscJKthé ragiònfct^lr^jfr certo
Non teoifera l'ifièrmUìr) the dtìh ttebiJÉ
La natura » t «I consiglio ttbir ti ftìssà
A ^aaloBqoè totcUfias in qMU stttsM
Guisa > che pef lo elei naiete ilt [HaAtt
Non'ponbo» o dfftcìte «1 mar torgf» le nubi»
Ké spirto', e. rhtL krtì: He'diinpi 1 ]p^€Ì>
Né Sa legno spitclat ttfkào «angue 9
Né tnai locco «tillàt ^a ^itti^ alp(bt ^
Certo , ed accokieio è per nàtala it hiogift ,
0?e crcfcan Je cose, ove abbUn Tita.
Cosi dujnqae pet le l'àltfia , e 4a^ metite
Senza còrpo gianìlkai nàscer Wóa pitore:
Ne dal sangue Vagar lungi, e da- netti ,
Poiché se ciò potesse, «Ha potrebbe
Molto ]^ fkcilmeiìtè ò àella testa
Vifere , o nelle spalle , o nte* calcagni ,
£ nascee anche in qBalsiroglia parte
Del corpòi e finafmente abitar sempit
Neirùbìik> stesso , e Wiri)it;psso alb(?r|o.
Onde , poiché p^fisto i còrpi nostri
Han da iatura , ed ofdinati^ii iaogò.
Ove difitlntamentè è nasca, è cresca
La natura éeH' animò, e dell' aniiàa^
Tante mcà 'ragtonerofe ìittmafti
Dcty ch'ella j^Mla- separava aflfatcé
Dal còtgò, e di«a fbWfc d' tòiiknd^;
IO ìfi Turo Lveuzió Lis* V.l
Nascer giammai, ne mamenersi : in ▼itif "2
O del 9oi nelle fiamme, o della terra
Nelle putride aoUe; ò ne* sublimi
Campi deirbcrai o net |iir9^foodo\bi$so
Del mar . Dan<}ue . se d* anima » è di tìul
Son prive affatto cfneste cose > or come
Goder ppnno immortai seaso^ e dÌTÌno>
Né men creder si dee, che io alcun luogo
Del mondo aver possan gli Dei. le sante
Lor sedi $ conciossiadiè la sottile
Forma de* Numi eterni è sì remota
Da tutti i nostri sensi , ebe la sola
Mente v'aggiunge co'l pepsiero appena:
£ perck* ella ogni tatto, ogni percossa
Schiva dell' altrui man , toccar non dee
Nulla, che al catto altrui sia sottoposto;
Che chi. tocco non è , toccar lion puoter
Sicché d*uopo fia pur, che assai di£S>rmi
Sian dalle nostre d'egli Dei le sedi,
£ tenui , e aVcorpi lor simili 'n tutta s
Siccome altrove io pro^ecotti a lungo .
21 dir poi, che gli Dei per util nostro
Vollero il mondo fabbricare, e ch'egli
Com*opra commendabile e divina
Da noi per ciò dee commendarsi e credersi
Eterno, ed immortale, e eh* empio e folle
Quinci sia chi presuma, o ìq. fatti > o in de
w Tito J.uc&izio {.ts. V^ li
Dal sue seggio sturbarlo, e fi» dall'imo
Scuoterlo , e volger sottosopra il tutto :
Il finger, dico» queste cose^ ed altre
Moire a lor somrglianti, é> s*io noo erco>
Un'espressa pazzia. Poiché \ual utile
Puà mai la nostra grazia a gì' immortali j
£ beati apportar , che a mover gli abbia
Ad Oprar cos' alcuna a prò degli uomini?
£ qua! mai novità tanto allettargli
Poteo , che dopo una sì lunga quiete
Da lor goduta per l'rnnanù» il primo .
Sraco bramasser di cangiare in meglio? .
Conciossiaché piacer le cose nuove
Debbon solo a colui» che dall* antiche
Ha qualche danno . Ma chi visse innanzi
Sempre lieto t contento» e mai soggetto
A travagli non fu , come ? e da cui ?
Quando? e perché d*una tal brama acceso
Esser poteo ? Forse , mi credo , allora
In tenebre la vita, ed in tristezza
Giacque, in fio che la prima delle cose
Origine rifluì se . £ quale avrebbe
Dato all'ttom oocumenro H mai non ess^
Uscito a respirar i* aure vitali ?
Posclaché bea conviensi a ognun i che na^ce
Il procurar di. conservarsi *a vita» .
Finché gioje cd^etti iotbtiaA 1' aliB^i
iX Bl YlT^ tfJClt»«IO t*t. V.'
Ma chi ma! noti pt^d (!«1 vittt ftòstKi
L'amor, n^ fu del nameròy ^al danno
Del non esser creato imquk «ver piiott^
In oltre onde impiantate a* Nomi ècetni
fur r idee, far gli e^enipj , ond*essì*n ptimtf
Tolser ciò che d'oprare cbHxt talento?
£ come un^ua saper de* primi còrpi
Potetter l'energia? coinè Tedere»
Quanto essi in variando otdine e $!ta
Fosse r atti a ^odur , st dalla stessa
Natura co'l produr, ior non fb dato
Vero indizio di ciò? Poiché in tal gufisi
Fur delle cose molti semf in molti
Modi percossi eternamente e spinti s
£ da' propr} lor pesi ebbero in torte
D'esser cacciati e trasportati in Tarìer
Parti dcH'imiferfo , ed accozzani
Fra loro in ogni guisa , e di tentare
Tutto ciò che formar poteano, in mbdo^
Che per Ido^' ammirabile additarsi
Non dee, se in tai di)positui« al fine
Caddero, e in tali Vie, quali or bastanti
tem> a ptoddt rìnòreHando il tatto .
Ohe se pur delle cose i|;non afiaho
"Mi fosseto i principe > io non {trtascò
Ardirei rafletfoiar sicttrtmtate
Ptor ifidMft t mìtt canlb ^ t pdr gl'istts^i
1^9 Tao IfìCKiuorl^v^ V. i|
Movimenti del citi » tsJifi 1* mÙTerto ,
eh' è caoto 4i{etc«is#» cssci hqq puete
Per atil Ao^cr^ ékgìi Dei ciotto.
£ pila» qivmco dot ciel. copte, e ctrcodU
La Toliibiie forza > JùudÀ in graa pa(c«
£ da noDii eccufiaio^ e. da. ix>soagUf i
Nidi di fiere» « d'.axttaui ^Waggi» .
£ da capi crascese > e da paludi
Vaste iogombcata, e. da pfofondi abmt , .
Di «ar, che iargameiuc. apre, o diigia!9g9
I confia della terra. Iad;i Vaidenta
Zona» e la fredda V miseri mortali
Tolte haQ^itait due parU. Qr^ueU duiIBSta,
Di spine» e teoaelii» e triboli caperci»
Già fora» se deiruom flou 1* impedisse
L* industria a: geaei pc£ la visa arvespia .
CoD gagliardo bidenie» e.ooB adtiaeo
Aratro a lendfie della terra ik dors^.
Che se iralgeado k feconde aoUo
Co *1 Tomere sossopsa^.c il suolo acaa4p
£ertll aon si rei»desae> il gran» b biaie
Mai. pei: se OSMI potiiafio all'aure «aoIU
Sorgere: fl Boodimea.eoiche soTeoca
Con tratagUo; e fatica « aiior che I4t(i
Già di famè|> t di fisv a'orna^a t eaai|it
O da' tal trappo xaUB.. arsa, del aala
Sona , o da piioggia i fft i Mina «ffCfMfra
14 DI Tiro lucABzro tiii. V/
O da gelida brina intempcstira
Anctse , o* dal soffiar d' Austro > e di Cord
Con urto impetuoso a terra sparse.
In oltre» ed a qoal £a nutre, e fecónda
. Natura delle belve in mare» e in terra
li germe orrendo all'uman germe infesto ^
£ perchè le stagion Tarie dell' anno
N* adducon canti morbi ì E perché vaga
Immatura la morte ? Arrogi a questo»
ette un misero fanciul i ^nasi dall' onde
Vomitato nocfthier» nudo» ed infante
Giace su 'I terren dura» e d' ogni^ ajuro
Vitale ha d'uopo, allora che a* rai del giornor
Fuor dell'alvo materno esponk» ìa prima
Con acerbo dolor Natura;' e i( tutto
Di fugubri vagiti empie» e di pianto:'
Quale appunto conviensi a chi pel breve
Corso di nostra vita esser dee segno
Ad ogni strat delle sventure umane.
Ma )ittfcono all'incontro armenti , e greggi y
E ftrt d'ogni sorte , e non han d'uopo
Di cembali y di tresche , e di nutrice >
Che con dolce e piacevole loquela
^«nza punto staaearsr in varj.modi
^j gli alletti^ e gli iuiingfar ;
"Se vaiio è il tempo» e il ccelo',
iWKi. finalmcBce
9t Tito Locftl^io Uè. V. iS
Npn Iiaii d* armi mestier > non, d* alte mura»
Con le quat se medesmi > e ior sostanze
Guardin; mentre per se porge faconda '
* Largamente . la terra , e delle cose
La Dedalea Natura il tutto a, tutti.
Pria, perchè il terren.duro, e 1' acqme moliti
Deirtùre i lievi spirti > e- il vapor caldo»
Dalla cui- mistipn sembra, che il tutto
Si fòrmi > ad un ad un nativo il corpo
Hanno , e mortai creder si dee , che il mondo
Sia tutto anch' ei d^l la natura stessa:
Poiché qualunque cosa ad una ad una
Ì.e sue parti ha native, ed e di forme
Caduche , esser, da noi sempre si vede
Natia non pur , ma sottoposta a morte i
Onde reggendo noi le principali
Membra del mondo riprodursi estinte ,
Quindi lice imparar , che in somigliante .
Guisa il cirio , e la terra ebbero il prloio
Gìotoo » e che a tempo .suo 1' estremo avranno «
M qui vorrei , che tu credessi , o Memmio >
Ch'io fin or corruttibUe supposu
Abbia^ fuor, di ragion lajcerra, e il foco,-
£ r aure aeree > e il mar profondo.) e detto ^
Che questi stessi .corpi anche di novo
Si lìgeoeran tutti, e si fan grandi;
Pritt, perchè parse dfUa terra adusu
jS 91 'nto £oeiit2t» LlB V. !
• ì
Dal^ fof oootlnao , o t»:i colata e inftihtft j
Da 11« fensa dei* pie > tbmsL di pòÌTe> i
Nebbie, e oubi /foUnti'^ che per mt«Q
L'aer da'v«titi soa disperae e apatie:
Parte aoeor dtfile glebe a lorza é datt '
Dalle piofrgv aihi piena» e tase e rose
San da* fiumi le rive aacb'esse ia parte.
Io oltre > sminuito è dai suo canto
Ciò eh* altri nutre: e perchè dobbi» alcao^ ^
Mon T'hajchc sia madre del rutto, ed< ama ;
Anche ^ e avpbicto uoirertal del tutto >
Rosa è dunque k terra »^ si rìntègra.
Nel resto, che i torrenti, t fiumi, e ii tn%xt
Abbondin sempf« d'umor noro, e aenspr»
Stiilifl chiaro liquor le vive fonti ,
Mescier non ha d'alcuna prova: appietté
Certanoente il dimostra ti lunga corso
Dell'acque. 1 pria, ciò clia dall' acque in aitò
Ergesi, e brevemente, opta, che nvlla
Cresca il liquido amor piò' che non de^tt
Parte, perche da' venti ^ alioi ch« irati
- Volgon soisopra il mar» per Faure è ^axso»
E dal sai dissipacoi e pane aiocora»
FercVegti a tatt'i sotterranei chiostri
- Yieo largamente compartito i e faivi
Lascia il saUif^ veleno, e di novo^ aneht
Sorge in piò luoghi >t mxq ii fift.s'aduia
1^
in T<^a Incitano I*ib. V. 17
De* fittili al OfOy e la bella schiera» e dolce
Scorre «^ra il terren per quella stessa
VÌA> che per se medescna aprirsi 'n prima
Foceo <;o.'l molle pie Tonda stillaate.
Pr dell* aria dich'io, che in tatto il corpo
looumerabilmente ognor si muta:
Boiché ciò che dai mare , e dalle cose
. Terrestri esala » entro il profiondo , e vasto
Pelago aereo se ne vola, è tatto
si cangia in aria . Or se da questa i corpi
Noo fossero ali' incoqtro alle spiranti
Cose restituiti 1 il tutto ornai
Saria disfatto» e trasmuuto in aere.
Dopqae r aer giammai dr generarsi
D'altre cose non cessa > e in altre cose
Giornalmente corromperai. Che rotte
Mancar > già noto e manifesto è a tutti.
Ma de* liquidi raggi il largo JPonre
Di recente candor . mai i^mpre irriga
Le stellc>.e l'Etra, e.. gli elementi, e ratto
Ministra al elei con novo lume lì lume :
Poiché ciò che di lume ,. ovunque il vibri >
£i pecda^ iodi imparar perfettamente
Si può d^ noi , che non si tosto al sole.
Veggiam le nubi soctentrare , e tutti
Quasi interromp^t di sua loce i rai , , .
Che recente di. 1q<;., svanisce af&ttq
HThàLHer.CìiriT.iu B
tS m Tito Ivckezio Lia. V«
l' infima pdrte ^ e il terrea globo adombrui >
OTunc[tie i fosdii nembi il volo indriziaao.
Oode conoscer puoi» che sempre il laicto
D'uopo ba di splendor novo»' e che- perisce
Ciò che pria di fulgor sì sparse incorno:
E che per altra via vedersi i corpi
Non potrebbero al sol , s egli '1 principio
D' un perpetuo fulgor non ministrasse .
Anzi i lami terrestri al bujo accesi >
Le pendenti lucerne » e le corusche
Di fumante splendor pingui facel/e
Anch'esse ardendo io cotal guisa «vacciaosi
Di sparger nova luce , ed instan sempre
Di scintillar con tremule iìaroraelle :
Instano , e luoga alcun quasi interrotto
Non lascia il lume lor : con si gran fretta
De' suoi lucidi rai l'alta rulna
Co '1 veloce nacal sostiene il fòco ;
Il sol dunc[ue così » la Juna > e tutte
L'auree immobili stelle, e le vaganti
Creder dei, che per altro ognora , ed altfo
Successivo fiatai vibrino intorno
Il lume» e perdan la primiera fiamma.
D'uopo è pur dunque il confessar» die queste
Cose, eom' altri pensa , esser non.ponno
Di corpo irresolubile» ed eternò.
In somma dall' «cade il bronzo, il marmo
X
in Tiro Lucjts2io Lui. Y. 1 9
Vìnto al fin aoa si mira ? £ 1* aite rocche
Non rovìnaaa a terra ? £ il darò sasso ^
Non è roso>;& marclsce?.£ l'are , e i tempU
Ne' Numi eterai , e i stmoiaerl > e gt' Idoli
Non vacilla» già lassi > .e d'ogo' intorno
Mostrano aperto il travagliato fianco .'
Né può la santa Maestà del Fato
Debellare i coofin > ne fars' incontra
Di natura alle leggL, e violarle.
Al fin non veg^am noi- d'ogni uomo illustre
Ceder 1* alte memorie , ed inTeccbiarsi
s Per snbito accidente? e le robuste.
Selci^ da' monti alpestri anche alle volte
Staccarsi > e rovinar , he d' un finito
Tempo soffirir le smisurate forze ì
Conclossiachè staccarsi , e in già repente
Non potrebber cader, se dell' etade
Fin da tempo infinito ogni ureo.» ogo* impeto
Privi d'ogni fragpr sofferto avessero •
Al fin mira oggimai ciò che d'intorno
N* è sopra > « il terren globo abbraccia e sttiogei
£ com' altri han creduto > eternamente
Sol di se pasce, e in se riceve il tutto.
Tutto è nativo, e di mortai sostanza .. '
Formato : conciossiàchè ciò che -nutre •
Di se le cose> « l' augumefìta , é d'uopo 1
B a
10 DI Tito Lucrezio Lib. V.
Che scemi 5 quando poscia in se ticevcle ;.
È mescicr , che s* accresca , e si lìstauri .
In oltre, se la terra , e li ciel non ebbero
Alcun principio genitale,, e sempre
Perpetui' furo ; e per quaL causa innanzi
Alla guerra Tebana , e d' Ilio al rogo
Non cantaro altre cose altri Poeti? .
Ove di tanti uomini iliuìscri, q tanti
Cadder le gesta gloriose , e come
Non fioriscon anc'oggi in luogo alcuno
Di fama eterna alle memorie Inserte ?
Ma siccome tfim*io, nova è la «omma ■
Del tutto, e noYo il mondo, e inolto innanzi
Non ebbe il nascimento : onde alcunt arti
Inyentansi anche adesso, ed anche adesso
Polisìconsi alcune altre: ^ot molti arnesi
Furo aggiunti alle navi : or messi in uso
I sonori concetti. £ finalmente
Questa scessa cagione, e questa stessa
Natura delle cose, ancorché molto
Sia, che già fu ttoraca, ornai ^el tutto
\ Quasi sepolta in sempiterno obblio;
Pur di fresco è risorta, e viepiiì vaga,
£ più beile , che mai , per le immortali
Opre dei gran Gassendo . onore , e lume
Del bel paese, ove la Senna inonda.
£d io pur or ptincipalmente » io stesso
DI
Tito LucHezÌo Lib. V. ti
Fui trovato fra tanti> ed ebbi in sorte
D'esporla altrui nella materóa lingua
Pria d'ogni altro ToscaQ> come dcttolla
Per entro a' dotti suoi carmi robusti
Pria d'ogni altro Romano il gran Lucrezio
Che se fórse tu credi essere' innanzi
State più volte le medesme cose,
Che al presente ci son * ma che 1' umana
Specie da grave incendio arsa perisse ,
£ ruinasse ogni città s<]^uassau
Dal crudel terremoto, o troppo gonf^
Per pioggia- assidua del natio lor Ietto
Uscissero i torrenti > e d'ogn' intorno
Sommergesser la terra >. ed affogassero
Ogni uòmo, ogni animali tanto più vlhto
Te forza confessar, che debbe al fine
La terra, e il del pur dissiparsi in tutto:
eh' ove da tali , e tanti morbi , e tanti
£ si fatti perigli il mondo fosse
Tentato , ivi eziandio , se causa alcuna .
Più robusta l'urtasse-, alte ruine
Mosrrerla di se stesso, e strage orrenda;
Né per akra cagion d'esser mortali
Pur ne sovvien , se non perché soggetti
Siam tutti a' mali stessi , onde nat^ira
Già tolse ad un ad un gli altri di vita.
h oltre tutto quel, che dura eterno,
fi }
i-X ^DT Tifo LUCREZXO LlB. V,
Conviene, che respìnga ogni percossa
Per esser d'infrangibile sosran2;a ,
Né sofFra mai, che lo penetri alcuna
Cosa , che disunir possa l' interne
Sue parti (qual bella materia appunto
Gli atomi son. , la cui natura innau2Ì
€ià per noi s*c dimostra) o che immortale
Viva; perché dagli urti affatto esente
Sia, come il vuoto, il qual durando iotatto
Mai non soggiace alle' percosse un pelo»
O perché intorno a lui nessuno spazio
Non sia, dove partirsi, e dissiparsi
Possa, come h somma delle somme
Fuor di se i>on ha luogo, ore rifug<^a
Ne corpo, che l'intoppi , o con profonda
piaga, rancida, e però vive eterna.^
Ma né, come insegnammo, esser contesto
Il mondo può d* impenetrabil corpo $
Né misto- è, sempre infra le cose il vuoto ^
Né però, come il vuoto, intatto vive:
Poiché corpi non mancano , che sorci
Dall'infinito, ed agitati a caso
Possan cozzar con violento turbine
Questa somma di cose, ed atterrarla,
O farne io altri modi orrido scempio i
Né del ìttogo 1* essenza , o delio spazio
Profondo 'manca; ove distrarsi, e spargersi
Il^moòdb possa, o petalo yano immensa
Splaco da,(][ualiio)ue alerà esterna forza
fiflaimetue perir. Dunque ialla terra»
i^i mare, al cielo, al sol loai del feretro
Non è chiusa la porta» anzi all'incontro
Sta sempre aperta , e con profonda , e. rasta
Cola minaccia d' 1oghiottir$i '1 tutto.
Sicché d'uopo £a pur, che tu confessi.
Ch'egli ancora è natio ; poiché mortale
Essendo non avrebbe ornai potuto
Schermir d'immensa ^eta gli urti, e la pona ,
Al fin, poiché fra ior redi le membra
Principali del mondo in cosi fatu
Guisa pugnar con empia órribU guerra.
Forza è pur , che tu dica : una battaglia
Si lunga arer dee qualche fine, o quando
Del soie, il foco , o quaiunqu' aUto ardente
Vapor succhiando, e dissipando affatto
U nutritivo umor vittoria avrannet .
Il che ht tutta?ia tentai ma pare
Non han per anco i siioi gran s^Fotzi cfFectts
Tanto i fiumi d'umor vanno all' incontro, i
Compattendp alle cos<^>. e dal pia cupo
Gorgo minacciao d* anhegare il tutto i
In van , posc^hé. i venti , alior che iati
Spauaa soffiando , il mar , scemano in j^tto
L'acquei, e l'eiteifoisot co"^ raggi aqch'egll
« 4
14 Di'Tirb LtjcRWiJo Lii. v:
Le scema in parte, e le dispefde ia' 'aura; ?
£ pria tutte le cose arder confida,
Che possa uoqua i' umor gjaagere al fioie I '
Bramato dell'impresa; in cosi fatta ^
Guisa fan tuttavia con posse uguali
Tra lor cruda battaglia, e di gran cose i
MoYon gran lite i e per finirla , a gara
Opran ogni ior forza, avendo il foco
Vinto una volta e dominato il mondo ,
Come fama ragiona , e *1 1 liquor molle
Regnato nn* altra pe '1 contrario, e tuttp
Sommerso il grembo dell' anqca madre:
Che vinse il foco , e molte cose allora
Ardendo inceneri j eh' Eto , e Plroo ,
Di strada usciti il temerario Auriga
Mal frenati da lui per ogni clima
Della terra , e del ciel trassero a forza ^ .
Ma qtfel , che tutto può , padre e signore
D' ira infiammato allor , con violento
E repentino fulmine gcittollo
Dal cocchio in terra > e il: sol £act6S*in^oiitrd
AI cadente garzon tosto riprese
La grati lampa del mondo, e ricongiunse
I dispersi cavalli, e per l' osato
Calle gli spinse ancor lassi e tremanti .
Quindi reggendo in suo viaggiof il tutto
Pòrse alle ^ose il debito riicoroi ^
x>i Tito Lucrezio Lia. V. if
Qaal «le* Greci Poeti ancicameote
Cantar l'inclite trombe in ciò bugiarde^
Poicliè vincer può il foco, ove più corpi
Della materia sua dall'infinito
Sorci assalgon rumor; quindi o le ^orze
Dal lor contrario rintuzzate > e dome
Caggiono, o dall' ardenti aure abbruciate
Muojon le cose . £ similmente è fama ,
Che UQ tempo anche l'umor fosse a vicenda^
Dominatore 9 allor che i fiumi uscendo
laor dell'alveo natio molte sommersero
Ampie terre, e citti,* ma poi ch'Indietro
Il nemico vigor dall' infinito
Sotto > per qualche causa il pie ritrasse,
¥at le pioggie afFrenate , e in un represso
L'orgojglio> e il corso impetuoso a fiumi.
Ma io come degli 'atomi il concorso
Fondasse il cielo, il terren globo, il mare,
' La luna , t il sol , raccon cerotti , o Memmio ^
Che certo é ben, che i genitali corpi
Ab sagace consiglio, e scaltramente
Non s'allogar per ordine, né certo
Sq^pe nessun di lor, che moti ei desse.
Ma perohd mohi primi semi in molti
Modi fuc già per infinito tempo
Da colpi ionumerabili percossi ,
t da propr) lor pesi ebbero in sone
x^ »1 Tito LucREeio: Li*. V. :
D* esser ' commossi > e craspoicatt ia f arie *
Parti deiruniwso, ed accozzarsi
£ra loro io. ogni gaisa , « di tentare
Tuito ciò che produr poteao congianti »
Quindi avvieo poi, cbe dissipati e sparti
Per lo vano infinito , ed ogni sorte
Di moto, e d'union provando» al fine
Più s* adattano insieme , e non si fi)sto . ,
Adattati si sun, che di gran cose
Divengon semi, ed a produr son atti.
La terra , il mare > gli aoifnali > e il eieio .
Qui aé deli' aareo sol pocea mirarsi
Il cocchio luminoso errar per Talto,
Né stelle , o mare , o cid } oè finalmente
Vedersi ariat, uè terra » o cosa alcuna /
Somigliante alle nostre: indi una certa
Nora tempesta insorse , ed una massa
D* atomi y che svanir fé' dello spazio
Le parti, ed a congioogersi ì prìncipi
Simili incominciaro > e ad apparire
11 mondo, e le sue inembjca» e le sue parti
Disgiungere 9 ordinarle, e d'ogni sorte
Di priflcipj arricchirle., i cui concorsi
Gli spazj , i pesi , le percosse , i moti ,
Le tic, gli (accozzamenti alta discordia
Turbava» e vi mescea risse e battaglie
Per le varie figure^ e per le fora^
SI Tira Lucrezio Lib. V. i^ .
fTortoi; onde* testar «utte in tal guisa
mgiance non potean, né companitsi
>nveneyoli moti. Or questo, o Memmiot
separar 4^1 terren gIolx> il cielo,
far, che d' acque superate abbondi
sgiunro il mare ; e similmente i putì
:hi deli* Etra ardan divìsi anch'essi .
rciachè della letta 1 genitali
rpi , percbVetan gravi , e i* un con 1* afferò
te' in pia modi avviluppati I univansi
nileramefìte, e tìclipìà basso centro - ■
rndean ior sedi, e quanto pid connessi
iieme s'adunar, tànrò pid lungi
tesser quei,. che produrre il mar , le stelle
>veano> il sole, e della luna il corno
icido, e le uìuraglie alte del mondo.
mciossiachè tai còse e dì più lisci
>rpi son fatte, e di p'ui tondi <e piccoli
orni , che la terra ; e quiiidi accade ,
le l'Eira in pria per lo suo raro UKeodo
^tuosamentc, e molte seco
imme traendo sormontò leggiero t
lale appunto vegglam, quando per l'orbe
. rugiada ingemmate il mattatìno
iteo lame del sol d'ostro si tinge, ' '
li stagni, 1 laghi esalar nebbia» e ì fiumi
rrenai, e il terrea molle anche talvoka^
"ti DI Tito Lucrezio Lirf. V^,
famar si mira. Or poi eh' ìq alto ascesi
S'uniscon questi corpi, e in un sol gruppo
Compressi intorno da rabbiosi Tenti
Corrono ad accozzarsi , il eie! sereno
Copron di nubi . In cotal guisa adunque
Il lieve Etere, alìor che per natura
D' ogn' intorno si sparge, in una massa
Sola ridotto circondò se stesso-
Da tutti i lati , e largamente sparso
Per io vano infinito intorno chiuse
Di folta siepe , e d* alte mura il resto.
Della luna, e del sol quindi i principj
Seguir, che ne la terra attribuirsi
Poteò, ne il vasto cicli poiché ne gravi
.Iran si, che depressi, e da'ldr proprj
Pesi spinti all'in già nel basso centro
Fosser atti a seder ; né lievi in guisa ,
Che scorrer per l'altissime campagne
Fotesser; ma ft:a T Etra , e il nostro globo
Ebber tal sito, che girar due corpi
Ponno , e di tutto il mondo esser gran parte :
Qual nell'uomo eziandio lice ad alcune
Mettibra ferme posar, bench* altre , ed altre
Sian mai sempre agitate. Or queste adun€[ae
Cose accolte in se stesse in nn baleno
la terra , ov* or dell' ocean profondo
Volto è il clima maggior , cadd^ depressa >
DI Tito Loc&szio Lib. V. pg..
£ foralo del suo grembo ampia cayeraa
Nel salso gòrgo i e q;uanco più dall' Etra »
£ da'.raggi del sol di giorno in giorao
Verso gli estremi limitari aperta,
Sovra > e da tacci i Iati era compressa,
'£ coQ urti continui a condensarsi
Forzata, ed a restringersi, ed unirsi
Nel centro suo; tanto più ^presso il salso
Sudore asciane, e dilatato i molli
Campi intorno accrescea del mare ondoso ,
£ dell* aria i principj , e del vapore
Tanto più «l'esalavano, e volando
Lungi da terra, i chiari eccelsi templi
Condensavan del ciel . Scendeano intanto
I can^i , e s' appianavano , e degli alti
Monti r erto sài ia , che i duri sassi
Non poteano abbassarsi, ed egualmente
Goder tutte le parti . In cotal guisa
Dunque formato di concreto corpo
fa della terra il pondo , e quasi un fango
Di tutto il resto sdrucciolò nell'imo
Centro, e qual feccia si fermò nel fondo:
Qnlndi '1 mar , quindi l'aere , ^ l'Etra ignifero
Restar liquidi e puri , e l* un dell' altro
Più leve, e liquidissimo e purissimo
L' Ecere leggerissimo ali '^eree
Aure sovrasta. E benchc queste all'Etere
fa ót Tito Lucrezio Lix. V*
Turbcno il molle corpo y ei Don per taaio* •
Con lor non si xiroescoia , ma' lascia
Che tocre queste cose ognor s'a?Tolgana •
Tra violenù turbini, e permette >
Ch'elle siaQ da procelle incette e varie
Sempre agitate. Egli però con certa
Impeto,,! fochi suoi move scorrendo •
Che volgersi con ordine , ed avere
L'Etere una sol forza, aperto il mostra
Un sì vast' oceani che parte, e torna
Certo nel tnotOt e un sol tenor conserva.^
Or cantiamo, onde i moti abbian k- stelle. ".
Pria, se l'ampio del ciel orbe s'aggira.
Creder si dee , che quinci e quindi il poli>
Sia dall'aria compresso, e d* ambi i lati
Di fuor chiuso e ristretto. Indi che un altra
Aer sopra ne scorra, e il corso indrizzi
Là 've del mondo eterno a volger s* hanno
Le stelle ardenti > e che dt sotto un altro
Erga al contrario il ciel: come talora
Miri i fiumi aggiirar le ruote, e i plaustri.
ISotsc iaimabile è l'orbe» ancorché tutti
Siaa mossi i chiari segni, o perché d'Eteite
Rapidi ond^giamenti ivi racchiusi ,
Strada cercando , son portati in volta ,
E per gli ampj del ciel templi sublimi
Si rivotgon pej; tutto ignee procelle ^
\ " .
[ pttt soorre d* aitronde ; e\per di fuori
j, L'aer lia qualche paice agita e mesce.
\ Gli cter«i^chi: o ch'essi stessi pooiio
\ Serper là, 've gli chiama > ove gì' lavica
D' ognuno il .pro{u:io cibo ; e mentre a volo
Se ne vaa per lo eitlo y esca > e ristoro
* Porgono a' vasti ior corpi fiammanti i -
Posciach^ r asserir » qual delle addotte
Cause sia vera in questo nostro mondo
1k diffìcile impresa . A me sol basta
Il dir ciò eh' esser pooce , e che succede
* Per l'universo in varj mondi in varie. ..
Guise creati, e delle stelle a i moti
Piacemi l'assegnar varie cagioni*.
Che possibili si^n per l' universo >
Delle ^ai non per tan^o una esser debbe
(^Ua 9 eh' a gli aurei segni i movimenti
Porga .Ma 1' affermar, qual sia dr queste».
Opra non è di chi cammina ai bujo.
Acciò poi che la terra entro il pid cupo
Cèntro stia ferma , è- di mestier y che sfumi
li pondo , e manchi a poco a poco,» e sotto
4U>bia un'altra natura a se congiunta :' '
fin da principio » e strettamente unica :
Con le molli dd mondo aere^ parti ,
Alle quai vive inserta^- t opinai all' aure
Non è di peso > « aon le preme > e ca^ca ^
51 j>i Tito Lucrezio Lial V^ .
Come pulì* aggravar posson le membra. V
Proprie atcua uom » né d* alcun pondo al collo
Esser la resta ; e qaal ne' piedi al fine
Nessun peso del corpo unqua non senti.
Ma <}ualunc[ue altra mole esternamente
Posta sopra di noi, benché di peso :
Di gran lunga minor » spesso n' offende :
Tanto importa qual cojsa , e a cui s* appo^ .
Còsi dunque la terra incontinente
Trasportata non fu quasi aliena
D'altronde, né d* altronde all' aure imposti^
Aliene da lei ; ma già con esse
Nacque fin dall'origine primiera
Del mondo» e qual di noi pajon le membra
È d* esso una tal parte . Accade in oltre
eh' ella da grave tuon scossa repente ,
Tutto ciò eh' eli' ha sopra > agita e scuote ;
Il che far non potria> se circondata
Non fosse d'ogn* intorno, e dell'aeree
Aure , e dall' ampio ciel . Poiché comuni
Fin da principio lian le radici , e stanno
Fra lor tai colpi acconciamente uniti .
Forse non vedi ancbr , quanto gran pondo «
Di corpo in tutti noi regga a sua voglia .
Il vigor tenuissiqio dell' alma >
Sol perch'ella é con lui si acconciamente
Unita? £ qua! vircude ergere il corpo
DI Tito Lucrezio Lib. V, 33 ]
Da terrà, ed avvezzarlo agile e pronto
.Al ^alto > al nuoto , alla palestra > e al corso
Itnaimente pptria , fuorché deli' alma
Il debile vigor, che il frena e regger
Vedi' tu dunque ornai , quanto possente
Kiesca un tenue corpo, allorch' unito
Vieoe'ad un grave; in quella guisa appunto i
Che son l'aure alla terra, e l'alma all' uomo.
Ne maggiore , o minor molto è del SQÌt
L'orbe , e V ardor, di quel cfie pare al senso:
Che sia pur', quanto vuoi, lungo lo spazio.
Onde luce , e calòr vibrano i fochi j
]^i però nulla toglie, e nulla rade
I>al corpo delle fiamme, e . nuli' affatto
Stringer sì mira , o raccorciarsi '1 foco .
Qurndl perché del sol la fiamma, e il lume
Lanciato arriva a*^ nosui sensi , e puote
Tutta del suo tolor tinger la terra.
Dee da terra il suo globo anco apparirne
Tal, che veracemente alcun non possa
Crescerlo , o sminuirlo . Anco la luna ,
O con luce non sua vaghi e passeggi
Dell* Etra i campi , o per se stessa il lume
Vibri , checche ne sìa , punto maggiore
Non e, di quel eh' ella sia mostra all'occhio: •
Poiché fissando di lontano il guardo
Per mole' aer frapposto , ogni altro corpo
di Tito Lucr, Curo T. 21, C
14 DI Tito Lucrezio Lib« V.
Pria confuso n'appar, che scopra affatto
Gli ultimi tratti. Ond'é pur d'uopo ancora.,'
Che poiché chiara e cerca, e come appunto
Pali* estremo suo lembo è circoscritta,
N'appar la luna, ella di quinci in alto
Tanta appunto, quant'c, da noi si scorga; ■
Ai fin qualunque fi^imma in ciel tu miri |
(Poiché qualunque fiamma in terra splende ^
Mentre I* aria scintilla , e i* aureo lume
Ne mostra il proprio termine , assai poco
Si yedej apprender puoi, ch'ella è minore
Poco, o maggior , di quel ch'appare al senso,
Né punto dee meravigliarsi alcuno >
Che si picciolo sol luce sì grande
Vibri , che il mare , e il ciel vasto , o la terra
Irrighi, e sparga di calore il tutto;
Poich' esser può , che quinci aperto un solo
Fonte di tutt' il mondo in lar^ra vena
Sorga, e da tut<ti i mondi eternamente
Scaturisca un sol £ume , ove in tal guisa
Dei calor, della luce i genitali
Semi concorran d' ogn' incorno , e dove
S'aduna il gruppo in guisa tal , che n* esce» ' ;
Quasi da proprio suo fonte perenne ,
Questo lume, ed ardor. Forse non vedi j
Quanto ancor largamente i prati irrighi [
D'acqua un picciol roscello , e i campi allaghi l \
' Di Tito LucRtzio LiB. V. 37
£ con pari ragion la, lana, e l'altre
Stelle» che ne* grand' orbi i lor grand* anni
Volgon , creder si dee > eh* ire , e tornare
Possan per l'aere alterno» atto a cacciarle.
For$e non vedi ancor da varj Tenti
Spinte correr le nubi, in yarie parti,
£ pili ratte dell'altre ir le più basse?
Dunque chi può negar > che pe' gran cerchj
Dell'Etra l'aer basti in così varie
Guise a portar si varie stelle in volta?
Ma con vasta caligine sorgendo
La notte ingombra il terreo globo , o quando
Già scaccia il sok dopo il suo luogo corso
Del ciel Testime parti > e spira intorno
Languido i raggi ornai debiti e stanchi
Per lo troppo viaggio , e dal soverchio
Aer interposto conquassati e laceri j
O perché la medesima energia»
Che pe *1 ciel sopra noi V orbe sospinse»
Sforzalo anche a voltar sotterra il corso.
Ma del vecchio Titon la bianca amica
Con la fronte di rose , e co '1 crin d' oro
Mena in certa scagipn 1' alba vezaosa
Per l'eteree camjpagne» e n'apre il lumc^
O perchè di sotterta a noi tornando
Quel medesimo sol co' rai precorre
Se stesso i e del lor foco il cielo accende.;
C 5
5t i>J Tiro LucMZio Ln," V,
O perché molte fiamme > e molti semi
D' ardore in scagion certa han per costume
D' antrsi , e far , che sempre un lume no?o
Si crei di sol : come da* monti Idei
Fama è > che mentre io oriente appare
L'aureo lume del di, miransi intorno
Varie fiamme disperse ; indi in un solo
.Qiiasi globo adunarsi, e formar l'orbe.
Né dee con cnttociò gran meraTÌglia
Parerti , o MemmÌQ> che in stagion si eerta
Questi semi di foco atei ad unirsi
Sieno> e del sol rinoTcliare il lume.
Poiché molte da noi cose mirarsi
Posson\ che in ogni specie in tempo certo
rannosi .. In cerco tempo il bosco , e '1 prato
Si veste, e in certo tempo anco si spoglia
Di .fiori , e frondi s e nulla meno in certa
Tempo i denti a cader sforza 1* etade>
£ di molle lanugine a velarsi
li giovinetto corpo: e le polite
Guance di molle barba s e finalmente
he nebbie, i venti, le tempeste, i fulmini.
Le nevi, li ghiaccio in aon gran fatto in cerd
Tempi si orean : poiché non prima i primi
Principi ^^^^ ^^^^ ^^ questa , o in quella
Guisa s'unir, che qoal prodotte al mondo
fur dal caso le tose in fin dal primo
.\
m Tiro LixeAszio tin. V. ip,
Lor oaseimenta ormai > tal ne consegue
La natura di tutte in ordin certo .
Crescer poi lice a' giorni, ed 'alle irotti
Scemarsi, e divenir più brevi i lumi >
Qiialor i' ombre all' incontro hanno augamento
O perché sotto terra, o sopra terra
Il medeaimo sol con disuguali
. Cerchi correndo il ciel diride y p V orbe
Parte in non giuste parti , e ciò che all' una
Tolse, rende all'opposta, infin eh* ai segno
Perrenga, ore dell* anno li nodo appunto
Alle tenebre cieche i[ lume adegua:
Poiché a mezzo il cammin del violento
SofHó di borea, e d'austro il <iel disgiunge
Quinci, e quindi egualmente ambe le. mete;
£ ciò pe '1 sito, e positura obbliqua
Del grand' orbe de* segni, in cui serpcndo
Il sol logora un anno , e con obblrquo
Lume circonda il terren^ globo , e il cielo:
Qual appunto insegnar quei , che nel!* Etere
Tutto osservar di ben disposte immagini
L'orbe trapunto-, o perché 1* aere in certe
Parti èi più denso ^ onde sotterra il foco
Dubbio i tremoli rai vibra , e non puoce
Sì 'facilmente penetrarlo , e sorgere
Si ratto in oriente . Iodi l'invesno
Doran le toghe notti, iofio che g^g»
C 4
5|d i>x Tiro Lucrezio Lib. V;*
L'altra insegna del di cinta di raggi j - - -
O forse ancor, perche dell* anno- in varie •
Stagioni alternamente han per costume
D'unirsi alcune fiamme, e dissiparsi .
Or più prèsto, or più tardi , e far , che il sole
Cada e risorga in varj luoghi e cerei .
Splender poi può la luna, o perché i raggi
La percotan di fcbo, ond* ella Tolga .
Ver noi di giorno in giorno in apparenza
Lume tat^o maggior, quanto dal 1 orbe
Suo s* allontana , infin eh* opposta , e piena
Tutta d* argentea luce ella rifulse ,
E l'esequie del sol ride nascendo;
£ quindi ancor per Io contrario al lume
Tanto qunsi nasconda a poco a poco
Quando più presso a lui gira il suo cerchia
Dall' altra parte del zodiaco appunto :
Come sembra a color, che ad una palla
Fingon , ch'ella sia simile, e che volga
Socco Torbe del sole il proprio corso.
Onde avyien , che affermar pajano il vero . '
Forse anco può di propria luce ornata
Volgersi, e di splendor forme direrse
A gli occhi appresentar •» che forse un altro
Corpo con lui s'aggira, e in varie guise
L'incontra, e l'impedisce, e non si vede» .
Perché priro di iacc il ciel trascorre .
DI Tiro lucRizio LiB. V. 4^
£ puote anche il suo globo intorno a' poli
Proprj aggirarsi; in qucrila. guisa appunto»
Che potria per metà tinta u^ia palla
Dì lucente candòr volta in se stessa
Varie forine mostrarne a vario lume^
Infin ch'ella ver noi tarta volgesse
La parte luminosa, e l'apparente
Suo sguirdo; e cjuindi a poco a poco indietro
Rivolgtfss»? il suo globo , e n' occultasse
La sua lucida faccia in quella stessa
Guisa, che i Babilonici dottori ,
I Caldei confutando, incontro all'arte
Degli astrologi lor tentan prorarc:
Come verificarsi ambi i paesi
Nv>n possano , o vi sian ferme ragioni >
Onde quel, più che questi altri difenda»
K\ fin perchè non può con ordin certo
Di figure, e di fosme esser prodotta
Sempre fina nova luna , ed ogni giorno
Scemar da quella parte , ond' essa, io prima
Creata fu , mentre dall' altra opposu
Va aesoendo altrettanto , e si ristaiira ?
Certo che il dimostrar- con evidente
Ragion, che ciò sia falso, e con parole
Convìncerlo a bastanza » è dura, ed aspra
Impresa, quando ognun vede mill'altrie .
Cose eoo oxdifl ccKto cssp: ptodotte.
41 i^X Tito LucJtEZia Lx*. y;
Torna la vaga primarera , e seca. ■ r -
Venere torna, e mcssaggier <U Venete
Zeffiro alato, e T orme sue precorre,
Cui la madre de' fior tutta cosperge
La strada innanzi di color novelli >
Bianchi , gialli > vermigli > azzurri , e misti >'
£ di soavi odor l'aure riempie.
Quindi nel luogo suo l'arida estate
Succede, e per campagna ha F alma . Cerere
Sparsa di polve il crine, e It soffio Eresio
Dei rigido aquilon . Qtiindi V autunno
Segue, ed in Un con lui 1* Evio Evoc ?
^ Quindi l'altre stagioni j^c quindi gli altri .
Venti ,. e Volturno altitonante , ed austro
Cinta di nembi > e turbini sonori .
La bruma al fin reca le nevi e il pigro
Ghiaccio n' apporta: strepitando il verno
Giunge, e le membra altrttl sforza a gelarsi.
Non e dunque stupor , se io certo tempo
Maore, ed ih certo tempo anco rinasce
. La luna , poiché pur creansi al mondo
Tante > e si varie cose in certo tempo .
Ma del sol parimente, e della luna
Creder dei, che l'ccclisse in varj modi
Possa avvenir: che per qual causa il lame
Del sole a noi pdò tor la luna , e molto
Da noi iQngi ofRiscado^ iaterponeodo
DI Tiro tucRizio Lii. V. 4ji
Fra gli arcicnti suoi raggi, e gli occhi nostri
Uorbe suo cieco? e nei medesmo tetiipo-
Far noQ può questo iitesso uu altro CMpìo ,
Che scorra il ciel , sempre di lume ignudo ?
£ chi coglie anche el sol « cfat in cerco tempo
Non lasci i fochi suoi languidi , ed aneb
Riscauri*! lume, allorché i luoghi infesti
Alle fiamme ha trascorsi atti ad estinguerle
Tra via per Taute, e dissiparle affatto?
£ perche può la terra anche a vicenda
Spogliar la lut^a di splendore > t il sole
Sovra oppresso tener, mentre in un mese
Scorre della piramide terrestre
L* ombre rigide , e dense i e nello stesso
Tempo opporsi non può qualcli* altro cotpò
Al suo lucido globo, o sotto l'orbe
Scorrer del sole , e il lume Suo profuso
Lsser atto a celarne, e i vivi raggi?
pur se la medesima rifulge
Di suo proprio splendor , perche non puotè
Languir del mondo in qualche certa parte y
L'aure passando al lume suo netto iche?
Nel resto, conciossiach'io t'ho risolto,
CooK nel vasto mondo, e per 1' immenso
Spàzio si possa generare il tutto;
£ come i varj mòti , e i varj cerch)
Della luna, e del sol da noi sapersi-
44 i>i T^'TO Lucrezio Lit. V,
Possono i e per guai causa , e da qual forza
5iaa rotaci i lor globi; eri in qual modo
Soglian mancar per I* eccl issato lume , .
jE la terra coprir d' ombre improvvise ,
Allor che quasi i proprj iumi han chiasi %
E come poi con isvelaca faccia
Tornano ad illustrar Taure tranquille >
£ di candida luce empiano il tutto:
Or di DOTO mi volgo al nascimento
Del mondo» e della terra al molle dorso,
£d a ciò , che alla luce aurea del giorno
Nel primiero suo parto ergere osasse»
E commetter de* venti al soffio incerto .
Pria le specie dell'erbe» e il verde onore
La terra germinò ; florido il prato
Di color di smeraldo a i colli intorno
Rifalse, e in tutù i campi: a varie piante
Quindi concesso fu d'ergersi a gara
Per r aere a lente briglie; e come in prima
Nel corpo de* quadrupedi animali
Si creano > e nelle membra degli augelli
Le piume , i Velli » il duro pelo , e il molle ;
Tal dalla nova terra erbe» e virgulti
Sorsero in prima ^ e poi cfeate in varie ,
Guise far d'animai specie diverse.
Posciaccbé ni dal ciel cadder» oé fuori
Delle salse lagune uscito in secco
H^
ttt Tito J.UCIIBX10 LiBf V; «ff
I terrestri abltànn i onde sol resta >
Che k terra a ragion madre dèi cucco
Chiamata sìa^ poiché di terra il catto
Nacque , e non pochi ancor sono i ▼iveoti »
Che dall'umide piogge» e dal vapore
Caldo de' rai del sol nascono in terra.
Scupor dunque non e, se in maggior numero
Nacquero , e viepiù grandi , allor che nova
Era la terra, ed era 1- Etra adulta.
Pria de' pennuti augelli il vario germe
Nella nova scagion di primavera
Dall'uovo esclusi deponeaóp il ^dscioi
Guai depor le cicale al caldo estivo
Soglion la tenue spoglia, e per se s cesse
Vitto > e vita cercar. La terra allora
Pria ne die gli animali . Erano i campi
£ di caldo, e' d'umor molto abbondanti^
£ dovunque ' oppontuno offri asi il luogo y
Molti del suolo alle radici affissi
Quasi ventri crescean, che poi che al tempo
Maturo apria de' pargoletti infanti
La'ceaerella ecade a sugger atta
L* umore , e spirar 1* aure > ivi natura
Della tetra volgea 1' occulte vene ,
Che poscia aperte rifondeano un succo
Simile al latte i in quella guisa appunto,
Ch ogni femmina adesso > allor che .figlia >
é^€ 6i Tito LucAizio Lzi. V. I
Suol dì latte abbondar » percbè si volga
Dei nutrimeoto alle mammelle ogo* impeto t
A' fanciulli porgea cibo e ristoro
La terra» il vapor yeste» e letto il prato,
Di molli erbette tenere abbondante.
Ma ne' rigidi verni il novo mondo
Né soverchi calor>>cié tempestosi
Venti eccitar potea$ poiché ugualmente
Cresce ogni cosa > e vigor prende e forza :
Sicché molto a ragion di madre il nome
Pria la terra acquistosst » e giustamente
Se 'ì tiene ancor . Poich* ella stessa il germe
Uman produsse» e quasi sparse in certo
Tempo ogni' altro animai , eh' ebro , e baccante
Scorre pc' monti , e per le selve 5 e tutte
Creò le specie degli aerei augelli.
Ma perché qualche termine al suo p^rto
Pur al fin si dovea , steril divenne ,
Quasi per troppa età donna impotenre;
Poiclté del mondo stesso il tempo al fine
Varia tutta V essenza , e d' uno in altro
Srato il tutto si cangia > e nulla dura
Simile a se medesmo: il tutto altrove
Fuggcsi , il tutto muta > il tutto volge
Natura. Conciossiaché aluo divenga .
Putrido y e per vecchiezza egro e languente!
Altro nasca ali* incontro > e forza acijuisti.
Cosi (losque 1' età varia l'essenza
Del mondo, e d'un H terra in altro stato "^*
Si cangia : ornar quel, che poteo , non spossa »
E possa quel , che non- sof&rse innanzi .
Varj in oltre crear mostri, e portenti
Allor tentò la terra in varie guise,
£ di faccia ammirabile , e di membra »
£ di .mani , e di pie molti eran privi : -
Molti ancor senza braccia , e senza volte
Ciechi aftatto nascean : mole' impediti
. Di membra , che fra ior per tutto il colpo
Intrigate , e legate erano in guisa ,
Che nulla oprar porean. Non rifuggirsi
A luogo alcun, non le maivage cose
Schifar , non le giovevoli seguire ,
Non usarle abbisogni. Altri portenti
Producea di tal sorte, ed altri mostri;
In van,'che Ior natura il propagarsi
Vietava , onde attivare al fin bramato
Non potean dell'età, né trovar cibo.
Ne venerei diletti avere insieme .
Conciossiachè concorrer molte cose
Debbon -negli animali , acciò sian atti
A servar propagando il proprio germe.-
Primieramente i pascoli , le vie
Dopo, onde i semi genitali uscire
Possan per tutto il corpo, alior che sono
49 or Tito Lucrezio Li». V#
Rilassate le merobn: e perchè a] macchia
Si congiunga la femmioa, ed entrambi
Va d^uopo, onde accoppiar possano insieme
Gii scambievoli gaudj Adora è forza ,
Che molti d'animai germi diversi
Perisser , ne bastami a propagare
Fosser la specie lor. Poiché qualunque
Di dolce aura vital si nutre , e pasce ,
r astuzia, o la forza» o la prestezza »
finalmente del corso ha per custode >
Che fin dal primo tempo il serba intatto^-
£ molti ancor per 1* util , che ne danno ^
Son da noi conservaci, e custoditi.
Primieramente i fier leoni , e tutte
L' altre belve crudeli hanno in difesa
la forza . Dall' astuzia il proprio scampo
Riconoscon le volpi; e dalla fuga
1 cervi ; ma i fedeli, e vigilanti
Cini , e qualunque specie al mondo nacque
Di veterino seme , e i mansueti
Gi^tggi lanosi, e gli aratori armenti
Tutti dell'uomo alla tutela, o Memmio>
Si dier; poiché fuggirò avidamente
I morsi delle fere, e seguir vollero
La pacifica Tira , e i larghi pascoli >
Che senza ior travaglio apparecchiati
JLot son da noi > quasi condegno premio
DI Tiro ttjctiiuo Lia, V. ^^
Dell' atil > .che ne danno. Or quei ^ ch'alcuna
Non • ebber di tal cose > onde potessero
Viver per se medesmi , o di qualche arile-
Essere all' aman germe» e per qua! causa '
Toitcrar si dorea , eh' e* si nutrissero
Per nostro mezzo; oda! furor nemico
Fosser guardati ? £$st giaceapo adunque
Preda, è pasco ^egli altri entro i fatali
Lor nodi avvolti, insin che tutti al fine
Fur quei germi hiainati afiàtto estinti/
Aia ne visser giammai centauri al mondo» -
Né con doppia natura > e doppio corpo
Fon di membra straniere in un coogiunte
Formarsi altri animai , se quinci > e quindi
Pjri a pari energia non corrisponde:
£ ciò qutnd* imparar lice a ciascuno.
Sia quantunque d'ingegno ottuso» e utdo.
Pria, fiorisce il cavallo agile, e forte
Poco dopo i tre anni; e allor bambino
Tenero \c l* uom , mentre per anco il petto
Palpa toccando alla nutrice, e tenta
SUggeroe il dolce latte. Allor che manca
Per i* eti- gii cadente il consueto
Vigor dell* uno, e che dal corpo infermo
Languida , e dalle membra oppresse e stanche
Gli s'invola la vita, allor appnnto
Veggiam , che alfaltro in su'l fiorir degli anni
di Tito lucr Caro Tomo 21 D
50 oi Tito I^iic&Eztò Lry. V*
Spunta la vaga gioyÌDe(ta> e Tette
Di laougine molle ambe le guaqce j
Acciò ta £oisc tion ti credi > p Memmio i
Che nascer d'animai tanto diversi
Pebban centauri , ^cille > o sonligl ialiti ..
Mostri , de' quai le membra esser veggianif
fra lor tanto discordi , e che degli aiinij:
Giunger con egual passo ai fio bramato .
Non possop, né di corpi esser robusti»
Ne toccar dell* età T ultima meUi
Né di venereo ardor^ né di costumi
Insieme convenir, né degli stessi
Cibi nutrirsi Le barbute greggi
S'ingrassan di cicuta > ove ali* incontro
La cicuta é per Tuomo aspro veleno.
Che se il fòco, e la fiamma incenerisce
De* leoni egualmente i fulvi corpi >
£ d'ogni alrro animai , che io terra alberghii
£ com' esser può mai y che una chimera
Leon pria , quindi capra , ai fin serpente
Dal tergemino corpo unqtta spirasse
Foco > e fiamma per bocca ? Onde chi fi^e ,
Che nel primo nata! del mondo infante»
Quando nova pur anco era la terra ,
Novo il mar > nova Ilaria » e novo il cielt»
Cosi fatti animai nascer potessero}
Chi ciò» d^co» appoggilo « foéft» sola.
ài t Ito tuetfrtio Li^. V. fi
Nome di tiorìti Tino / e hììic€
fìngiti ben paote ancor nel moda flesso
JFinger moice altre cose» e 9CìodCànfenie
Dir, che aUor da per fucco .arene d'oro
Volgean sotca a quel fiumi, e chtf^di gemme
Fioriano i boschi > e che ne' memlirì ogni uomGT
Si grande impeto avea> che ìì mar d' un salta
VaròaTa> e con le mani a se d'incorna
Tutto voìgea rapidamente il cielo.'
Poiché 1* essere srati in terra sparsi
Molti semi di eose, slUor cber in prima
Largamente il terreof ne diede i yar)
Germi degli animai, punto non prova»
Che potesser fra lor misti e confusi
Nascer itomini , e belve , armenti , e gfegg^ ^
Conciossiachè quantunque il suolo abbondi
D'erbe anche adesso, e d'^aftieri fronzuti»
£ di biade ^ e di frutti , essi non ponno
Germinar non per àinta insieme avvinti:
Tal fermo è fisso in suo costume il tutto
Procede, e le dovute dit&renze
Per certa légge di natura osserva .
Nascéan gli uomim: allor per le campagne
Tutti» quài «ónvenia» molto pia rozzi , •
Poiché la rozan terra avean per madre,
£ dentro di maggiori , ^ di pia salde
Ossa finidati ^ e ék* pia forti nenri
D z
ji oi Tixo Lucuszro Lii. V.
Stabiliti». ed acconci; e natia, o poco
da caldo , o da freddo , o da straaieci '
Climi , o da novi cibi eran oiTest ,
Né dei corpo patian difetto alcuno ;
£ motti errando delie fere in guisa
Per più nel elei del sol lustri volanti
Traen lor vita. £ non v'avea per anco
Chi eoa braccio robusto ni corvo aratro
Desse regola e norma» o le campagne
Or con zappe , or con rascri » or con bideiti
Culte e molli rendesse, e propagasse
1 novelli virgulti, e dall' eccelse
Piante troncasse i folti antichi rami .
Quel, che it sole ,o la pioggia , o il suol fecoadi
Producea per se stesso, i petti umaoi
.*^aziava a bastanza ; e grato e dolce
Cibo spesso porgean nelle foreste
Le ghiaodifere querce,* o le mature
Rubiconde corbezzole , o l' agresti \
Poma» o le noci, o l'odorose fraghe, j
Che maggiori, e pia belle, ^ più soavi
Nasceano allor della gran mjidre in grembo, i
£ motti anche., oltre a ciò, Teca fiorita \
Del mondo producea vivi alimenti
Ampli a bastanza a* miseri mottali. r
Invitavano allor l'umano germe
Ad estinguer la sete i fiumi» i fonti»
i»i Tito toòRiZio LtB. V. li
Come crr fan gtl animai Toade tranquille:^
Che d' aito caggfon luormoraodo al cbino .
£ al' fin Tagabbndi a ciel nocturao
Abica?an quei popoli prinnieri
Delle ninfe i silvestri orridi templi ;
Onde liquidi dscian lubrici rÌTÌ> >
Che le grotte 9olean d'ogni sozzura > ■ •
£ dal fango lavar. gli umidi sassi)
Gli umidi sa»$i sopra il Terde musca
D* umor chiaro stillanti . E parte al piaioòr.
Non capendo inr se stessi , impetuosi
Scesero , e fffribond} errar pe* campi • •
Né sapevn maneggkf co '1 loco aJcuna
Cosa, né con le peHi , o ootr le spoglie
Delle fere coprisi l'ignude mèmbra»
Ma ne' boscki , negli antri , e nelle sel?if
lUcovravan se stessi , e nelle caVe
Grotte ( e per ischi fai de' venti irati
Gli assalti» e delie piogge,. il sozzo e squatlidar
Corpo asconder solean tra. gli/ arboscelli $
I<9é poteano aver l'occhio ài comun bene.
Né fra loro tncrodur riti , iè' costumi»
Né formar V oè servar ieggi^V.. io statuti.
Quel, che offetia dal casa, o vialla sortof
Della preda venia» quel <deisa apfNioco r'
Prendea ciascuno ammaestrato , r doto»
Ad esser per se sttiso « se bastante y '
D 3
)4 l^i Tito CucAUio Lii. V«
£d a TÌTcr contento. ìocttlta te jtozta -
Venere congìungea per le ifbresie
I corpi degli amanti. All'uomo in bnHDCto
Ogni donna poneatt, o da focoso
^Kendevol desio vinta > o da mano
yroleata e rapace, o da sfrenata
Cieca lussuKiai e prezzo àllor non vile
.£ran le ghiande, e le castagne elette,
beile mani» e df'pfc tutti affidandosi
Nel mirando valor > seguian con sassi
Atti ad esser lanciati > e con bastoni
Noderosi 9 e pesanciN i £eri getmì
De* selvaggi anfmai. Molti di loro
Vinceao^, poiché Inggian per le caTernci '
Ma l'irsute lor membra in ciò simili
A'setosi cignai, nel suolo ignàdc
Stendean la noite > e le coprian di frt>ndi.
Ne vaganti per i' ombre > il giorno, e il tok
paurosi cercar soiean piangendo i
Ma tàciti aspettar muti, e sepolti
Nel sonno , io&n che il sol nato ddl' tMMle
Con la rosea fiicella ornasse il cielo >
Di novello splendor: che sempre avyczii
Sin da picciorinfanri a veder l'ombre
Nasieer nel mondo alteitiamente , e il looie,
Non. poteano addicir per meraviglia >
Kè temer, che perpetua > turida» e «drota
Di Tito LtJCKE^lo LiB, y. a
Notte i*atfe ingombrasse etiernamente
Spemi i raggi del soli ma rie maggiofe
Noja pr^ndeaa ^ che gli animai selvaggi
Spesso infesta rendèano» e perigliosa
La quiete, e il sonno a gli infelici.* ond'essi
Dalle grotte cacciati , i tetti loto
Fuggtan tmartitt , o pe *1 venir d' un fiere
Spumifera cignale » ò d* an robusto
Leone i e nella notte intempestiva
Solean cremanti a gli ospiti crudeli
Cedere i letti lo^ it«si di- fronde.
Né molto allor, pia ch'ai predente, il dólce
Lume del viver fuggitivo, é frale
Petdeao piangendo i miseri mortali .
ì Che sebben , pia che adesso , allor ciascufto
Da' selvaggi animai colto improvviso
Pasti vivi porgea per divorarsi
Da' fieri denti, il bosco, il <nOrtte , e tutta
Intorno «mpià di gemiti , e di strida
La selvósa foresta , in viva tomba
Sèppelir vive viscere veggendo :
£ sAhàfk cbi trovava alcuno scampò,
Teocodè poi sii'l già corroso, e guatto
Cprpò,;e satie maligne ulcere tette
Ibernali tremÉnct , in voce orrenda,^ Cera
Solca driaidar In morte, ln£a che wf^tó
Da'Wnù fogoML vermini crudeli
D 4
$i5 ivt Tito Lucrezio Lia. V«
Fosse di vita ignudo affatto» e casso
D*ajuco, e di consiglio, ed ignorante
Di ciò, che giovi alle ferite» o noccU).
Non però mille, e mille schiere ancise
Vedeansi 'n un sol giorno orribilmente .
Tinger di sangue i mari , e d' ogn' intomo
La terra seminar d'ossa insepolte»
Kè dell'ampio ocean Tonde orgogliose '
Fean le navi in un punto» e i naviganti
Naufragar tra le sirti » e tra gli scogli &
Che folle il mar di tefnpestosi flutti
Armato indarno incrudelirsi» e folle
Spesso a' venti spargea minacce indarno j
Né potcan le lusinghe allettatrici
Della placida sua calma incostante
Incitar con inganno i legni all'onde*
Cieca allor si giacea la scellerata
Arte di fabbricar fuste » e galee»
£ navi d'ogni sorte. Allor sovente
La scarsezza dei vitto a' corpi infermi
Togliea la rita » or pe '1 coti uar^o spesso
L' abbondanza de' cibi altrui sommerge ;
Quelli incauti il velen porgean talora
Per se sressi a se stessi. « or più sagaci
Questi , e più scaltri a' ior nemici il danno*
Ma poiché a fabbricar case » t capanne.
Si dieroy e ad abim^j e che rignajé
si Titb Lucrisi oLi^ V« f/
Membra vestir d^irsuce pelli} e il foco
Messere in uso *, e che un sol tetto accols»
Con la moglie il marito } e note al mondo
Far del privato amor le caste noasze»
£ che nàscer di se non dubbia prole
Vedea ciascuno > alior primieramente
Cominciò 1' uman germe ad amraoltirsì.
Poiché si foco operò, che i corpi algenti ;
Non potessero mai nell'aria aperta
Soffi:ir pia tanto freddo. Agevolmente
Venere alrrui scemò le forze, e U fieio'
Spirto de'genitor frjUiscro 1 figli
Con lusinghe , b con ve^zi . Allora in pcima
Cominciar ramicisie.* i confinanti
Non Vodèodean:! raccomandar T un l'altro
I figli- pargoletti > e il fragii sesso
Con le voci > e co- cenni » altrui mostrando
Io lor balha favella > opra esser giusta
II dar soccorso a' deboli» e mal fermi.
Ni però generarsi «oà totale
Pace fra icur potea» ma la migliole
Parte osservò leligiosa 1 patti .
Poiché il genere > uman spento e distratto .
Gii fora» e lor semeosa indarno ornai ; ;
Tentato avrian di prolungar le genti.
Ma l'umana natuia i tarj accenti
Pria formò dellA laiq{ia>.e Tutil posóa
fi 91 Tito Lucjiizio Lib. V.
Diede i nomi alle cosci in quella stessa*
Guisa» che par, che la medesma infanzia |
I teneri laociuiii induca al gesto, i
Mentre fa, che da lor sia mostro a dito I
Quel, che han presente ali* occhio. Ogni «aifluk t
Sente il proprio rigore , onde abusarlo
Possa. Pria eh* al vitel nascano in testa
Le coma 9 egli con esse irato affronta»
£ il nemico rivai preme id incalza .
Ma de' fieri leoni i pargoletti
Figli, e delle pantere, allor che appena
Nelle branche hanno Tugna, e i denti'» bocca)
Gii co' piedi, e co' morsi altrui fan guem.
Senzaché confidar culti gli augelli
Veggiam nell'ale, e dalle proprie penne
Chieder tremalo ajuto. Il creder donque.
Che alcuno allor distribuisce i nomi
Alle cose, e che quindi ogni 'ac»n potesse
Apparare i foeaboli primieti,
È solenne pazzia* Poiché io qual modo,
E perché chiamar questi ad ooa ad noa
Potè le cose a oòme, e i varj accenti
Esprioicr della lingua, e ùtììo stesso
Tempo' a lare il medesimo bastante
Alcun alttù non fu* Ma se le voci
Non per anco appo gli altri erano in os».
Onde fa del^ lar ot^r comi
m Tito XxujLZZi^ Us. y. s$
La BoctSBia instritt? £ drigli dìUe
Qficfca prima poceou > «od* ci «apcsse
■Specular eoa k meoce i «. pojare in opra
Ciò cIm^ far gli aggradane? la oltre , «uk jolo
Noa ptlra sforzar mcki >, « ao^iogarlì
Si, cbe appreader da lai fosscr /consenti
Delle odie i vocaWt. Né certo A-
'Ex* atto i?ad lasegi^o t né. hx ioteideie ;
Ciò ciuM fatto sia À*mfb a fooce Mrdai
Poiché né pazIeDÙ avrian toSerto*
Che suoei ) e voci lòaudits, indarao
Stordir lor 1* orecchie. £ ficulUneatc
Perché mal si mirabile tdinatsi
I>ee, che il genere tioiaa». ci|es?ociy « liogaa
Di >rQhuto vigor dotata aìrea> .- v
Secondo i var) lor aensi» «d eiSrttl
Varj nomi ponesse. a; rarie €fese)
Se k £ere> « gli armenti > e i muti gtngg^
Soglion voci, disssmìii fosmnre »..
Qoinde iian, speme,. ^ timor > noja » «e diletto»
E ^ciò da cose manifeste « conte
Può «claacuno imparar • Pria* se irritato
Freme. rtl molosso^ ^ la "gran bocc^ apeendo
htodeTnottm le zanne» it i ciuci "dead»
XjÌìl dMnsaoD fiuos preg^» e di raUk» '
-In tnon moli» diverto altrui miaacria
Da ^acl> «k*eil|aua| «4*ucIi«S8adqd»ii«ionda.
$0 DI Tito Lucrezio Lii. Vi
Ma se poi luosioghiero i pfoptj figli
Lecca» o scherza con essi, o eoo h zstmpt^
Sossopra volcolapdogii , o co' morsi
Leggietmence offeodeodogli > sospea..-
I denti, i molli sorsi a imitar prÀdey
Co '1 gannir della voce in akra guisa
Suoir ad essi adubr, cbc se lasciato
In casa dal padrone uria ,^ ed abbaja/
se fagge piangendo umile, e diiao
Della rigida s&i^ i duri cólpi .
In somma non ti piar, eh* assai diversa
Dir st deggia il .nitrir fra le cavalle.
Quando nel fior ddl'età sua trafitto
' il destrter. da|;li stimoli pungenti
Del Dio pennuto incrudelisce , < slMiffk'i
£ feroce, e superba armi , arnri. fremev
Da quand'ei dalla. greggia errando sciolto'
Scuoce i* membri , e nitrisce i E -finalmente
1 varj germi degli, alaci augelli ,
Oli iparrierì, egliascor, rac|uile, e r mergbi.
Che dei mar sotto Tonda e vitto t e tìu.
Cercai!» voci assai varie in var; tempi
fòrman, die so calor pe 'i cibo iran guerta>
£ comhacton la pfedar . Ed anco in patte
Mttcan con le stagioni il rauco cantai
Qual fiume i corri» e.le conacchie annofe»
QBaloi (st Ttn i ia vtJgar csedcnia)
si Tito Lacuueio Li&TW ^p
Cbiamaa Tacquer e le pioggle , e i venti , e VtmCf
Dunque le gli animali , ancorché muti » x »
Spiati da varj sensi ebbiRo in sorte
Di formar varie voci , e vlarj snoai r
Quanto é pia convenevole > ehe l'uomo
Potesse ailor con altri nomi, ed altri
Altre y ed altre ^appellar cose difFotmi ?
Acciò poly ohe tu>sappia in qua 1' maniera ..
Ebber gH uomini *1 focb: il fuJmin prima
PortoUo in terra) indi ogni arder, ti sparse»
Poiché mpl te veggtam cose incitate
Dalle fiamme ieì ciel splendere intorno
Là, *ve' caldi vapori erran per l'aare:
£ par se vacillante^ allor che il fiero '
Soffio di 'borea impetuoso, o d'austro
Scuote, e «cfuassa le selve, a' rami appoggia
D'antica pianta antica pianta i rami,
Spesso avvien , eh* eccitata > e fuori espressa
Dal -fregar violento alfin s* accende
Fiamma che sfavillante alkima il bosco;
Mentre tronco con tronco in varie guise
S'urta a vicenda, e si consuma, e stritola:
Il che dar similmente a noi mortali
Poteo le.fiamgie. A cocer quindi il cibo
Co' suoi caldi vapori, ed ammollirlo ^
L'aureo sol n'insegnai poiché pereóssii
Moke da vivi suoi ràggi luceoti'^
I
#2> DÌ/ Tiro LucjiBZio Lis. V.]*
Costf' Te<leaa per le eampagne apriebe
Deporre ogni acerbezza, e maturarti: -
Onde (]uei , che pld- scaltri era» d'ifigegao^
Mostrar con cibi novi iti varj modi
Cotti, e conditi, ogni di. più inveocandone ,
Come l'antico ritto, e la primiera
Vita aspra, e rozza in deHcata, e mollcr
Già murar si potesse. I regi intanto
Cominciaro a fondaf cittadi, e rocche
Per |or rèfugio; indi gli armenti, e i campi
Divisero; e secondo il proprio merto
Di beiti, di vigor, d'ingegno/ e d'arte
Gli assegnato a ciascun , che molto allora >
La bellezza era in pregio r e valesr molta
La forza : il mio r e il tuo quiod*'invefKossi;
£ Toro si trovò , che ^Bcifmentv
A' più vaghi di faccia, e a' più robusti
Di membra ogni onor tolse r e gli uni, e gli altci
Sottomesse a' più ricchi ancorch' indegni.
Che se regger su vita altri bramasse
Con prudenza, e con senno, è gran teserà
Per l'uomo ii viver parco allegramente t
Che penuria giammai non fu del: poco
In* luogo alcun j ma desiar gli sciocchi
D'esser chiari , e potenti ^ acciò ben lerma^
Fosse la lor fortunata; stabii base
Quasi appoggnu , t . per polvi mai sempre
DI Txvo IfManio Lia. %. fi
f acuitosi menar pUeido ▼Ica t
Io vaa» poiché salir tencaodo al sommo
Grado, ed onoc, lutto di spine» e .bronchi
•TEo^ar pieno, il viaggici ove ai -fin giunti
Spu^sp dal sommo <iel nell'imo abisso
L'invidia, quasi filmine, gettolU
Coob dispregio , e :Coa scherno . Ond'io per l'uomo
Stimo' assai meglio un ubbidir quieto ,
Che un voler con l'impeco a varie genti
Dar leggi , e sostener scettri , e, diademi .
Lascia pur dunque ornai » ch'altri s'adnni
III van satigue sudando, e per l'angusto .
Calle dell' ambixioa corra, e s' aggiri^
Poiché, quasi da Alimi ne, percossi
Dall' invidia , cader sogliono a terra
Quei, che son più degli altri eccelsi e grandi:
Che sol per 1* altrui bocca ad esser saggi
Apprendono 9 e gli onor chieggon piuttosto
Mossi a ciò far dalle parole udite ,
Che da'proprj loe sensi. £ non é questo
Pia or , ne sarà, poi , che fosse innanzi •
Quindi ucciso ogni re tfossopra ornai
Giacca l* antica maestà del soglio,
£ gli scettri superbi , e del sovrano
Capo il diadema iilostte intriso, e Iorio
Di polvere, e di stngae sotto i piedi
piaogei dd T^gB il suo JG^aie oooies
^4 ** Tira LucltEZio Lib. V*^ '
Che troppo avidamente altri calpesta
Ciò, che pria paventò. Dunque il goyemo
Tornava alla vii ftrccia , e ali* ime turbe i
Mentre ognuno il primato , e il sommo i
Per se chiedea . Quind' Insegnaro in parte
A crear magistrati, e promulgare
Leggi , a cui sottoporsi a tutti piaccpie (
Poiché il genere uman di viver stanco
Pe '1 mezzo della forza , egro languiva
Fra guerra , e inimicizie; ond'egli stesio
Tanto più voicntier soppose il collo
Delle rigide leggi al grave giogo.
Quanto pili aspramente a vendicarsi
Correa ciascun , che dalle giuste > e sante
Leggi non si permette. II viver quindi
Per mezzo della forza a tutti increbbe,
Ood' il timor delle promesse pene
Di' nostra vita i dolci premj inietta:
Che la forza , e l'ingiuria intorno avvolga
Ciascuno, e a quel ritornt assai sovente»
Onde già si partio . Né facil cosa
È , che placida vita , e senza guerra
Viva chi della pace i comuo patti
Viola con Topre sut-i poiché quantuoqae
Bgli i numi immortali , e 1* uman germe '
Possa ingannar, creder non dee per questo ,
eh' ognor star deggia il maleficio occalio *
\
sA Tito LuGRizio LxB. y. 6$
poiché parlando io sogno , o yaneggiando
Egri, molto sovente i lor misfaiti ,
Gii gran tempo a ciascun celati indarno ,
Propalar per se stessi , e ne pagaro , ' '
Quando men se '1 credeano, acerbo il flo'.
Or come degli Dei fra nuqnerose
Genti là maestà si divolgasse }
Come d' altari ogni citta s' empisse > '
Come solenni sagrific) , e pompe
Posser prima introdotte , onde anche adesso
Negli affari importanti, e ne* sacrati
Luoghi fiorìscon venerande , e tale
Danno a gli egri mortali alto spavento
Che già del terren globo in ogni parte
A drizzar novi templi a* sommi Dei
Ne sforza , e a celabraroe i di solenni ,
Non è cosa difiScile a sapersi.
Posciaché sin d' allor solean le genti
D'animo aocor ben deste, e vie più in sogno
Jacce egregie veder d'uomini eccelsi,
£ corpi d' ammirabile grandezza .
Or perch'essi appariaa di mover Taire
Lor menbra , e di vibcar voci superbe ,
Come d* aspetto maestosi > e d' ampie
Ponre, lor dieder senso» e oon mortale
V'ita indi attrìbnix ; poiché i Jor rolci
Eran sempre i »c^csmi» e la tor fozau
€$ DI Tiro Luc&s^io Lis. ^T,
Datava, e dura Teramente eterna.; . . "
N^ punto a caso immaginar, che tìbiì
Esser non potean mai da forza akaaa
Quei , che di si gran forza eran dorati •
£ in oltre s'avvisar, che di fortuna
Superasser di molt» ogni mortale i
Perchè mai della morte il rio timore
Non potea tontientarH } e perché in sogli»
Molte far gli^ vedean cose ammirande
Senza punto stancarsi. A ciò s'aggiungi'
eh* ess' intorno vedean con ordin certo
Moversi 1 cielo, e in un co '1 ciel le ym
Stagion deli' anno $ e non sapean di questo
Le varie cause investigare; e quindi
Prendean per lor reiìigio il dare a* somari
Numi il fren d'ogni cosa, e far, che il
Obbedisca a'ior cenni; e in ciel locavano
Degli alti Dei l'eterne sedi e i templi i
Perché volgersi 'n ciel vedeano il sole»
La lun^ , il di, la notte, e delia notte -.
Tutti i lucidi segni, e le vaganti
Notturne faci, e le volanti fiamme,
£ le nubi , e le piogge , e la rugiada ,
La neve, i venti, e i filmini > e l'acerba
Grandine, e i rapidissimi rimbpnkbi
De' tuoni, e il fiero murmurc tremendo.
Povero uman lignaggio.' Ahi quante allora
tojt Tirò lucftizxa Lii. V. ' if
£gli a'Niimi immortali opre si fatte
Diede > e lor l'ire aggianse , le vendette!
Quanti» oh quanti esso àllor pianti a se stesso >
Quante à hbi piaghe acerbe, e a' minor nostri
Quante , e quai partòrlo lagrime* amare/
Né punto ha di pietli> che il sacerdote
Spesso telato il cria verso ana sorda
Statua per terra si dvolga , e tutti
Corrano al sacro aitar , né, ch'ei s'inchini
Prostrato al suolo, e tenga ambe le palme
Innanas al tempio a i Numi sacro , e V are
Ùi sangue di quadrupedi animali
Sparga in gran copia > e voci aggiunga a i voti»
Anzi é somma pietade il poter tutte
Mirar le cose, e con sereno ciglio,
£ con placido cor: che mentre ergendo
Gli occhi, ammiriam dèi vasto mqndo i templi
Celesti alti e superni , e 1* Etra immobile -
Tutt' ardente di stelle, é viene in mente
Dell'aureo sole^ e della lana il corso i
Tosto dagli altri mali oppresso anch'egli
Quel nojoso pensier di mezzo al petto
il già desto sao capo al cielo escolle»
E qual forse gli Dei porere immenso
>Abbi'ano occultò a noi , che in varie guis^
Ruoti i candidi segni, egro sospira.
Posciaché il dubbio cor dall* ignoraoz^'
£ a
r
€% DI Tito tucR£€io Ltb. V*
Tentato cerca , e se, princìpio avesse
li mondo, e se ugualmente aver de* fine;
£ fino a quando le sue mura> e tanti
Moti» e sì varj a tollerar sien atti
Così grave fatica y o pur se il tutto
Per opra degli Dei vita immortale
Goda» e scorrendo con perpetuo tratto
Di tempo» disprezzar possa in eterno
D* immensa età le smisurate forze .
In oltre a chi non s'avvilisce il petto
Per timor degli Dei? Cui non vicn manco
L'anima? Cui d'alto spavento oppresse
Non s'agghiaccianle membra » allor che d'ampii
Torrida mibe il fo/gor piomba» e rapidi
Scorron per l'alto ciel murmuri orrendi?
Or non treman le genti , e il popol tutto }
Non quasi un mortai gelo i re superbi
Sentonsi ai cor » mentre de' Numi eterni
Temon l' ire nemiche , allor che giunto
Credon quel tempo» in cui de'lor misfatti
Pagar debbono il fio? Che se l'immensa
Forza d'euro» e di noto in mar sonante ,
Squassa » e ruota suli' onde un sommo duce
In armata navale» ed allor quando
S' urtan le schiere avverse , e gli elefanti »
Non chied' egli con voti a* sommi Dei
P^ce? Non fa preghiere a i venti irati
A
91 Tito LvCKttio LIb. V. 6$
pAHtoso y e non chiede aure seconde ì
In van , che nulla meno' ei pur sovente
Oa violento turbine assalito \
Spinto e di morte ai guado: in cotal guisa
Calca una certa riolenta. occulta
Tutte rumane cose , e prende a scherno
I nobil fasci , e le crudeli scuri .
Al fin quando la terra orribilmente
Sotto i pie ne racilla, e scosse ai suola
Caggionoy o stanne di cadete, io forse
Ampie terre, e città, qaal meraviglia
£* y se gli uomini ailor cura non hanno,
Qiaai si dovria , di ^ medesmì , e solo
Ampia danno a gli Dei forza , e ammiranda ,
Che freni, e volga a suo talento il tutto?
Nel resto il rame poi, 1* argento, e l'oro
Trovossi, e il duro ferro, e il molle pk>tnbo.
Allorché sopra ì monti arse le selve
Fiamma o da nube ardente ivi lanciata ^
O da provida man per, le foreste.
Ove alfor combatteasi , in guerra accesa
Per terror de' nemici ; o perch* indotti
Dalla fertilità d'alcun terreno
Scoprir grasse campagne , e paschi erbosi
Voleano s o aneider fere , ed arricchirsi
Di preda. Coneiossiachè molto prima
Nacqne il cacciar éo '1 foco , e con le fosse.
^o DI Tito Luc&X2io Lib. V-
Che il cinger con le reti, e con le gttda>
E co' bracchi, e co'TcIcri, e co*jiiasKÌQÌ
Destar le selve. Or che che sia di questo b
Per qualuoqae ragion la fiamma edace
FiQ dall'ime radici in suon tremendo
Divorasse le selve» e il suolo ardesse s
Dalle fervide vene entro i più cavi
Luoghi del monte un coovenevoi rio
Scorrea di puro argento, e di fin oro>
£ di piombo > e di rame > che rappreso
Poscia al suolo splendea d* un vivo , e chiin
Lume , e d* un liscio , e nitido lepore ,
Dalla cui dolce vista aiFascinati
Gli uomini 1 si prendcao : quindi veggenàli
Ch'egli in se rìtenea la forma stessa
Ch'avean le cave pozze, onde fu tratto.
Tosto allor s'accorgean, che trasformarsi
Liquefatto dal foco in ogni forma
Potea di cose } e quanto altrui piacesse
Co '1 battedoy e limarlo, ed arrotarlo
Tirarsi in punte acute, ed in sottili
Tagli , onde poscia di saette armarsi
Potessero, e tagliai piante silvestri,
^ spianar la materia, e rimondare
**€ travi , e gli altri necessarj arredi
^cr oso delle fabbriche , e pulirli
Anco , e forarli , e conficcarli insieme ,
^
■^
ijr Tira locRi^tio lii. V. fx \
Ni jnen punto sdlopriir st^ fatte, cose
G)a ràrgeii(to, tfoii Tor gli uomini in primft
S*aocÌBgeaa> che co '1 forte, e dura ramei
la Tan, posciaché tima ogni sua posià
Era a ceder costretta» e non potea
Soffrir tanta £atica . Indi in maggiore
Pregio era il racne ; < l' or negletto , e Vile
Giaceasi inucil póndo } or airincontc^
Si giace il ram^, e in sokntno pregiò è Vàtot
Tal éeììe uoiane cose i tempi muta*
La rolubii età. Qpel^ che una- volta
Caro eistr-^^ne solca, d'ogni onor prito •
Finalmente diviene Quindi succede.
Che r or già dispregerolé , com* era ,
Non seòlbra; anzi ?iepiù di giorno in giohio
£ bramalo , e cercato, e ritrovato '
pi lodi adomo fra morra li sciocchi
Fiorisce , tfd ha meràTigliosi onori ^ •
epe tu per te 'medesmo agevolmente
Beo conoscer potfai > come trovata
fosse dei (trro la natura, e Tuso.
Armi pria fot le mani, e -Pugna, e i denii ,
£ i sassi , e in un co' lassi i tronchi famt ^
De' boschi i e poi che ne lur note in ptiiiiaf
Le fiamme, e il <bcd{ indi tìrovossi il ftrro»
£ il ramej e pria- del ferro il rame iii opra
Fu^iafs^, perché illoi ctpin aiaggléré
E 4
yx Pi Tito Lucrezio JLib/Y.
N'era, e Tiepiù trattabile oattira
Avea del ferrò. Essi la terra adunque
Coltivavan co '1 rame ; in guerra armati
Di rame usciano , e tempestosi flutti
Mescean fra lor d'avverse schiere, e vaste
Piaghe fean tra nemici , e i greggi , e i ean[
Kapian; che armati essendo, agevoImcDCe
Tosto ogrun lor cedea nudo , ed inerme «
Quindi di passo in passo i ferrei brandi
Dagli uomini inventati , e quindi voice
Furo in obbrobrj e in disonor le falci ,, .
Di rame s e cominciar gli agricoltori
A fender della terra il duro seno
Solamente co *1 ferro ; ed adeguati
Pur della guerra i perigliosi incontri ^
E pria fu da' mortali in uso posto
Il salir su i Cavalli, e moderarli
Co *1 freno j e della spada armar la maoo.
Che il tentar sovra i carri a due corsieri
Della guerra ì perigli. £ i carri a due
S* inventar > pna che a quattro, e che di fiki
Crudeli armati. Iodi a* lucani btioi
Gravar di torri il vasto orribil dorso
I peni y ed insegnar delle battaglie
A soffrir le ferite , e in strane guise
Di Marte a scompigliar l'ampie ca terre .-
Tal d'altro altro poteo l'empia e crudoler
DI Tito Lucrezio Lib. V. 71
Discordia partorir, che ali'uman germe
Posse poi spafencevole fra 1* armi ; .
£ tal sempre viepiù di giorno in giorno
Della guerra al terror terrore accrebbe.
Tentaro i Tauri atìche io battaglia , e spesso
Per prova d'inviar contro i nemici
I crudeli cignali i e in lor difesat
1 Parti vi mandar fieri leoni
Con severi maestri , e con armate '
Guide, che a moderarli» e porli a freno
Tesser bastanti: Invan> poiché iafiamoian
Di strage indifferente ambe le schiere
Scompigliavan crudeli > e de' lor capi
D*ogn' intomo scocean i'orribil creste ^
Né poteao de' cavalli i cavalieri
Piegare i petti spaventati, e messi
Da' lor frèmiti in fuga , e rivoltarli
Co 'i fren contro i nemici i e d* ogni parie
le leon2e irritate a precipizio
Si lancia van dal bosco, e i viandanti
Assalian fttriboDde, e inaspettato
Gli rapivan da tergo, e con acerbe
Piaghe a tetra gettandogU > i crudeli
Denti in essi aEBggeano, e Pugne adunche;
Agitati i cignaU erao da' tori , ,
£ calpesti co* piedi, e per disotto
Spalancati i cavalli i fiknchi > e il venuc
'j^4 i>^ TiTd LocitBsid Lia. V.
Dalle torna robasce , ed atterrati
Pagli urti in oiioaccevole sembiante;
Ma con 1' orride zanne 1 fier cignali
I compagni uccidean ^ del proprio saogae
Tingendo i dardi in se spezzati , e mistt
Stragi facean di cavalieri , e fanti .
Conciossiaclìé i catalli, o dell'irato
Morso schivando 1 perigliosi incontri
Lanciavansi a traverso » o con le zampe
Moteaoo eretti aspra battaglia a i ventic
Invan> poiché da' nervi i pie succisi
Ruinar gli vedresti, e gravemente
Sovra il duro terreo battere il fianco.
Che se alcuni abbastanza essere innanzi T
Domi in casa credean , nel manegc^iarli
S'accorgean, che irritati ,. e d*ira accesi
£ran poi dalle piaghe , e dalle strida »
Pai terror, dalia fuga, e dai ta malto s
Poiché tutti fuggiao , come sovente
Mal difesi dal ferro or gli elef»ci
Soglion anco fiiggir, tra saoi lafdkodo
Molte di ferità vestigia orrende.
Si far poteaa > bench' io mi creda appesa >
. eh' essi pria molto bene immaginarsi
Non dovesse! con T animo > e vedere
Qiianto gran comun danno» e laido scempiò
Foste poi per siMcedenei è pinccosto
hi firo ItfC&tzto Lifi. V. ' i%
Contrastar st potrù, che ciò ocl tutto
Sia più vpltc accaduto in varj moadi !
Variacneote creati , che in un certo ,
£ sol orbe tetrcn ; Ma e' non* tanto
Ciò fer con speme di futura palma,
Quanto per dar, che gemere a'ior fieri
Nemici > e disperati essi morire
Diffidando dei nomerò, e dell'armi.
Pria di aessili vesti il nudo corpo
Gli òomini si coprian^ ohe di tessuto
Manto. Il manto tessuto é dopo il ferro»
.Che solo il ferro a prepararne è buono
or insrrumeoti da tessere, e non ponno
Farsi per altra via tanto pulite
Le fusa, i subb), i pettini, le spole,
Le sbarre , i Ucci , e h sodanti casse •
Ma pria te lane a lavorar costretto
Oa natura fu Tuoni, che il femminile
Sesso; poiché ndrarte il riril germe
Preval molto alle donnt , e di gran lutigt
È di lor pia ingegnofo, e diligente:
£ ciò , finché i severi agricoltori
Se T asfisserò a tizio , «- v' impiegaro
Le femmiae, e per st voller piuttosto
Soffrir durt fatiche, e in oftt dure
Durar le membra ed iscallir le mani*
Fu poi delle semente, 4 de^V innesti ' - «
'j€ or Tito Locrbzio Lia. V.
Prima saggio, ed orìgine la stessa
Creatrice del tutto alma natura .
Conciossiaché le bacche , e le caduche
Ghiande sotto i lor alberi nascendo ■
Tempestivi porgean sciami di figli ;
Onde tratto eziandio fu 1* inserire
L* una pianta nell* altra , e sotterrarne .
Nel suol pe* campi i giovani rampolli .
Quindi tentar del dolce earopicello
Altre > ed alrre culture y e vider cpindi
Farsi ognor più domestici , e pid dolci
1 salvatichi frutti > accarezzando •
La terra > e con piacevoli lusinghe
Più , e più coltivandola : e sforzaro
Le stUty e i boschi a ritirarsi a i monti»
Cedendo i luoghi inferiori a i culti;
Per aver poi oe' campi > e su pe'cplli
£ prati , e laghi , e rivi , e grasse biade»
£ dolci e liete vigne ; e perchè lunghi
Tratti potesse! di cerulei olivi
Profusi ir distinguendo, e per l'apriche
Collinette, e pe' campi, e per le valli:
Quali appunto vedersi anco al presence
Può di v^rio lepor tutto distinto-
Ciò che di dolci intramezzati pomi
Ornai! gì* industri sericoltori , e cinto
Tengono intorno di felici arbusti «
s
i>i Tiro LucRizio Lib. V, 77'
In oltre il concrafBir le molli yocl ,
Degli auge! con la bocca innanzi molto
Fu> che in musiche note altri potesse
Snodar la lingua al canto , e dilettarne
' L'orecchie. £ pria gli seffiri spirando
Per lo vano de* calami palustri
Insegnar coMor sibili a dar fiato
Alle rustiche- a?ene.'Ind*impararo
Gli uomini a poco a poco 1 dolci pianti ,
Che sparger tocca da maestra mano
La piva suol, che. per le selye e i boschi
Trovossi , e, per 1* antiche erme foreste ^
Alberghi de' pastori, e tra felici
Ozj divini. In simil guisa adunque
Trae fuor 1* etade a poco a poco ogni arte
Dal bujo , in cui si giacque » e. la ragione
L' espon del giorno ai lume . Or con si fatte
Cose addolcir solean le prime genti
L* animo , . allor che sazio aveano il corpo
Di cibo; poiché alior si fatte cose
Tutte in grado ne son. Dunque prostrati
Non lungi al dólce mormorar d*un rio
Tra molli erbette i pastorelli ali' ombra
Di salvatiche piante , il proprio corpo
Tenean co '1 poco in allegrezza, e in
Massime allor <|he la stagion ridente/
Dell'anno il prato cospergea di fiori».
^i DI Tito Lucrezio Iib, V--
Allora io uso eran gli scherzi , allora
le iaeete parole , allora 11 dolce
Sganasciarsi di risa, ailor festante
L'amorosa lascivia incoronava
Le spaile, t il capo con ghirlande imeste
Di fior novelli , e di novelle frondi ,
lócicàndo a ballar quel popola rozzo
Goffamente,, e senz'arte, ed a ferire
Con dólci salti alla gran madre il dorso ^
Onde nascer solean dolci cachinni.
Perchè allof viepiù nuove, ed ammirande
£ran tai cose ; e quindi avean del sonno'
Il dovuto conforto i vigilanti.
Variando y e piegando in ibolti modi
Le voci, e il canto, e con adunco labbra
Scorrendo sopra i calami- £ disceso
Quindi ^or si conserva un. tal costume
Appo quel , che da morbo , e da nojosa
Cura infestati, i^ consueto sonno
perdono. £ benché questi appreso ornai
Abbiano il modo di sonar con arte ,
Osservando degnameli concordi
Le' varie specie, essi pero /'maggiore
prutto alcun di dolcezza indi non hàtino
Di quel , che della terra i rozzi figli
Aveano alfor: che le presenti cose
(Se BOA se forse di fìà care e dolci
] 91 Tito Lucrjtzio Lis. V« ^ji^ ,
Pria si gustar ) pnnrìpalm«nte ti sento
Piacciono , e 9*hati é^lV uomo in sommo ^cgio\
Ma la nova, e miglior qoasi corrompe*
L'antiche invenzioni, e muca i sensi
A ciò, che pria ne fii soave. In qtiesU
Gaisa i* acqua , e le ghiande incominciaro
Da gli uomini a scliifarsi^ e posti 'd uso
Pur da tutti in tot vece il grano, e Tuva*
In questa gunt a poeo a poco i Ietti
Stesi d'erbe, e' di fròndi^ abbandonati
Furo, e il suo primo ohor perse la ^ife^,
£ la veste ferina $ ancorché fosse
Trovata alior con si mahgna invidia:
che ben creder si dee, che a tradimento
Fosse «cciso colui > che pria porjtolias
£ che al fin tra le spade insidiose
Tutta dèi proprio sangue intrisa e lorda
Fosse astretto a lasciarla, e non potesse
Trarne a prò di se stesso utile alcuno. ^
Allor dunque le pelli, or Toro, e l'ostro
Ne travaglian k vita , e d* odiose
Cure n' empiono il petto , e ne fan guerta ;
Onde a quel > che scim* io , viepiù la colpa
Risiede in noi , che della terra i .nudi
Figli del duro ghiaccio aspro tormento
Senza pelle somian . Ma nulla offènde
Noi r esser privi di purpureo manto >
IO DI Tito LtrcRizio Lib. V.
Di ricchi fregi , e di fin oro intesto ;
Parche Teste plebea 1* ignude membra
Ne copra j> e dal rigor dei verno algente
Possa intatti serbarne . Indarno adunque
Suda il genere umaa sempre, e s' affaci t&a»
£ fra Tani pensier l'età consuma >
Sol perch^ei non conosce, e not^ apprezza
Punto , qual sia dell'aver proprio il fine,
E fin dove il piacer vero s'estenda;
£ ciò ne spinse a poco a poco in alto
Maire a fidar la vita a i vent' infidi ,
£ fin dall' imo fondo ampj bollori
D'aspre guerre eccitò. Ma i vigilanti
Globi del sole, e della luna intorno
Girando > e compartendo il proprio lume
Ai gran tempio , e versatile del mondo >
A gli uomi n'insegnar, come deiranno
Si volgan le stagioni i e come il tutto
Nasce con certa legge, ed ordln cerco.
Già di forti muraglie , e di sublimi
Torri cinti viveansl, e gii divisa
S' abitava la terra . Allor fioriva
[ Di curvi legni '1 mar; già collegati
L'un l'altro aveaho ajuti » avean compagai:
Quando in versi a narrar 1' opre famose -
Comiociaro i poeti , e poco innanzi
Far le lettre inventate i indi non puote
[
' DI Tira LucUBZio Lii. V. St
L* età nostra v'odet ciò , che s'opiMe
In ptia> se non se fin là> Ve ne addita
I vestsgj 1 dfseotso ^ pr la cKkuijij
De* campi > e 1* alte tocche» e le robuste
Mura, e le navi audaci, e le severe
Leggi» l'afnÈu, le tie, k rrfeitii e r:akrt
Cose a lor soniiglianti > e tutte in somaa
Del vttfer le délkì^,4 dobi carmi; -
L'ingegnose pitture, e le Dedalee
Statue r uso ias^oènoc , e dell* impigta
Mente il discorso, il qual di passo in passo
Sempre s* avanza. In cotal guisa afiunque
Trae fooc T ccade a peeo a poco il tutto
Dal bajo» in cui «i giaeque, e la -tagiàék -
L^espon del giornor a' laminosi faggi* -
Poiché far si vedeà nata con I-arte
L* una eòsa dall' akra, iafin che giunti
Fot deir^oquuMt industria al' sommo giogo.
di rit$ iucr. Caro T. 11 •
il
D I T I T O
LUCREZIO CARO
DELLA NATURA DELLE CX>SE,
LIBRO S ESTO.
. Rimi « gli egri mortali Atene un tempo
6ofXA flgoì altra cittì chiara e fkmosa .
Gli almi p^ fruttiferi, e le sante
Leggi discriboh pria 4eUa vita
Dimostronne i dftogi, e dienne i dolci
Sollazzi 9 alloc che di tal mente un nomm
Crear poteo > che già dif!use e sparse
Fuor di sua bocca yeritiera il tutto»
Di cui, quantuncfu* estinto, ornai l'antico
Grido per le divine intenzioni ,
Della fama sull'ali al ciel sen vola.
Poiché allor , eh' ei conobbe a noi mortali
Esser quasi oggimai pronto e parato
Tutto ciò , che n' è dnopo ad un sicuro
Virere, e pet cui gii lieta e felice
M tàso Lj/cMzio LiB. V. iy
Può meoarK-riici vitj^> essef potca^l,
Di ricchezze, e d* òaoc colmi, e di,. lode
G(i uomini »^«: i figH ior .per..^nu Itltiitriy
£ pur lempre arci tucti ingombrQ il .pptto
D* ansie ciue , e mordaci > ■ e vii oia^cipio :
Di nocive querele esser d' ognuno
L' animo , ei beo .s' accorse , ivi '1 di£;tco
Nascer dal vaso stesso} e tutti il^eni.
Che TI giungoà di' fuoii , ad uno ad uno
Dentro per colpa sua contaminarsi. -
Patte 9 perché . si largo , e, si forato
Vedeal > che per empirlo al vento sparsa
fora ogn* industria > ogni fatica, ogni altee i
Patte > perchè incettar quasi '1 mirava
D* un malvagio sapor tutte le cose ,
Che in lui capi;^!. Quindi, purgonne il petto
Con veridici dettU e tecmin pose
Al timore» al desio » Quindi insegnonne,
Qual fosse il sommò òene, ove. ciascuno
Dì giunger brama i, e n'additò la -via»
Onde per dritto calle ognun potesse
Correrti i e qtiaoco abbia di ipaie iti tutte
V umane cose , altrui fé' manifesto »
£ come d' ogn' intorno egli si spanda, 9
£ voli in virie guise, e ciò sia f^ao,
O di natura impulso; e per quai poi^e
Debba, incontrarsi . E al fin proròjt.-c^e l'uomo
n
34 DI Tito Luc&Ezto Lib. VI.
Spesso inran dentro al petto agita, e yciff
Di bojosi petsier £uttì dolenti.
PoieM siccome i fancialctp al bajo
TeniOD £inrasini insussistenti, t htvti
Tal BOI «srenie paTemiamo al sole
Cose 9 che nnlla piò son da temersi
Di quelle, che future i fanciullecti
SoglioQ fingersi «i bajo, e spaventarsi.
Or si Tano terror> si ciécho Tenebre
Scuocer bisogna, e via scacciar dall' anraMi
Non co' bei rai del sol, non già co*Iacidi
Dardi del giorno a saettar poc' abili
Fóorché l'ombre notturne > « i sogni pallidi i
Ma co*I mirar della natura, e intendere '
L'occulte cause, e la Telata immagine $
Ond' io Tiepid ne' rcrsi miei Teridici
Seguo la tela incominciata a tesserci .
£ perchè t'insegnai, che i tempi eecelsi
Del mondo son mortali $ e che (brniAto
È il cifel di liatlo corpo; e ciò the in dm
Nasce, e méstier fa, che vi nasca, al finb
Ptt lo pia si dissolve ; or quel, che a ditti
Mi resta, Memmio» attentamente ascolta*
Poiché t Salir su'l nobil carro a un crac»
Incitar mi poteo Talta speranza
Di famosa vittoria; e ciò che il corso
Pria tcDtd d'inrpedirmi > ora é^ coovtrtò'
k f iti £u«r«(«zio tcB >VL 2f
in prò{ltio*ftt.or\-Già tane V/aitté
Cose , l|A infit^m , e in de( redtf crmrti
l'uomov a11<f «be' niciicc tiicerco fifrni}^:
Con pàuio^ Vor^^ ani mt nostri
-Co'l timor degl*r Del viH. e. coilacdi : . .
llendono, e sotco'*r pié^calcangli a terra i
Posciaehé a dae Fiinpero a gì' immortali
ì^ami,^ ed a por nelle lor mani '1 tutto»
Sol Àé sforza del Ter l'alta ignoran^oa •
Che veder noir potendo il volgo ignaro
le càuse in modo alcun d' opre si fatte ,
le ascrive a'somipi Dei. Poiché qaantunqoé
Gii sappia alcun, che Impefturfaabil tempre g
£ tranquilla , e srcurà i sanò Numi
Menaa l' etade in ciel -, se nondimeno
Meraviglia è stapor [''animo intanto
or iogombtay onde ciò sia» che poMan toste
Genefafsi le cose> é specialmente
Quelle, che sovra*! capo altri vaghe^ia
Ne' gran campi deli' Etra » ei ncli' ancichf
Religion cado di nóvo^ < piglu
Per se stesso a se ttesiò aspri tiranni »
Che il miset crede oontpotenti: ignaro
Di cid che puote» e ehe non puote ai nfondor
Frodarsi ; é come' finalmente il tatto '
Ila pot^r limitato^ e termin certo:
Ond' errante tiepiil dal yer si scosm .
85 Di Tito LucRcriò bB« Vii
Che se tu dalla meme ornai mofì Cft^i
Un ti folle pensiero V t no'l respift|^
Lungi da te, de' somvv Dei credendo
Tai cose indegne,- ed aljteqe affacca.
Dall'eterna lor pace,, ak £ che. de' santi
Numi la maestà, limata e rosa
Da te medesmo a te medè&m^ innanzi
f arassi ognoc i non perchè possa il sommo
Lor vigore oltrnggiat»i , onde iufiaoimacL
Di sdegno abbian desio d'aspre yeudetce^
Ma sol perchè tu stesso a te proposto
Ayrai , eh' essi pacifici . e quieti
Volgan d' ire crudeli orridi ■ flutti :
Né con placido cor visiterai
I templi degli Dei i né con tranquilla
Pace d'alma potrai di santo corpo
L'immagini adorar, che in rarie guise
Son nunzie all'uom della Divina forum..
Quindi lice imparar , quanto angosciosa
Vita ornai ne consegna. Ond'io, che noj/^
Più desio, che scacciar 'da' petti umani
Ogni noja , ogni afknoo , ogni cordoglio f
Benché molto abbia detto, ei pur mi resta
Molto da dir, ^che di puliti versi
D*uopo è , eh' io fregi . Or fa mestieri , o MenUD»
Ch'io di ciò, che negli ahi aerei campi j'
£ in elei si crea, l'incognite cagioni '
^i Tito Lucrezio Lib« VI. ^7
Ti sveli. ^ e le tempeste > e 1 chitri fiitmini
Canti , e gli cfièctì loto , e da qiuil haof^o
Spiati corraa pcr« 1' aria» acciò ^càe folk
Tu> le parti. del del fta loi di^i^> /
Di panca. non tremi: onde il Tolahte
Foco a noi giangai.o s'ei quindi- si Tolga
A destra 9 od a «ialsrra s ed in qua! modo
Penetri deatto a chiusi luoghi; e còme
Quindi ancox trionfante^ egli se n'esca;'
Che fcder non potendo il Tolgo igna'ko
Le cause in modo alcun d' opre si fatte ,
Le ascrive a'aoromi Dei. Tu megere io corro
Quella via> che'mi resta aI4a suprcitira
Chiara e candida meta a me prescritta >
Saggia Musa Calliope» almo riposo
Degli nomini , e biacer degl* immortali
Numi dei cielo, ot me l'addita e mostra:
Tu, chie soia- puoi ht con la tua Ada
Scorta» cb^ io del bel Laura in riVa all'Arco
Colga l*ftmate fronde, e d'esse omaf .
Gloriosa ghirlanda al crin m'ìntessa.
Pria del eenileo ciel scuotonsi 1 campi .
Dal tuon» petthé l'eccelse eteree nubi
S' urtan cacciate da contrarj tenti .
Conciossiaché il rimbómbo unqoa non riène
Dalla paxtt serena ^ anzi dovunque ^ '
Soa k nubi piò fohe, indi sovente
54
8t DI Tito Urcuzio Ub. VI.
Coo muriDtire maggior nasce il suo fremito.
la oltxe 9c si molli > me si dense >
Come i «assi , e le travi > esser iR>n powM
Le nubi ^ né si molli, né si rare ^ '
Come le aebbic inattutioey o i filmi
' Volanti i poiclié o-> dal gran pondo a tetri
Spiote cader dovrian > qual cade apponOD
Ogni trave, ogni sasso,' o dileguarsi ,
Come. il fumo, e la nebbia » e. in se xaecMB
Non potrian fredde oef i » e dure grandài.
Scorre il tuono eziandio suiitf diffuse •
,Onde aeree del mondo i in quella giùaa
Che la vela talor tesa negli ampli
Teatri strepitar suole agitata
Tra Tameone, e le travi} e spesso io
Squarciata dal soffiar d'Euro protervo
Jreme, e de* fogli il frafil suono imitai
Cbe tuoni esserci ancor di quesn sorte
Ben coocscer si puote » allor cbe il veqco
Sbatte o i fogli volanti ^ o k iospese
Vesti ; poiché talvolu anco succede , .
Che non canto fra loc testa per testa
Possano urtarsi le contrarie nubi >
Quanto scorrer di fianco,! e con avverso
Moto rader del corpo il lungo irate o |-
Onde poscia il lor taono arido terga
L'oreccUe^ e moleo duri» infin ch'ei
\
èi Tito Lifcnizio Lib. VI. Ì9
Ùscic da' luoghi aogosti > e dissiparsi •
Spesso parnè eziandio , cbe in simil guisa
Scosto da grave tuon tremi e vacilli
li tutto, e che del mondo ampio repente
Sradicate i' nlti'siime maraglie
Volio pe *1 vano immenfo , allot eht accelt;!
Di ^ento irato imfietijbsa e fier^
Improvvisa procelta entra alle nubi
Penetra, e vi si chiude , e con ri corto
Turbo, cbe sempre pia ruota, ed avvolger
D'ogni parte la nube, intorno gonfia
La sua densa materia i indi l'estrema
Sua forza , e il violento impeti acerbo
Squarciando il cavo sen la vibra , ed ella
.Scoppil, e scorte per V aria in suoli tremendo»
Ne mirabil è ciò ì poiché sovente
Picciola Tescicketta in simil guisa
Suole in «rÌ4l produif piena di spixtcì
0' knpiotviso -è^rciata alto Hrabombo.
£vvi an^or la ragionef, onde^ i robusti
Venti facciano il tuoii, mentre scorrendo
Se uè vati tra le nubi. Elle sovente
Volan «imose in varie guise , ed ^sptp
Per lo vano dell' afi< i ot nella s;es$a
Gttiia f eh' alloif che il tiofcnta 6kt0
Di coro i folti boschi agint e sferza,
FischiAo 1« fcoiif Itoadry ed' ogii' intorno
K
^9 DI Tito Ldcaezio Lib. VI.
Tronchi orrendo fiagpr spargono i xami:
Ta! del vento gagliardo anche alle toIcc
V incitato rigor spezza , e in più parca
Co i retto impeto suo squarcia le oubl .
Polche qnal forza ei^ v' abbia , aperto il
Qui per se scesso in terra , oire più dolce
Spira ; e pur non per tanto insin dall' itat
Barbe i robusti cerri abbatte e schianta.
Son per le nubi ancor Bucci» che fanno
GraTcmence frangendo un quasi roco
Murmure ; qual sovente anche negli alti
Fiumi, e nell'ampio mar, che vada, e coni,
Soglion Tonde produr rotte , e spumaod.
Esser puote eziandio» che se vibrato
D* una nube in un' altra li fui min pioaiba ,
Quesca , se con mole' acqua il foco beve ,
Tosco con alce grida il mondo assorda:
Qual se caler dalla fucina ardence
Sommerso in fretta é 1* infocato acciaro
Nella gelida pila, entro vi stride.
Che se un'arida nube in se riceve
La fiamma» in un momcnco accesa» ed arsa
Con smisuraco suon folgora incorno:
Qual. se pe' monti d* Apollineo alloro
Criniti il foco scorra » e con grand' impeco
Gli arda cacciato dal soffiar de' vénti %
Che nulla e » che abbruciando in si cremendo
DI TlTp LUCILZZIO LlB. VI. ^l
Suon crat le fiamme screpiuodo scoppi >
Quanto i delfici lauri a Febo sacri.
Al hn d'acerba grandine, e di gelo
Un fragor yioleotOy e un precipizio
Spesso nell'ampie nubi alto rimbomba:
Che allor che il vento gli condensa y e gli^empie>
Frangonsi 'n luogo angusto eccelsi monti
, . Di grandinosi nembi in gelo accolti •
Folgora similmente > allor che scossi
Vcngon dagli urti dell' avverse nubi
Molti semi di foco 5 in quella guisa
Che se pietra é da piecra , o da temprati»
Accia r percossa, un chiaro lum^ intorbo
Sparge, e vive di foco auree scintille.
Ma pria che a* nostri orecchi arrivi '1 tuono,
Veggon gli oc^bi '1 baien $ perchè più tardo
Moto ban semprie i principj atti a commovete
L'udito, che la vista; il che ben puossi
Qiiindi ancora, ipipa rat: che se da loogi
Vedi con la bipciine un tronco busto
Speziar d' alberp annoso a il #oIpo n^iri
Pria che -1 aoon ,tu ne senta . Or nello stesso
Modo a ^li occhi eziandio giunge il baleno
Pria che T tiv>no all' orecchie i ancprch* il tuono
Sia vibrato co'Holgore, e con lui
D' una causa prodotto , e d' un conoocfo .
Speuo ay vico > che in tal guisa aiu^r si tinga
j^i DI Tito Lucrizio Lib. VJR*"
b' un lume yelocissimo , e , risplenda
t)'uQ tremalo fulgor 1* atra tempesta ^
Tosto che il reato alcuna nube asstlse ,
£ quivi *n: giro yolto , il cavo seno ,
Qaal sopra io ti dicea , n'addensa / etuidgejl
£ ferve per la sua mobil natura,
Come tur te scaldate arder le cost^
Veggiam nel moto } ònd' anche il luDgcr coni 1
Strugge i globi gire?oli del piombo .
Tal dunque acceso il vento , atlor che iti adn
Squarcia l'opaca nube, indi repente
Molti semi d'ardor quasi per fotta
Spressi disperge > i quai di fiamiìia ihcorod
Vibran fulgidi lampi. Or quinci*! tuoDo
Nasce, il qual vieppiù tardo il seosd move
Di qualunque splendor, ch'arrivi all' occhio i
' £ ciò tra folte , e dense nubi avviene V
In un pfolbhdan^ente altre sopr' altre
Con prestezz' ammirabile ammassate.
Né t'inganni il veder, che l'^uom dà ferri'
Può viemeglio osservar , per quanto spasio
Si dist^ndon le nuvola i che quanto
Salgano ammonticate in verso il cielo i
Poiché se ttf le miri ,- allor che i venti
Pter l'aure se le portano a traversò » ~
O allor che pe^gran monti accumulate
Si stana» alcfc ^opr' altre; e le supero» -
l^remon P ioferne immollili, tacendo
Dei tutto i Tenti , sllor potrai le vaste
Lor moli riconoicete, «'Vedbre
L*altiislm*, ed terribili nj^lonche»
tjiiasi costrutte di pendemi sassi »
O^Cf poi cbe tciiipcRi il ci^Io ingooeibniv
Entrati labbicài'i >venci,- e con tremendo.
Marinure ti' ogn'-jinorno '^■IW Mceiiiusi /*
Tremo ; e mìnacctvnlf , 'e superbi
Vibran , di fere in giiisà >' ancorché in gabbia >
Per le nnbi agitate or quinci, or't|uindi
I lor fieri raggici y e via cercando
.Si raggiran per tiitto» e dalle nubi ..
Convoigon molti semi atti a pix)dorrtt
II foco, e in guisa tal n'aduoan molti»
E dentro a <jueUe concave fornaci
Ruocan h fiamma * lor, finciié coruscfai ,
L*atra nube is^aavciatà , indi risplendano.i
Avviene ancor > che^lbrioso^ e rapido
Per quest'altm cagioo 1* aureo fulgore
Di quel liqaìdo foco, in terra icenfa;
Perché molti di foco faan semi *accòlti
Le anbi itessef il che vedersi aperto
I\iò da noi) ^ando asciutte t « lenz* alunno
Umido son ,' che d' un fialMmaaté » e vivo
Color splendon lovente: e ben oooviensi >
eh* elle accese in quel iémpa>.c nbipoiidt
>4 ^^ Tito Lucaeìió Libv VI»
Spargono in larga copia alate fiamme s .
Perché molti di lol raggi lucenti
Mestier é pur > eh' abbian concetti . Oi quaodtf
Dunque il furor dei vento entro gli afona
A raccogliersi 'n uno, e stringe, e calca *
Premendo il luogo, e'«i difibndou eosco
Gli elessi semi in larga copia; e quindi
Della fiamma il color folgora, e splende.
Folgora similmente » allor che molto
Rarefansi eziandio del elei le nubi ;
Poidbé qualor , mentre per 1* aria a role
Sen Tanoo> e if vento leggiermente in v ade
Parti le parte , e le dissolve , é d' uopo
Che cadan lor mal grado , e si dispergano
Quei semi , che il baien creano i edf allora
Folgora senza mono , e senza retro
Spavento orrendo , e senz* alcun tumulto .
Del resto qua! de* fulmini l'interna
Natura sia , bastevolmeitte il mostra
La lor fera percossa , e dell' ardento
Vapor gì' inusri segni , e le vestigia
Gravi , e tetre esalanti aure di zoifo^ .
Che di kcp son questi , e non di vento
Segni » né d'acqua. £ per se scessi *n obfc
Degli eccelsi edificj ardono i tetti»
£ con rapida fiamma entro gli scessi
Palagi Kosron trionfanti. Or questo
mTàTo Lucits2io Lm. Yì; $$
foco spilli più d* ogni fpcb , è l^tto
D'atomi mioatissimi > e si mobili.
Che oair af&tto può durarg^ incontro y
Posciachè furibondo : il fulmin passa >
Come il toooo. e la voce > entro i pia chiosi
luoghi degli edifìcj > e pet le dare.
Pietre > e pe 'ibrofiz0 Ve ìQ ^(^ sol tratto « e in uno
Punto liquida rende ìi rime , e Toro.
uole ancor procurar., che «fitere e sane
Kimanendo le botti il vi* repente
Sfumi .* e dà perchè- tutto intorno i fianchi
Del vaso agevolmente apre, e dilata
Il vegnente calor , tosto che in lai
Penetra , e in uà balen soiv« , e disginnge
Del vino i. semi; il che non par, che possa ';
Io lunghissimo tempo oprare il caldo
Vapor dei sol: cos) > possente è questo
Di coriisco fervore impeto , e tanto
Viepià tenue , e pia- rapido , e pia grande •
Or come il fui min ita creato, e tanto
Abbia in se :di furor , che in un sol colp«
Aprir possa. le torri, e fin dall'imo
Sc[uassar le case , e Jc robuste *travi
Svellere, craiòarlej e de* famosi ^
Uomini demolir gli alti trofei ,
Spavjentar d*ogii' intorno , ed avvilire
E gli auncQti, ci pastori, e te sdtagge
^S Bx Tito Lvcriueio Lii. VL
Belve» e tante alare optar cose ammircnde
Simili alle oartace » io brevemente
Sporrotti » o Memmlo , e senza indugio- nlcoM «
Creder dunque si dee > che generato
li fulmin sia dalle profonde e^dense
Nubi $ poiché* giaoimai dal ciel sereno
Non piomba» o dalle n^Tole men folte .-
£ ben questo esser vero» aperto il moscrai
Che allor s' addensan d* ogn' intomo ia «ria
Le ndbl in guisa tal» che giureresti »
Che tutte d*,Acberonce uscite l'ombre
Riempisier del ciel 1* ampie caverne :
Tal iosoru di nembi orrida notte ,
Ne $OTrastab squajrciate e minaccianti
Gole d* atro terrore, allor che prende /
Fulmini a macchinar 1* aspra tempestìi.
In oltre ,a&sai sovente un nembo scuro»
Quasi di molle pece un nero £ume>
Tal dai cielo entro ai mar cade neironde»
£ lungi scorre , e di profonda » e densa
Notte caliginosa intorno ingombra
L* aria , e trae seco a terra atra tempesta %
Gravida, di, saeue, e di procelle,
£ tal principalmente ei stesso e pieno
£ di fiamme , e di turbini , e di renrì ,
Che in terra ancor d'alta paura opprem
Trema^ e «fiigge la gente ^ e sr nasconde •
DI tiro Lucrezio Lib. VI. ""ff
Tal sovra H nostro capo atra tempesta
Jotzà duoqu<è> die sia, ciie né con taata *
Caligine oscurar potriano il mondo
Xe nuvole > se molte onice a molte-
Kon fosscr ^r dtvsopra, e i vrvi raggi
£scludessez del sol ; né eoo si grande
I^ioggia opprimer potrian la terra in gaisa >
Che i fiumi traboccar spesso , e i rorìrebn
Facessero» e notar nell'acque i campi >
Se non fpsae di nuvole altamente
Ammassate fra lor 1* Etere ingombro .
Dunque di questi fochi, e questi Tenti
È pieno il tutto; e per ciò freme, e ribra
Folgori d* (^n* intorno irato il cielo.
Conciossiacbè poc' anzi io i* bo di»05ti:o ,
Che molti di yapor semi in se stesse
Han le concave nubi : e molti ancora
D'uòpo è, che dall' ardor de'rai del sole
Lor ne sian compaithi. Or questo istèsso
Vento , che in un sol luogo , ovunque el scorie ,
Le unisce a oo^o , e le comprime , e sforza >
Poiché spressi ha d' ardor^ molti principj »
£ con lor s* é mischiato, ivi s'aggira
Profondamente insinuato un vortice ,
Che dentro a qjielle calde acre fornaci
Ag\iiXà > -e tempra, il fulmine tremendo.
Che per .doppia, cagvon ratto s' infiamma ^^
a T$f§L$Mr. Cmtì r. 21. G
<
^l DÌ Tito Ldc&ezio Li«. VL
Coflciotsudiè si scaldi, e pe*l soo i^do
Moto, e dei foco pel contatto, e quindi
Non si costo per se ferre agitata
V energia di quel Tento > o graTemente
Delle fianune i' assai l'impeto acerbo.
Che tosto allor quasi maturo il fiiimio^
Squarcia l'opaca nube, e di conisco
Splendor Taer illustrando ii lampo stuttia«
Cui tal grave succede alto timbomix>»
Cbe^ repente pezzati opprimer sem^^a
Dei eie! gli eccelsi tco^pli. Iodi un gela»
Tremor la terra ingombra, e d'ogo* Intono
ScprroQ per Talto ciel murmuri orrendi i
Che tutta quasi ailor crema sqoassau
La sonora tempesta, e freme, e mugge/
Per lo cui squassamento alta, e feconda
Tai dall' £tra cader suole ona pioggia ,
Che par, che i'£tra stesso io pioggia Tolto
Siasi, e che tal precipitando in gioso
Ne richiami ai dilurio . Ot si tremendo
Snpn dei ratto squarciarsi 'o ciel le nubi
Vibraci, e dalla torbida procella
Del vento in lor racchiuso , allor che rqh
Con ardente percossa ii fulmin torto..
TaiTolta ancor l'impetuosa forza
Del fcoto esternamente urta, e penJtrn
Qualche nube j»busM , e di inatUffo^
Bt tiro LuftAEtio LiB« VI, ^9
Fttlmm^glà pregna » onde repente allora
Quel vortice dì foco indi ruina»
Che noi con patria foce appeliiam fulmine.'
£ i' istessp succede anche in mole' altre
Parti » dovunque m tal furor lo porta .
Succede; ancor > che 1* energia del vento >
Benché senz* alcun loco in giù vibrata »
Pur talot , sientte viene , arde nel lungo
Corso > per via lasciando alcuni corpi
Grandi , che penetrar Taore egualmente
Non ponnoi e dallo stesso aere alci^n' altri
Pìcciofetti ne rade , ì qua! volando-
Misti 'n aria con lui ft^rouMi le fiatnn;iè :
Qual se robusta man di piombo un globQ
Con girevole fionda irata scaglia»
Ferve nel lungo corso, allor che molti
Corpi d' aspro rigor per via lasciando
Neir aure avverse ha già eoncettp il foco.
Ma suole anco avvenir > che dallo stesio
Colpo F impeto grav« ecciti, e svegli
Le fiamme , allor che ratto io già vibrato
Senza foco è dei venco il freddo sdegno.
Poiché, quando aspramente ei fiede in terr/i|
Pon da luì di vapor molti pi?iocip|
Tosto insieme concorrere , e da quella
Cosa, che'l fiero colpo in se ricerer
Qoal se ima viva pietra è da temprato
G a
1
}
loo DI Tito Lucrbzi® Lis YI. •
Acciar percossa; indi fciacilla il (beo;
Né perché freddo ei sia, que'serai ioremi
Di cocence splendor meo lievi > e ratti
Concorrono a' suoi cólpi . In simil gaisa
Dunque accendersi ancor posson le cose
Dal fulmia, se per sorte elle son atte
La fiamma a concepir ; oé puote al certo
Mai del tutto esser fredde il vento, allom
Che Còti canto furor dall* alte nubi
Scagliato e in terra , sicché pria nel cono
Se co '1 foco non arse, almea commisto '
Voli co *1 caldo, e a noi tiepido giunga •
Ma che il fulmine il moto ahbia sì rapido >
£ si gtave , e sì acerba ogni percossa ,
Nasce, perché l'istesso impeto innanzi
Per le nubi incitato in un si stringe
Tutto , e di giù piombar gran forza ac^piiiti.
Indi allor che le nubi in se capire
L* accresciuta sua forza ornai non ponoo
Spresso e '1 vortice accolto , e però vola
Con furia immensa ; in quella guisa appuat»'
Che da belliche macchine scagliati
Volar sogliono i sassi. Arrogi a questo^
Ch*ei di molti minuti atomi, e lisci
Semi è formato, e contrastare ai corso
Di natura si fatta é dura impresa.
Che tra' corpi ei s'insinua, e per lo rata.
bi Tirò LdcREzìò Lit. VI. joi
l^enetraj onde per molti urti, ed intoppi
Puntò non si riticn ; ma striscia > ed oltre
Vola con ammirabile prestezza.
In oltre, perchè i pesi kàn da natara
Tutti propension di gire al basso j
£ s* avWen , che percossi esternamente
Siàn da forza ma^ior , tosto s* addoppia
La prontezza del moto, e viepiù grave
Divien i* impeto loro , onde più ratto ,
£ con pia violenza < urti e sbaragli
Tatto ciò, eh' egl' incontra > e non s* arresti <
Al fin , ciò che con lungo Impeto scende ,
D' uopo è , che sempre agilità maggiore
Prenda , che più , e più cresce nel corso -,
E il robusto vigor rende più forti,
£ più fieri i suoi colpi t e più pesanti «
Poiché fa, che di lui tutti i pcincipj.
Che gli son dirimpetto, il volo indrizzino
Quasi 'n un luogo sol, vibrando insieme
Tutti quei, che ii lor (y>rso ivi ban rivolto:
Forse e deli"aria stessa alcuni corpi
Seco trae , mentre vien , che crescer ponno
Con gli urti lor, la sua prontezza al moto*/
£ per cose penetra illese, e molte
Ne passa intere e salve, oltre volando
l^ei lor liquidi foti; ed anche àf&cto
Mdte ne speaea^, allor qhe i. semi stessi
jet ©1 Tito tuCREno Un. VI,
Del fulmine a colpir vati delle cose
Ne* contesti prkicipj, e insieme avvinti J
Dissolve poi si facilmente il rame>
£ il ferrò, t il bronzo, e l'or fervido rende s
Perchè 1* impeto suo fatto é di corpi
Piccioli > e mobiRssimi, e di listi,
£ rotóndi elementi, i quai t'insinuano
Con somma agevolezza, e insiaoati
Sciolgon repente i duri lacci, e tutti
Dell' interna testura i nodi allentano .
Ma viepiiì oell* autunno i templi ec^celsi
, Del ciel di stelle tremule, e splendenti
Squassansi d' ògn* intorno*, e tutta 1^ ampia
Terra, allor che ridente il colle, e il prato
Di ben mille color scorna, e dipinge.
Conciossiachè nel freddo il foco manca,
* Nel caldo il vento ; e di sì denso corpo
Le nuvole non soo. Ne' tempi adunque
Di mezzo, allor del folgore, e del taono
Le varie eause in on concocron tutte ,
Che Io stretto dell'anno insieme mesce
Co '1 freddo il caldo, e ben d'entrambi è cT oop
I fulmini a prodarre, acciò che nasca
Grave rissa e discordia , e furibondo
Con terribil tumulto il cielo ondeggi
£ dal vento agitato , e dalle fiamme.*
Che del caldo il principio , e il Sa del pig» f
^
M Ttro Lut&izio LiB. Vi io|
Gelo è stagioQ di primavera s e ^tadi
lotz'iy che Ton eoa Taitro i corpi tTT6nI
Pagnino àcérbatneote » e tucbia tutte ^ #
Le miste còise, £ del calor resctemo
Co '1 principio del fteddo è il tempo appooto »
Che autuono lia nome > e in esso ancor con gli aspri
Verni pagnan i* estari; onde appellarsi
Debbon ^este da noi guerre dell'anno.
' Ne per cosa mirabile s* additi >
Che in si fatta stagioi^ fulmini > e lan^pi
Nascan , pid che in nuli* altra , ed agitati
Molti sian per lo ciel torbidi nembi ,
Conciossiacbé con dubbia a^ra battaglia
Quinci , e quindi é turbata i e quiaci > e quindi
Or i' incalzan le fiamme > or 1* acqua , e il reato.
Or quest' e specular l' interna essenza
Dell' ignifero fulmine , e vedere
Con qual forza éì produca 1 varj efitti $
£ non sossopra rivolgendo i carmi
Degli anispici Etruschi, i varj segni
Dell'occulto voler de' sommi Dei
Cercar senx' alcun frutto: <oode il "vokiite
Foco a nói giunga , e s* ei quindi si vo^a
A destra , od a sinistra > ed in qual mòdb
Penetri dentro a* chiusi luoghi , e coate
Quindi ancor triòfifantt egli se n' esca i'
E qual possa apporuc danno a' moi tati
G 4
1 ^CI^EZXO tlB. VU
Soipte'*'^' e 'ti anche alle
VlbrangU, e Ij ^^^^^^ «
^ f "*^lot P'à Vigorose , e ^ ^ ^p
j>i Tvo tucMzro Lij. VI. loy
Acciò j]uindi TÌcia 1* aspre percosse
Meglio del celo suo limiti al segno ?
Io oltre ond'é > che in mar gli avventa , e l'acque
Travaglia, e '1 molle gorgo, e i campi ondosi è
£ s* ei vuol , che dei fulmine, cadente
Schivio gli uomini i colpi , a che no 1 vibra
Tal che tra via si scerna f £ s' improvviso
Vuol co '1 foco atterrarne, e perché tuona
Sempre da quella parte, onde schivarsi
Possa ^ £. perchè di tenebroso e denso
Manto innanzi '1 ciel copre, e freme, e mugge?
Forse creder potiai « eh' egli l'avventi
Insieme in molte parti? O forse stolto .
Ardirai di > negar, ch'unqita avvenisse
Che potesse pili fulmini ad un tracco
Dah cielo in terra ruinar? Ma spesso
Avviene } e benché spesso avvenga , e d'uopo ,
Che siccome le piogge in molte parti
Caggion del nostro mondo, anche in tal guisa
Caschin molte saette a un tempo stesso.
Al fin , perché degli almi numi i santi
Templi, e, l'egregie lor sedi .beate
Crolla con fulmin violento , e frange
Spesso ic statue degli Dei costrutte
Da man dedalea, e con percoissa orrenda
Toglie air.smmagin.sue l'antico onore ^_
£ pejché unto spesso l li^oghi^i^eccelsi
e
itcc- ]>i Tito Lucrezio Lt^ VX.
Ferisce? E noi molti veggiam ne' sommi
Gioghi d*un foco tal noa dub^j segoli
Nel resto age7olmeDte indi si puote
Di quei r essenza investigar , che i Greci
Presteri nominar da i loto efiètci» ^
fi come , e da qua! forza in mar Tibratl
Piombia dall* alto ciel } poiché talora.
Scénder suoi dalle nubi entro le salse
Onde quasi calata alta colonna >
Cui ferve intorno dal soffiar de* venti
Gravemente commosso il Butto insano i
£ qualunque naviglio in quei tumulto
Resta «orpreso , allor forte agitato
Cade in sommo periglio: e questo avfieoé»
Qualor del vento il tempestos* orgoglio
Squarciar non sa la cava nube adatto.
Che à romper cominciò ; ma la deprime
Si > che quasi calata a poco a poco
Paja dal ciel nell'onde alca colonna t
Come sia d'alto a basso o nebbia, o polve
Tratta co '1 pugno , o co 'i lanciar del braccio p
£ distesa per V aeque . Or poiché '1 vento
lucioso {a straccia > itidi prorompe
In mare> e nielle salse omie risveglia
Il girevtì(le turbo > e il molle corpo
Della nul^ accompagna : e non à tosco
Grarida di se stesso ia ttukt l'ha spinta »
ui Ttio Lisciittio LiB. VX /1^7
eh* eì tìeir ac(jaè si tuffa , e con tremendo
Fremito a fluttuar !e sforza , e tutto
Agita e turba di Nettuno ii regnò .
Succede ancor , che sé tnedesmò avvolga
Il vortice ventóso infra le nubi
Deli* aria , i' seihi lot radendo > e quasi
Emulo sia del prestici^ suddetto.
(Questi giunto eh' e in terra , in un momento
Si dissipa , e di mtbo ,' e diprocellx
Vomita d'ògn' intórno impeto- immane^
Ma perch' ei veramente assai di rado
Nasce, e forza e, che in terra ostinci i mónti.
Quinci avvien , che pili smesso npjjar neir ampia
Prospettiva dell'onde , e a cielo aperto
Crescon poscia h*, nubi allor che in -questo
Ampio spazio del ciel , eh* aer si cbiatba»
Volando mole! còrpi aspri e scabrosi
D* improvviso s* accozzano in si fatta
Guisa 9 che leggiermente avviluppati-
Star fra lor nohdimén possono avvinti.
Questi primieramente alcu ne picciole
; Nubi soglion formaiMflp poscia in varie
Guise insieme V àpjìraRono , e 6>ngiangofao>
E congiunte s* accrescono , e s* ingrossano 5
£ da* venti cacciate in aria scorrono/
Finche nembo chidel be insorga , e '^àrepiti.
Sappi ancor > che de* monti il sommò giogo
I08 DI Tito Lucrezio Izb. VI»
Quanto al del più vicin sorge emineate.
Tanto più di caligine condensa
Puma continuo » e' d' atra nebbia è iogombio ;
£ questo avvien , perché si tenui in prima
Nascer soglion le nuvole > e si tare , ^
Che il vento , che le caccia , anzi che gli occhi
Possan mirarle , in un le stringe all' alca ■
Cima de' monti , u* finalmente insorta
Turba molto maggior, folte e compresse
Ci si rendon risibili, e dal sommo
Giogo pa jon del monte ergersi ali* Etra s
Che ventosi nel ciel luoghi patenti
Ben può mostrarne il fatto stesso, e il senso,
Qualor d* alta montagna in cima ascendi .
In oltre, che natura erga da tutto
Il mar molti principj , apertamente
Ne *1 dimostran le vesti in riva all'acque
Appese, ailor che T aderente umore
Suggono, onde viepiù sembra, che molck
Corpi possano ancor dal salso flutto ,
Per accrescer le nubi , in aria alzarsi ^
In oftre d*ogni fiuqfltaj^ dalla stessa
Terre sorger veggiaH^ebbie , e vapori ,
Che quindi , quasi aliti in alto espressi^
Volano, e di calìgine spargendo
L'Etere, a. poco a poco in varie guise •
S*anlsconQ, e a produc bastan le nubi;
DI Tiro Lucittzio ^LiB, VI. xo^
Che di sopra ' eziandio preme il fervore
Del signifero cielo , e cjuasi addensi
L'acr socco > 'di nembi orridi '1 copre.
Succede ancor , che^a tal concorso al e ronde -■'
Vengan molti principj acri a formare*
£ le nubi volanti, e le procelle:
Che ben dei ramnléntar , che senza numero
6 degli atomi *!- numero > e che tutta
Dello spazio la somma e senza termine;
£ con 'quanta prestezza i genitali
Corpi soglian roiare, e come ratti
Scorre!: per Ib gran spdzio immemorabile .
Stupor dunque non é> se spesso in breve
Tempo , si vasti monti, e terre, e mari
Copron sparse dai ciel tenebre , e nembi.
Conciossiaché per tutti in ogni parte
I meati dell* £tra', e dei gran mondo.
Quasi per gli spiragli, apena intorno
fi 1^ uscita, e r cntrsCca a gli elementi.
Orsù come il piovoso umor nell'alte
Nubi insieme s' appigli , e come in terra
Cada r umida pioggia , io vo* narrarti .
£ pria dubbio non v'ha, che molti seii^
D'acqua in nn eòn le nuvole medesme
Sorgan da tutt* i corpi ; e certo ancora
È, che sempre di par le nubi, e 1* acqua,
Che in loro e chiosa , in quella guisa appunto
t
Ilo DI Tito LyigaEZio Lia. VI. .
Crescaa > che ia noi di par cresce co '1 saiag^
U corpo, e il suo sudore » e qualunque alito
Liquore al fin» cfie nelle membra alberghi.
Spesso eziandio quasi pendenti velli
Di lana dalle salse onde marine ^
Suggqno umido assai > qualora 1 veau
Spargon suiralcp mar nuvole» e nembi*
£ per la stessa ^ausa anche da. tutti
I fiuqdiy e tutc*i laghi all'alte nubi
L* umpr s' attolle , u poi chjB n^olti semi
D* acqua perfettameote in molti modi
D'ogn' intorno ammassati in un sol gr^po
Si son» tosto le nuvole compresse
DaU* impeto del vento, in pioggia accolli
Cercan versargli 'o due maniere in terrai i
Che r impeto del vento insieme a forza
Gli unisce ^ e la medesim' abbondanza
DeUe nuvole acquose, allor che insorta
N*é turba as^ai maggior, grava, e di coirti
Freme, e fa, che la pioggia iodi si spaojk*
Io oltre quando i nuvoli da i venti
Anco son rarefatti, e dissoluti.
Da' lai del sol, gronda la pioggia a ittlkf
Quasi di molle cera una gran massa
Al -foco esposta $i consumi e manchi.
Ma furiosa alloc cade la pioggia,
Che le nubi ammassate a viva forza
luTftM LUCJUWIQ io. V{. Xll
Restao gagliardamente, ad ambi i lati
Compresse » e dal furor d* irato renco r
jparac poi tango tempo in ano stesso
Luogo sogiioQ le piogge» aUor eh* iosicmo
D'acqua si soo mobl principj aGcoIci ;,
£ ch'altre ad altre nubi» ad altri nemUi
Altri nembi succedono » e di sopra
Scorrono, e d'ogn' intorno, e ailor che tutM
Fama, e '1 ^piotato umor la terra esak.
{Quindi ae co' suoi raggi il sol risplende
Tra l'opaca tempesta» e tatta alloma
Qualche rorida nube ad esso c^posul
Di ben mille color rarj dipinto
Tosto n'appar l'oscuro nembo, e formt
Il grand' arco celeste. Or. ciascun' altra
Cosa , che in aria nasca , in aria cresca»
£ tutto xiò ,. che neUe nubi accolto
Si crea , tatto ( dicb' io ) la nere , l Tenti »
£ la grandine acerba, e le gelate
Brine, e del ghiaccio la gran forza, e il.gronde
Indorarsi dell' acqua , e il fren, che puote
Atrescar d* ogn' incorno a' fiumi il corso ^
Tatte ( ancorché io non le ti spooga) tutte
Tu per .te non per tanro agerolmente^
£ trorar queste cose , e co '1 pensiero
Veder potrai , come formate , e d'onde
Prodotte aiaa^ menerà ben sappia ina^ftti»
lift x>i Tito LoeREZio Lin. VL
Qual natura conirenga a gli..elemenci •
Or via» da qual ragion ttemi agitata
La terra» intendi. £ pria suppor e* e d'aopo»
^S'ella 9 siccome è faorr, anche sia denteo
x'iena di yenci , e di spelonche > e molti
Laghi y e moire lagune in grembo porti »
£ balze, e rupi alpestri, e dirupati
Sassi 9 e che molti ancor fiumi nascosti
Sotto il gran dorso suo Tolgano a fors^
£ flutti ondosi, e in lor sassi sommersi:
Che ben par, che richiegga il fatto stesso/
Ch'essere il terren dobo.a se simile
Debba in ogoi sua parte . Or , ciò supposto,
Trema il suol per di fuori entro commossa
Da gran ruine , ailor eh* il tempo edace
Smisurate spelonche in terra cava.
Conciossiaché cader montagne intere
Sogliono, onde ampiamente in varie parti
Tosto con fiero crollo il tremor serpe :
£d a ragion^ che da girevol plaustro
Scossi lungo le vie gli alti edificj
Treman per non gran peso, e nulla manco
Saltano 9 ovunque i carri a forza tratti
Da feroci cavai fan ^delle ruote
Quinci, e quindi trottar gli orbi ferrati..
Succede ancor, che vacillante il suolo
Sia dagli urti dell'onde orribilmente
m tiro LuCRizKi tw. VX 113
Squasfaeo , allor che d' acque iti ampio e rasro
Lago per troppa, età dalt* imo svelta
Ruotola immensa zolla 1 io quella, scessa
Guisa che fermo star oon puoce uo Taso
In terra > se Tumor prima dod resta
D'esser commosso dentro il dubbio flutto •
In oltre allor che d'una parte il vento
Ne' cavi chìostp jtottertanci accolto
Scendesiy e furioso» e ribellante
Prem^ con gran vigor l'alte spelonche»
Tosto là, 've di lui l'impeto incalza.
Scosso è il van della grotta , e sopra terra
Tremano allor gli alti edificj ; e quanto
Più sublime ognun d' essi al ciel s' estolle ,
Tanto iDchinato più vetso la stessa
Parte sospinto di cader minaccia ; . .
E scommessa . ogni trave altrui sovrasta
Già pronta a rovinar . Temon le genti
Si , che dell'ampio mondo al vasto corpo
Credon > eh' ornai vicino alcun fatale
Tempo sia , che '1 dissolva , e il tutto tomi
Nel caos : cieco» una si fatta mole
Veggendo sovrasur... Che se il respiro
Fosse al vento intercetto > alcuna cosa
No '1 potria ritener 1 ne dall' estremo
Precipizio ritrar t quando vi corre »■ -.
Ma perch'egli ail' incentro altemameore
di Tit0 Imr, c»9 r . ih H
314 91 Tiro Lucrezio Lib. Vl#
Or respira» or rinforza» € quasi arToIlfr-
Riede,'e cede respinto, indi più spesso >
Che in ver non fa» di roirìoar mioacda
La terra • Cònctossiach' ella si piega >
£ iDdiecio si ri?ersa, e dal gran poodo
Tratta nel seggio suo tosto ritorna .
Or *^tiiiidi éj ch'ogni macchina vacilla»
Pia che nel tn^teop al sommo; < pii nel tntnoi
Che ali* imo , ove un tal poco appena è mam»
£vTÌ ancor del medesimo tremore
Quest'altra causa, allor che irato vento
Subito, e del vapor chiusa un'estrema
Forza , o di fuori insorta , o dalla scossa
Terra negli antri suoi penetra, e qaìyd
Pria per l'ampie spelonche in suon tremcli»
Mormora , e i^uando poi portato d in Toltt
Il robusto vigor, fuori agitato
Se o' esce con grand' impeto » e fiendefedo
L'alto sen della terra, in lei produrre
Suol profiinda caverna . Il che sueoesse
In Sidonia di Tiro, e nell'antica
£ga d'Acaja. Or quai cittadi abbarco
Questo di vapor chioso esito orrendo t
£ il quind* insono terremoto? In oltre
Molte ancor rovinar muraglie in term
Da' suoi moti abbattile , e molte io omm I
Co' cittaéiai ior cìnaài illoscri -• I
i
bl f ITO Luc&Ì2t^to Liii, Vt |1$
Caddero » t si posar deli' acque in fondo .
Che se par non prorompe » aiaen la stessa
Irorza del chiuso fipirto» tf il fiero crollo
t)cl Vento >N[uàsi orcor^ tosto si Sparge
^e* folti pori della Xecrft> t qaindi
Con non ite?è tremot la séòoce; appunto
Come quando per Fòssa uù freddo gelo
. Mal nostro grado ne coihmOTé > e shtìA
A tremare e riscaotérci. Con dubbio
Terror dunque paventa il folle volgo
t^er le città ; tenie di sópra i tetti s
DI sotto > che natura apra repente
tt terrestri caverne > 6 1' àmpia gola
bistratta spanda > e in uh confusa e mist;^
I>eUe proprie ruine enipiet la voglia.
{Quindi, ancorché l^oom creda esser eterna
La tetra, e ihdélf pur nondinicn commosso
t)3 si grave periglio avvien talora »
eh* ei non So da ^ual parte un tale Occulto
Stimolò tragga di paura, ond'cgli
Vien Costretto a temer, che sotto i piedi
Non gii manchi la terra , e voli ratta
l'è 1 vano immenso , e già sossopta il tutto
$i Volga y e caggia a predpitio il mondo •
Or cantat ne convièii, perché non cresca
il mate . È pria, iliolto stupiste il volgo i
Che maggior la natura un^ òo '1 rondai
ìiS VI TiTò 1ck:rszio Lib. Vfc
Ort scorrób tant' acque j e d' oga' intorbò
Scende ogni fiume. Aggiunger dei le pbggi
Vaganti , e le volubili tempeste ,
Che tutto il mar, tutta irrigar la terra
Sogliono . Aggiunger puoi le fonti s e paté
fia 1 tutto a gran fatica appo l' immenso
Pelago in aggrandirlo una sol goccia . .
Stupor dunque non é , che il mar non ami*
}n oltre di continuo il sol ne rade
Gran pane: che asciugar 1* umide vesti
Con gli ardenti «uoi raggi il sol ei scoigei
Ma di pelago stese in ogni clima
Veggiam campagne smisurate i e quindi»
Benché da ciascun luogo il sol delibi .
D'umor, quanto vuoi poco, in si gran tram
Forz*è pur, ch'ampiamente involi ali* onde.
Arrogi à ciò , eh' una gran parte 1 venti
Ponno in alto levarne , allor eh' il piano
Spazzàn del mar , poiché ben spesso in opa
Notre le vie voggiam aec<^arsi , e il molti
Fango apprendersi tutto in dure croste.
In oltre , io sopra t* insegnai , the molto
£rgon anche d'umor l'aeree nubi
Da lor dal vasto pelago concetto ;
£ di turco quest'ampio orbe terrestre
Spargonlo in ogni parte., allor che Jq ttttk
piove i e che seco il ycnto i nembi poitt «
v
•f Tito Luenizio Li2,/Vi. \if
Al fin petchè la terra è di sostanzi^
Poittsa • « cinge d* ogn* intorno il mare
JndissolidbilmcQte a lui congiunta ,
Dee , siccome' 1* umor da terra scende
Nel mar» cosi dalle sals*onde in terra
Penetrar similmente > e raddolcirsi :
Perch* egli a tutt* i sotterranei chiostri
Vlen largamente compartito , e quivi
Lascia il salso yeleno s e ancor di novo
Sorge in più luoghi , « tutto al fin s* aduna t
De* fiumi al capo , e ii^ ideila schiera , e dolce
Scorre sopra il tcrrcn per quella stessa.
Via > che per se medesm^ aprirsi 'n prim^
Potèo co '1 molle pie Tonda stillante.
Or qual sia la cagion, die dalle fauci
D'Etna spirin talor con si gran turbo
Fochi > e fiamme» io dirò? che gii non sorsf
Questa di tetro ardor procella orrenda
Di mezzo a qualche strage, e le campagne
Di Sicilia inondando ) i convicioi
Popoli sbigottiti a sf converse ;
Quando tutti del elei vedendo i templi
Fumidi scintillar, s'empiano 11 petto ^
D' una cura sollecita , e d' un fisso
Pensiero, onde temean ciò che natura
Macchinasse di novo a' danni nosui.
Dunque io cose si fatte a ce coavicof
i
Sìt 91 Tito LucaEZio Lib. VL
Hssar gli occhi altamente» e c['ogti'intotii0
Disrender lungi in ampio giro il 'guardo {
Onde poi ti sovvenga esser profonda
La somma delle cose s e vegga>^uale
Piccioiissima parte è d*essa un cielo.
£ qua! di tatto il terren globo un uomo.
Il che ben dichiarato» e quasi posto
Innanzi a gli occhi tuoi> se ben io miti»
£ 'i vedi^ cesserai senz'^alcUn dubbio
D'ammirar molte cose. £ chi di noi
Stupisce , se alcun y' ha , che nelle membtt
Nata da fervor caldo ardente febbre
Senta» o par qualsivoglia altro dolore
Da morbo cagionatogli 2 Non torpe
Airimproyyiso un pie ? Spesso un acerbo
Duolo 1 denti non occupa, e negli occhi
Stessi penetra ì li sagro foco insorge ,
£ scorrendo pe *1 corpo arde qualunque
Parte n'assale , e per le membra serpe ^
£ questo avvien, perché di molte, e oioke
Cose il vano infinito in se contiene
I semi, e questa terra, e questo stesso
Ciel ne porta a bastanza , onde ne* corpi
Crescer possa il vigor d'immenso morbo*
Tal dunque a tutto il cielo, a tutto il
Globo creder si dee > che l'infinito
Somministri a bastanza^ onde repente
r^ Tntt. JLOCK1894 Ili A ve tt^;
iAglctfest tremtr po$s« b itcrct ,
1^ per l'ampio sua docso» e soft» laonde
Scorrer rapida turbiafr> e rateare
loco r etnea moatagna» c^ fiamme^iaote
Mirarsi '1 cieL Che ciò ben anche arriene
Spesso» e gli Eterei templi arder far Tisti^'
£ di pioggia» o di grandine sonante
Torbido nemba aera tempesta insorge
Là, *ye da fiero turbo i genitali
Semi dell' acfue trasportati a tasa
Insieme s'adunar» Ma troppa immana
£* il fiero ardor di quell' incendio . Un fiumey
Ancorché ia ver non è > par nondimeno
Smisurato a colai» che alcuào innanzi
Maggior mai noa ne ride» e snulnrato
Sembra un albero» an uomoi e^ in ogni specie
Tutto di che ciascun vede pia grande
Dell'altre cose a hii simili» il finge
Immane» ancorché sia col mar pifòfosido.
Con la terra »;.e col cielo appo T immensa
Somma d'ogni altra somma un ponto ». «a oolla,.
Or come dalle tasce etnee fornaci - >
D'imptoyyiso irritata in aria spiti
Nondimen q^uella fiamma» ia to* narrarti.
Pria » tutto è pieti di sotterranei » e cavi
Antri sassosi 'I lóonte» e in ognun d'essi
Chiuso sete' alcun dubbio é vento > ed afria »
H 4
i
xaio Di Tito Luchezzo Lib. YIJ
Che nasce il vento, ore agitata .2 l'aria:
Questo poiché infiammossi > e tasto lotomoi
Orunqu* ei scorre > iofuriato i sassi
Scalda, e la terrai e con veloci fiamme
Ne scosse il caldo foco, ergesi 'n alto
JBLapido i e qaindi poi scaccia dal cenerò
P^r le rotte sue fauci , e lungi sparge
L'iocendiòso ardore, e viepiù lungi
5eco ne porta le faville, e volge
Fra calìgine densa il cieco fumo^
£ pietre insieme di mirabil peso
Lancia ; sicché dubbiar non dei , che qaesto
Non sia di vento impetuoso un sofEo*.
In oltre il mar delle montagne all'ime
Radici i flutti suoi frange in gran, parte»
£ il bollor ne risorbe . Or fio da questo
Mar per vie sotterranee ali* alte fauci.
Del monte arrivan gli antri; indi è mestieto
Dir , che T acque penetrino , e eh' insieme
S' avvolgan tutte in chiuso luogo , e fuori
Spirino; e quindi a forza ergan le fiamme ^
£ lancia sassi 'n alto, e sin dal fondo
Alzin nembi d'arena: in simil guisa
SoQ dell' alu montagna al sommo giogo
Ampie cratere, orribili spiragli .*
(Cosi pria notpinar l'atre fessure, ^ .
Che fiù da noi fauci chiamate» e bocche.)
»t Tito lueuxxio Li3.^Vi; li e
CoQciossiaché nel moado alcune cose
Troraùsì, delle ^uall addar noa basta
Uiu sola cagioo; ma moke , ond' una
Nondimen sia la vera: in emacila guisa
Stessa > che se da lungi un corpo esangue
Scorgi d'un uom » che cu m'adduca è focM
Di sua morte ogni causa , acciò compresa
Sia queir una fra lor» che né di ferro
TroTcìai, che perisse» o di tropp'a^rQ
Freddo, o di morbo» o di velen • ma sola
Potrai dir , eh' una cosa di ul sorta
L'ancise, II contar poi> ^1 ella fosse
Tocca de' curiosi spettatori
Al Tolgo. Or cosi dunque a me convicof
Fac di moke altre cose il somigliante .
Cresce il Nilo l' estate , unico fiume
Di tutto £gitto,, e delle proprie sponde
£uor trabocca ne' campi. Irriga spesso
Questi f Egitto, allor <he'l sixio cane
Di focosi latrati il mondo avrampa >
O perche sono alle sue bocche opposti ,
D'estate i Tenti aquilonari ^ appunto
, Nel tempo stesso che gU Etesj fiati
Soffiando Io ritardano , e premendo
L' onde , e forti incalzandole , di sopra
Oonfianle, e le costringono a scsi hrmet
Che sccrron senza dubbk> al Milo iaconcra
<
Iti DI Tira LvcMitio- Un. VL
L* Etesie s conciossiacbé dall* algenti
Sedie gpiran del polo, ove quel fiume
Fuor dei torrido clima esce dall' aosttoj
Fra' neri Etiopi , e dal calore arsicci »
Iodi dal mezzodì sorgendo, appunto
Pao di rena ammassata anche un gran
A i flutti avverso di quel vasto fiume
Oppilar ie sue bocche» allor che il ntare
Agitato da* venti entro vi spinge
L'aràia;^ onde avvien poi, che'l fiume ttesf»
Men libera r uscita» e men proclive
Abbia dell'onde sue l'impeto, e 1 cono.
Xsscr forse anche può^ che più che in altro
Tempo verso il suo fonte acque abbondanti
Piovano, allor che degli Etesj venti
Il soflSio aquilonar tutti imprigiona
I nembi 'n quelle parti , e ben cacciate
Ver mezzodì le nubi» e quivi accolte»
£ spinte alle montagne , insieme ai fine
S'urtano» e si condensano, e si spremono*
Forse dell'Etiopia i monti eccelsi
Fanno il Nilo abbondar, qiiando ne* caaipi
Scendon le bianche nevi » a ciò costrette
Da' tabifici rai del sol , che cinge
II tutto , il tutto alluma » il tutto scalda •
Or via cantar conviemmi i luoghi » e i laghi
Attrai i e qua! natura abbiano la loro >
\
m Tito LucitErto LxB. W l%ì
Brevemente naifarcL In prima adunque
Che si chiamino avernt» il noma e tmtta ,
Dalla lor qualità ; poiché nemici
Sono a tatti gli aagel. Perch'ivi appens^
Giungon Tolando» che scordati affiitto
Del rigor delle penne , in abbandono ^
Lascian le vele , e qua » e li dicf ersi
Ruinan con pieghevoli cerrici
A precipizio in terra» s* è pur tuie
La natura dei luogo» ovvero ÌA acq^a»
Se un lago ivi si scende. Un stmil la^
È preso a Cuma assai vicinq al monte
Vesuvio, ove continuo esaian fumo
Piene di calde fonti atre paludi.
Enne un d'Atene in sulle mura in ciqda
Della rocca di palla, ove accostassi
Non fur viste giammai rauche cornici s
Non «Itor che di 'sangue intrisi e lordi
Fumano i sacri altari i e in cosi fatt«
Guisa fuggendo van <, non le vendette
Deli' adirara Dea» qual già de' Greci
Cantar le trombe adulatrici, e faiset
Ma sol per se medesma ivi produce
La natura del luogo un tal effètto.
Fama e ancor, che in Soria si trovi un aluo
Averno , ove non pur muojan li a^Ui >
Che sopra vi volati ma che non pdfiu
i£4 i>i '^'vo Lucrezio Lib. Vi.
V'abbiati dei proprio pie segnate l'orme
Gli animali quadrupedi > ehe a terra
$ian forzati a cader; non . altrimenti
Che se a. gì' inferni dei repente offerti
Fossero in sacrificio . E tutto epiteto
Vtttdc da cause naturali , e noto
N' é il lor principio ; acciò tu forse , o Memmfo,
Dell' orco ìri piuttosto esser non creda .
La sparentevol porta * e quindi avvisi ,
Ghe nel cieco Acheronte i Numi inferni
Per sotterranee vie conducan Taime:
Qpal fama è» che sovente i cervi snelli
Conducan fuor delle lor tane i serpi
Co *i fiato delle nari; il che dal vero
Quanto sia lungi, ascolta. Io veggo al fatto.
Pila torno a- dir quel, che sovente innanzi
Io dissi i e questo è , che figure in terra
Trovansi d'ogni sorte atte a produrre
Lt cose; e che di lor molte salubri
Sono all'uomo, e vitali s ed anche molte
Atte a "renderlo infermo , e dargli morte.
£ che meglio nutrir ponno i viventi
Questi semi, che quei, già s'è dimostro
Per la varia natura, e pe- diversi
Congiungimenti insieme , e per le prime
Forme tra lor difformi. Altre inimiche
IPon dell'uomo all'orecchie, altre alle nasi
if^ Tito LuciLBZio Liti, VI, iftf
Btttse contrarie» e di malvagio senso
Altre al tatto i altre ali' occhio , alcu alia lIogHa «
In oltre veder puoi 9 quanto sfap molte
Cose aspramente a' nostri sensi infe9.te .
Sporche I gravi» e nojose. In prima a- eertt
Alberi die natura una si grave
Ombra , che generar dolori acerbi •
Di capo suol, se sotto ad essi akuno
Steso fra l'erbe molli incauto giacque.
£' stt'l monre elicona anche una pianta.
Che co'I puzzo de* fior gli uomini uccide.
poiché tutte da terra ergonsi al ciclo
iTai cose, perchè misti in molti ìnodi
Molti de*lor prioeipj in grembo asconde
La terra, e separati a ciò che nasce .
Distinfamente gli comparte. Il lume »
Che di fresco sia spento , allorch' oficie *
Ha co '1 grate nidor 1* acute nari ,
Ivi ancor n'addormenta. £ per lo grave
Castoreo addormenuta il capo inchina
La donna s^pra gli omeri , e non sente ,
Che^il s|io bel lavorio di man le cade»
Se il ficfta, allorché de' suoi mestrui abbonda «
£ molte andie oltre a ciò cose possenti
Trovansi a 'rilassar ne' corpi umani
Le illanguidite membra > e nelle propfie
Sedi interne a turbar V.^nimo^t r«fana.
t
Ixi bt Tito lucftEzio Lis*VL
AI fiti se cu ne* htiìAì laracri
JEstterai bed satoHo» e trattenerti
Vorrai nei sòglio del liquor bollente»
(guanto flgeToT sarà, che al vaso in metto
Tu maggia? £ de'carbon i* alito graV6 »
£ l'acuta virtd quanto penetra
Tadlmente il cernei > se pria bevuto
Non abbiam d' acqua un sorso ? o se te tttiis
Membra innanzi non copre il fido setro t
O st da* penetrabili suoi datdi
Con grato odor non ne difendè il rioo^
£ non vedi tu ancor > cbe nella Stessè
Terra il solfo si genera ^ e che il tetro
Puzzolente bitume ivi s' accoglie ?
Ai fin dove d' argento > e d*or le vede
Seguon» cercando dell' anti<!a madre
Con curvo ferro il più riposto grembo^
forse quai spiri allor puzzi maligni
La sotterranea cava , e che gran dannci
Faccian col tetro odor gli aurei metalli |
Quai degli uomini i volti > e qdai de' tolti-
Rendan tosto il color i non ycdi> d fòtsà
Non senti 'n quanto picciolo intervallo
Soglion tutti perir quei , chef dannati
Sono a forca a tal opra ? £gli è tòestiet^
Don^ i che tài bollori agiti, e tolga
Io 49 la tem» e fuor gfi spiri ^ e sparge
191 Tito Ioaiiziò 1x1« Vìi [>i7
¥er gli aperti del elei campi patenti.
Tal denno anche a gli augelli i luoghi tterai
Tramandar la morciiera pcssaoaa >
Che spirando dal suoi nell* aure molli
Sorge» e il eiel di se stessa infetto rende
Da qualche parte •ove non prima è giuoto
L'augel, che dal non >lsto alito grave
B* improvviso iassalito il toIo perde >
£ tosto la> dovie la term indrizta
li nocivo vapor, cade, e fcaduto
Che V è > ^uel rio velea da tutti i membri
Toglie de} virer suo gli ultimi avanzi t
Poiché quasi a principio un tal fervore
£ccita> onde avvien poi» che già caduto
l' Ne* lonti stessi dei velen > gti ^ ioma
La vita aftatto vomitarvi > e l*almas
Coneiossiaché di mal gran copie ht intottkV'
Succede anche talor » che questo stesao
Violento vapoìt de' luoghi averni
Tutto f aet frapposto apra, e discacci ^
Sicché quindi à gli angei tosto rimanga
Vuoto quasi ogni spastoi ond* ivi appena
Giungon, che d'improvviso a ciascun d^^ÈÙ
Zoppica delle ptsne il vano sferzo »
£ il dU>attef dell'ali è tutto indarno.
Or qui ) poich'è lor tolto ogni vigiM
Deir alt i t ^oitentitt ornai noti poftfOt
14 8 w Tito LvcniLZio Lx«. Vt
Tosto dal natio peso a forza tratti
Caggiono ia terra a precipizio , e tutti
Qua, e là per lo ruoto ornai giacendo
Da* meati del corpo esalaa Taline.
Freddo è poi nell' estate cntto i profondi . .
Pozzi Tumor; perché la terra allora
Pe '1 caldo inaridisce , e se alcun seme
lÌ:Qe in se di yapor , tosto il tramaad*
Nell'aure. Qr quanto il sol dunqu'é pia caldo,
Tanto il liquido umor, che in terra è chiuso,
Più gelato divien ; ma quando il nostro
Globo presso è dal freddo, ei si condensa,
£ quasi in uil. s'accoglie. È d'uopo fU ccriD,
Che udora nil ristringersi ne' pozzi
Sprema, se caldo alcun cela in se stesse.
fama è , eh* un fonte sia non lu agi al tem^
D' Ammon , che nella luce alma del gtorm
L'acque abbia fredde e le riscaldi a notte.
Tal fonte è per miracolo additato
Pa quegli abiratofis.e il volgo crede.
Che dal sol violento entro commosso
Per sotterranee vie rapidamente
Ferva, tosto che'l cieco aer notturno
Di caligine orrenda il mondo copre i
11 che troppo dal ver lungi si scosta.
Posct^hé se trattando il nudo corpo
Dell' àcq[ua il sol dalla^ superna parte»
Vi T/ro lucRBZio Lib, VI. izp
Non può punto scaldarlo» alloc die vibra
Pien.d'un tanto feryor 1* ecereo lame,
'Bìy come pouà cocer sotto terra,
Che di corpo è si densa , il freddo umore >
£ co '1 caldo yapore accompagnarlo ì
Massime quando a gran fatica ei puote
Co' gli ardenti suoi rai de' nostri alberghi
Penetrar per le mura, e riscaldarne?
Qual dunque è la cagion ? Certo è mestieto ,
Che intomo a questo fonte assai più rara
Sia, ch'altrove» U terra > e che di foco -
MoHi vicini a lui semi nasconda ,
£ quinci avvien, che non si tosto irriga
La notte d' ombre rugiadose il cielo ,
Che il tcrrcn per di sotto incontinente
Dlvien freddo , e s' unisce . Indi succede ,
Che quasi ei fosse con le man compresso»
Spremer può tanto foco entro a quel fonte »
Che il suo tatto, e il sapor fertido renda.
Quindi tqsto che il sol cinta di raggi
l^asce, e smove la terra > e rarefatta
Co'l suo caldo vapor l'agita, e mesce,
Toroan di novo nell' antiche sedi
Del foco i corpi genitali, e in terra
Dell'acque il caldo si ritirai e quindi
Fredda il giorno divien l'acqua del fonte «
In oltre il molle umor da' rai dei 8ol$
di Ti$0 Lmr. C4r0 T$mé 11. I
Ijo DI Tito Lucrezio Lib. VU
Yorte è commosso, e nel dìatnò lame
Dai suo tremulo foco è rarefatto i
E quinci avTÌen > che quanti, egli 4* arÌ(^e
Semi 'n grembo ascondea , tutti abbandoni:
Qual sovente anche 11 gel > che in se contiene
Muta , e il ghiaccio dissolve , e i nodi allenta.
Freddo ancora è quel fonte, ove posata
La stoppa , in un baien concetto il foco
Vibra splendide fiamme a se d' intomo s :
£ le pingui facelle anch'esse accese
Dalla stessa cagion per Tonde a nuoto
Corron , dovunque le sospinge il veotos
Perché nell'acque sue molti prlncipj
'Son certamente di vapori, e fdrza
È, che da quella terra in sin dal fondo
Sòrgan per tutto 11 fonte, e spirin fuori
Nell'aure uscendo delie fiamme i semi(
Non si vivi però, che riscaldare
Possan nel moto lor 1' acque del fonte.:
In oltre un cotal impeto gli astringe
Sparsi a salir rapidamente in aria
Per r acque , e quivi unirsi ; in quella stessa
Guisa che d* acqua dolce in mare un fonte
Spira, che scaturisce, e a se d'intorno '
Le salse onde rimove. Aòz' in molti altri
Paesi il vasto pelago opportuno
A 1 nocchier sitibondi util compatte»
^i Tito Luceczio Lib. VI, tii
Dolci dal salso gorgo acque esalando:
Tal dunque uscir da quella fonte ponao
Quei semii e insinuarsi eilcro alla stoppai
Ore poi che s* uniscono, e nel legno
Feo etran delle faci, agevolmente
Ardon, perché le faci anco, e la stoppi^
Molti senti di foco in se nascondono.
Forse non yedi tu , che se a* notturni
Lumi di fresco spenta una lucerna
5' accosta , ella in im subito s'accende
Pria che giunga la fiamma? Or nella stess«
Guisa arder soglioa le facelles e molte
Cose oltre a ciò dal vapor caldo appéna
Tocche, pria da lontan splendono accese/
Che l'empia il foco da vicino: or questo
Scesso creder si dee ', che in quella fonte
Anche all'aride faci accader possa.
Nel resto io prendo a dir, qua! di natura
Scambievole amistade opri, che questa
Pietra , che i Greci con paterna voce
Già maf^nete appellar, pere h' ella nacque
Ne'confin di Magnesia, e in lingua tosca
Calamita vien detta, allettar possa
Il ferro, e a se tirarlo. Or questa pietca
Ammirata è da noi perch'ella forma
Spesso di varj anelli una ca'cena ^
Pa lei pendente ; e ben talor né lic^
^ " I *
i3» ^i Tfro LvcKEZto Lib." Vi.
Cia^e vederne , e più con ordin cerco
Disposti esser da liere aura agitati -,
Qjialor questo da quello a lei di sotto
rCongiunto pende ; e quel da questo i lacci
Riconosce» e il vigor dal nobil sasso:
Tanto la forta sua penetra, e vale.
Ma d'uopo, è, che in macerie di cai sorta.
Pria che di ciò> che si propose, alcuna
Verisimil ragion possa assegnarsi
Sian molte cose stabilite e ferme;
E per troppo intrigate , e lunghe vie
Giungervi ne convien . Tu dunque atceatr
Con desioso cor porgi l'orecchie .
Primierainente confessar e d* uopo ,
Che da ciò , che si vede , alcuni corpi
Spirin continuo ) e slan vibrati intorno,.
I quai gli occhi ferendone, /a visca,
Sian atti a risvegliarne ^ e che da certe
Cose esalin per sempre alcuni odori $
Qual dal sok il calor, da* fiumi *i freddo,
Dal mare il flusso > ed il reflusso edace
Dell'antiche muraglie a i lidi intomo:
Ne ccssin mai di trasvolar per l'aure
Suoni diversi» e finalmente in bocca
Spesso di sapor salso un succo scende,
Qiiando ài mar siam vicini > ed all'iocootio
Riguardando infelici il tetro assenzio
»1 Tito LuceezxO L1B.VI. li^
Ne sentiam 1* amsi'ozza . In cosi fetta
'Guisa da tatti 1 corpi il corpo esala,
£ per Taer si sparge in ogni parte}
Né mora , o re^aie in esalando alcuna
Gli e concessa gianotmai, mentre ne lìce "
Continuo il senso esercitare, e tutte
Veder sempre le cose , e sempre udite
li suono, ed odorar ciò che n'aggrada.
Or convien, che di' novo io ci ridica,
Quanto, raro, e poroso abbiano il corpo
Tutte le cose, di che 'i mondo^è adorno»
Il che , se ben rammenti , anch' è palese
Fin dal carme primier • Poiché ^uantun^ue
Sia di ciò la notizia utile a molte
Cose, ptiocipalmente in questo stesso.
Di eh' lo m* accingo a ragionarti , è d'uopo
Subito stabilir , che nulla a' sensi
Esser può sottoposto altro che corpo
Misto co 'i yfuto • Pria dentro alle care
Grotte Sudan le selci, t distillanti
Gocce d' argenteo umor grondano i sassi :
Stilla in noi dalla cute il sador molle:
Cresce al mento la batba , al capo il crtoe «
Il pelo in ogni menibro: entro alle vene
Si sparge il cibo, e s'augumeaca, e nutts.
Non che 1* estreme parti , i denti , e l' ugna ;
Passar pe '1 rame similmente il iceddo
la
Ì34 oi Tito Lucrezio Lib. Vt
SeQti , e'I caldo vapor; isenti passarlo
Per Toro, e per 1* argento , allor eh- aTvmd
Con man la coppa; e finalmente il suono
Vola per l'angustissime fessure
Di ben chiuso edificio: il gel dell'acque
Penetra» e delle fiamme il tenue, spicco >
E de* corpi odorosi , e. de* fetenti ,
L'alito acuto; anzi del ferro stesso
Non curar la durezza, e [ìenetrarlo
Sudi li, 've d'ogn' intorno il corpo £ Qgom
Di fino usbergo , il contagioso morbo >
Bench* ci venga di fuori: e le tempeste
Insorte in terra , in ciel fuggon repente
Dalla terra , e dal ciel; che nulla al moodi^
può di non raro corpo esser contesco.
S' arroge a ciò , che non han tutti UQ tea»
I corpi, che vibrati esalan fuori
Da sensibili oggetti; e che non tutte
Pon le cose adattarsi a un modo scesso ^
Primieramente il sol ricoce, e sfoYza
La terra a inaridirsi , e pure il sole
Dissolve il ghiaccio , e V altamente estmtte
flevi co' raggi suoi su gli alti monti
Rende liquide, e molli: al fin la éera ,
Esposta al suo vapor si strugge» e maacs»
II foco similmente il rame solve,
t> Voto, e *1 fa Hassibile» ma tragge
[
DI Tito iucMzxa Lia. VI. X3Sr
le caro! 9 e ilciiojo» e in un le accoglie > e scriage.
L' icc[ua y il ^&no ^ e V acciar tratto dal foco
Indura, ed al calor le carni, e il cuojo
Indurato ammoli^ce. Alle barbute
Capre si grato cibo è l'oleastro,
Che quasi asperso di nettareo succo
Par y che stilli d' ambrosia i ove ali* incenero ,
Nulla è p^r noi pili di tal fronde amaro.
Timido al. fin l'Amaracino , e tutti \
Jugge gli unguenti il setoloso porco ;
Perché spesso è per lui crudo veleno
Quel , che co '1 grato odor sembra , che l'uomo
Talor ricrei -, ma pe '1 contrario il fango
A noi spiaceTolissimo » a gl'immondi
Porci è si dileccerole, che tutti
Insaziabilmente in lui conrolgonsi^
Rimane ancor da dichiararti innanzi.
Che di ciò ,. eh* fo proposi , io ti ragioni:
Che avendo la natura a varie cose
Molti pori concesso y egli è pur forza.
Che sian tra di lor diversi, e ch'abbian tatti
La lor propria natura , e le lor vie.
poiché son gli animai di varj sensi
Dotati, e ciascun d'essi in se riceve
11 suo proprio- sensibile: che altrove
De' succhi penetrar vedi '1 sapore ,
Altrove il^suooo^ e adcor l'odore altipve .
I 4
ryS »1 Tito Cuc&ezxo Lijn Vlk"
la oltre insinuarsi altre ne* isassi
Cose reggiamo» altre nel legno, td zitte
Passar per l'oro, e penetrar l'argMico .
Altre, ed altre il cristal; poiché ^u min
Quinci scorrer le specie, ir quindi'! caldo «
£ per gl'istessi luoghi un pili d*iin aluo
Corpo rapidamente ih-^rco aprirsi }
Che certo a ciò la lor nati^tra. Stessa
Gli sforza, Tarlando in molti modi
Le vie, qual poco innanzi io t'ho dtmosbv
ter le forme difformi, e per l' interne-
Testure. Or poi che stabilite e ferme ■
Tai cose, e con buon ordine disposte »
Quasi certe premesse, a te palesi
Già sono, o Memmio, apparecchiate e poBkì
Nel resto agevolmente indi mi lice '
La ragione assegnarti, e la verace
Causa svelarti , onde 1* erculea pietra
Con incognita forza il ferro tragga.
Pria f9rz' è , che tal pietra in aria^ esali
Faor di se molti corpi, onde un fervore
Nasca, che tutta i' aria «rd, e discacci
Posta tra '1 ferro , e lei . Tosto che ruoto
Duncpie comincia a divenir lo spazio
Predetto, e molto luogo in mezzo resta >•
jy uopo e , che sdrucciolando i- genitali
Soni del fcno entro a guel vs^ Ufkki
01 Tito Loc&izi* LiK VI xj/
CaggUn repente; e che lo stesso anello
Segua» e tutto cosi corra pe *I yuoco:
Che cos* altra non v'ha, che da* suoi primi
£iemeati connessa, ed implicata
Sia con lacci più fotte insienae avviata
Del fredd'orror del duro ferro. £ ^[uiQdi
Meraviglia noa é> se ihoiti corpi
Dal ferro insorti per lo vano a volo
Non van> qual poco innanzi io t'ho dimosuoj
Senza che il moto lor lo stesso anello
Non segua $ il che fa certo > e segue ratto
Fin che giunga alla pietra > e ad essa ornai]
Con catene invisibili s'attacchi.
Questo avvicn similmente in ogni parte >
Onde Tuoto rimanga alcun frapposto
Spazio , che o sia da' fianchi , o sia di sopra ^
Tosto caggiooo io lui tutti i vicini
Corpi; poiché agitaci esteviamente
Sol da colpi continui» e per se stessi
Forza non han da sormontar nell' aure .
S'arroge a ciò per ajutarnc il moto,
Che tosto che da fronte al d^to anello
L'aer pia raro è divenuto» e il luogo
Pia vacuo» incontinente avvien» che l'aria»
Che dietro gli è » quasi '1 promova » e spinga
Da tergo .innanzi i poiché /' aer Itempre
Tatto ciò, che circonda) iotòrno sferaa.
i
J3> »1 Txrp LucRizio 1«. YU
Ma spinge il ferro a Hoc , perchè lo spiuio
Vuoto è dati* un de* lati , e può capirlo •
Or poi ch'egli del ferro alle minute
Parti s'è socciltnencc insinuato,
Pe'suoi spessi meati innanzi 1 caccia ,
Come il vento nel mar naviglio , e Tcta.
Al fin tutte le cose entro il lor corpo
( Conciossiacbé il lor corpo è sempre raro )
. Denoo aver d* aria qualche parte ; e i' aria
Tutte V abbraccia d* ogn* intorno , e cinge •
Quindi e, che l'aria, che nel ferro è cbivi»
Con sollecito moto esternamente
È mai sempre agitata; e però sferza
Dentro > e move l'anello inver la stesta
Parte , ove già precipitò una volta i
JE nel van > presa forza > il corso indentai •
Sì scosta ancor dal dettò sasso , e fugge
Tal volta il ferro; ed a vicenda amico
Il segue , e se gli appressa . lo stesso ho tÌMO
Entro a* vasi di rame, a quai supposta
Sia calamita, saltellar gli anelli
Di Samotracia $ e piccioli frammenti
Di ferro in un con essi ir furiando:
si par, che di fuggir da questa pietra
Godi il ferro} ed esulti > ove interposto
Sia tame: e nasce i^lpr discordia tanca »
Perchè, poi che nel ferro entra » e l'apecct
\
DI Tito Lucrezio Lini Vt J3|i
Vìe del rame il ferver tutte interchiade>
Indi a lui 1* ondeggiar segue del sasso ;
£ rtovando già pieno ogoi mesro
Del ferro » ornai non ha > come avea innanzi p
Luogo y ond' oltre varcar: dunque costretto^
Vien nel moto ad urtar spesso» e petcote
Nelle ferree testure ; e in simìl guisa
Lungi da se le spinge» e per lo rame
L' agita > e senza quel pòi le rlsocbe •
Ne qui vogrioy che merariglia akuot
Tu prenda , che il fervor > che sempre «sala
Fuor di tal piètra » a discacciar bastante
Kqti sia nel modo stesso anco altri corpi*
Poiché nel pondo lor parte affidati
Restano immoti , e tale è l' oro i e parte >
Perchè rato hanno il corpo, e passa intatto
Il magnetico flutto > in alcun luogo
Scacciati esser non ponno : e di tal sorta
Par y che sia il legno . Or la natura dunquj^
Del ferro in mezzo posta, allor che Tatia
Certi minimi corpi in «e riceve»
Spinta è da' semi del magnesio sasso»
Né tai cose però sono aliene
Dall'altre in guisa ul, eh* io non ne jpossa
Molte cotktaéy che unitamense insième
Si congiui^ooo anch* esir. In prtnui io tfggio
p)0 la sola caliiiia aggluttnafit
14^ DI Tito Lucrezio Lib. Vt#
Le pietre e i sassi. Si £ongiunge Insxemo
Con la colla di torro il legno in guisa ,
Cba i* interne sue vene assai pia spesso
So'glion di propria imperfezione aprirsi ,
Che di punto allentar le commessure
I taurini lacci abbian possanza .
Con rumor delle fonti il dolce succo
Del Tin si mesce, il che non può la gttve
Pece> e Foglio leggieri ma quella ai fendo
Piomba delle chiar' acque •» e yì sormonta
Questo y e galleggia . Il porporin colore
Deli* eritree conchiglie anch' ei sommerso
Cade ; e pur questo istesso unqua Doa puete
Dall' amica sua lana esser disgiunto .
Non se tu per ridurla al suo natio
Candor col /lutto di Nettuno ogni arte>
Ogn* industria porrai; non se lavarla
Voglia con tutte 1' acque il mar profondo.
Al fin con un sol glutine s'unisce
L'argento all'oro, e con lo stagno 11 rame
Si salda al rame. £ quante omai ne lice
Altre cose trorar di questa sorte ^
Che dunque ? Ne tu d' uopo hai di A lunghi
Rivolgimenti di parole ; ed io
Perdo qui troppo tempo: onde sol resta»
Memmio, che tu dai poco apprenda ii molto.
Quei corpi, che a vicenda h^n la testura
\
mi Tito Luc&izto Lib. VL 14^
Tai , che il cato dell' ano al pien dell* altr»
S'adatti insieme, uniti ottimamente
Stanno, ed. anch' esset può, ch'abbiano alcuni,
Altri principj lor, quasi in anelli
Currati , e a foggia d' ami ; e quindi accaggia >
Che s'avrinchin Tuo l'altro, il che succedere
Dee , phi che a nulla , a questa pietia , e al ferro .
Or qual sia la cagion, che i fieri morbi
Reca, ed onde repente» appena insorto ,
Fo5;ia il cièco, relen d' orrida peste
Strage tanto mortifera all'umano
Germe arrecar , non che a gli armenti > e a'greggi ,
Brevemente dirotti. In prima adunque
Saiy che gii t'insegnammo esser Tirali
Air uom molti principj ; ed ali' incontro
Morbo anche molti cagionare , e mortef^J
Qiiesti poi che. volando a caso insorti
Forte il ciel conturbar , rendono infetto
L'aere, e quindi Yien poi tutto il veleno
De' morbi y e del contagio, o per di fqiori
Come veggon le nuvole, e le nebbie
Pe '1 ciel cacciate dal soffiar de' venti -,
O dalla stessa terra umida, e marcia
Per piogge, e soli intempestivi insorto
Spira , e vola per l' aria > e la corrompe •
Forse non tedi ancor tosto infernuni
Per norità di clima ^ e d'aria^ e d'acqua
1
14^ i>x Tito Lucrezio Lib. VI.
Chi di lontati paesi, ove già vìsse.
Giunse a' nostri confìn ? Sol perchè vario
•Molto i da questo il ior paterno cielo .
Poiché quanto crediam, che diftèrente
Sia dair Anglico ciei l'aria d' Egitto ,
Là > Ve l'Artico polo e sempre occulto ?
£ quanto variar stimi da Gade
Di Ponto il clima > e dagli Etiopi adusti ì
Conciossiachè non pur fra se diversi
Son quei quattro pacasi, e sottoposti
A i quattro venti principali > e a' ^attro
Punti avversi del cielj ma varj ancora
Gli uomini di color moho, e di faccia
Hanno. £ generalmente ogni nazione
Vive alle proprie infermità soggetta.
Nasce in mezzo all'Egitto, e lungo il fiume
Del Nilo un certo mal, che lebbra è detto t
Nér pi» s' estende . In Atide assaliti
Son dalle gotte i pie . Difetto , e duolo
Soglion gli occhi patir dentro a gli AcBiri
Confini . £ d' altre parti , e d* altre naeiabni
Altro luogo è nemico. Il vario clima
Genera tal ef&tt0 5 e quindi avviene ,
Che se un cielo stranìer turba, e commòve
Se stesfo , l'aria a noi nemica ondeggia/
Serpe, qual nebbia a poco a poco, o oabei
£ tutte» ovunque passa» agita e tutha
mi Tito lucRizio LiB. VL «4)^
L'aer, e tutto il trasmutai e finalmente
Gl'unto nel nostro ciei dentro il corrompe
Tutto, e a 8c 1* assomiglia, e stranio il rende.
Tosto dunque un tal morbo , e unn tal nova
Strage cade o nelf acque , o nelle scesse
Biade penetra > o in altri cibi,, e pasci
D'uomini, e d'animali) o ancor sospeso
Resta nell'aere il suo >eleno; e quindi
Misto spirando, e respirando il fiato
Siam con l'aure vitali a ber costretti
Quei mortiferi semi . In simil guisa
Suol la peste sovente anche assalire /
I buoi cornuti, e le ^belanti greggte.
Kè mónta, se in paesi a noi nemici
Si vada y o muti cielo , o se un corrotto
Aer ^spontaneamente a noi d* alt'ropde
Sen voli, o qualche grave, e inconsueto
Spirto, che nel venir generi '1 morbo.
Una tal causa di contagio , un tale -
Mortifero fervoc gii le campagne
Ne' Cecropj coufin rese funeste,
Fé' deserte le vie , di cittadini
Spopolò le città: poiché venendo
Da'confia deir«£gitto , ond'ebbe in prima ^ -
L'origin sua, molto di cielo, e molto
Valicato di mar , le genti al fine
Di Pandione assalse } iodi appestati
ì44 PI ^>TO lucftEi^io Li^ VL
Tutti a schiere morian . Primieramente
Essi aTean d*un ferrore acre infiàmmau
La testa , e gli occhi rosseggianti > f Egitti
Dì saoguioosa luce. Botro le fauci
Colavao marcia, e da maiigDe e tetre
Ulcere iotoroo assediato, e chiuso
Era il varco alla yocej e degli umani
Sensi, e segreti interprete la lingua
D'atro sangue piovea debilitata
Dal male, al moto grave, aspra a toccasi.
Indi poiché '1 mortifero veleno
Sceso era ai petto per le fauci, e giunto
Air affannato cor , tutti i vitali
Claustri allor vacillavano: un orrendo
Puzzo voigea fuor della bocca il fiaco >
Similissimo a quel, che spira intorno
Da' corrotti cadaveri: già tutte
JLanguian dell* alma, e della mente a&tta
L'abbattute potenze, e sulla stessa
Soglia ornai della morte il corpo inferma
Languiva anch' egli : un' ansiosa angosci^
Del male intollerabile compagna
Era , e misto co 1 gemito un lamento
Continuo, e spesso un singhiozzar dirotto
Notte, e di senza requie, a ritirarsi
Sforzando i nervi , e le convulse menabn >
Sciogliea dal corpo i traTAgliaci spirti
il Tni LfK^Kto LiB. VI. 14 f
NoJ4i a fio]a aggiiaageodo» e duolo a dsolo .
Né A sotvMhio arder fervide alcuno
Avea r escime parti , anzi 'a toccarle
Tepide, si sentian.* di guati inuste
Ulcere rossegiante era per tutto
U inferno corpo $ in quella guisa appunto >
Che suole allor che per le membra il sacro
loco si sparge: ardea nel petto intanto
Divorante le viscere una fiamma;
Nello stomaco ardea quasi un'accesa
Fornace » si che non potean le membra ,
fuorché la nudità > nulla soffrire »
Benché tenue e leggiero: al vento, al freddo
Vofontarj ^esponeansi : altri di loro
Neil* onde algenti si lanciar de*fiùmi :
Molti precipitosi a bocca aperta
Si gettavan ne* pozzi : era si intensa
La sete, che immergea gli aridi corpi
Insaziabilmente entro le fredde
Acque ; che breve stilla all' arse fauci
Parean gli ampj torrenti. Alcuna requie
Non avea il mal: sranchi giacean gl'infe^^nii
Timida l' arte Macaonia , e mesta /
Non s' ardia favellar . L' intere notti
Privi affatto di sonno 1 lumi ardenti
Stralunavan degli occhi, ed altri molti
Oavanf segni di morte: era dell'alma
di Tin LM€r. Cw r. //. K
14^ DI Tito Luca£Zio Lia.' VI
PcrturUata la mente, e sempre loToItt
Tra cordoglio» t timor ; rugo» il cig^^y
Serero il volto^ e furibondo: in oltre
Sollecite l'orecchie^ e d*un eterno ^
Romore ingombre: il respirar frequente» '
£ grande > e raro: d'un sudor gelato ,
Madido il collo, e splendido: gii spati
Tenui, piccioli, e salsi, e d'un colore
Simili al croco, e per Tarsicce» e zanck
Fauci da grave tosse appena eretti.
I nervi in oltre delle mani attrarsi .
Solean, tremar gli articoli, e dappiedi
Salir pian piano ali* altre membra un geb/
Duro nunzio di morte : avean compnsve
Fino all'estremo di le nari, in puntai
Tenue il naso^ ed aguzzo, occhi sfeóati,
Cave tempie e coatraite , e fredda ed aspa
Felle , ed orrido ceffo , e tesa fronte;
Ne molto già dalla penosa , e cruda
Morte oppressi giacean : la maggior pam
Perian l'ottavo di , molti anco il nono
l^salavan io spirto i e se alcun d' essi
V'era (clie v'era pur) che da si fiero
Morbo scampasse , ei nondtoien corroso
Da sozze piaghe, e da soverchia, e oeta
Proluvie d* alvo estenuato , al fine
Tisico si moria. Con grave duolo •
Si %ifb LUCREZIO Li«. vi. i4f
£)i testi anche caler putrido sangue.
Grondar solea dairopitate nari
In si gran copia, che prostrate, e dome
Dell' infermo le fotze, a dileguarsi
Quindi 1 corpo astringea. Chi poi del tetro'
Sangue schivava il gran profluvio, ingombri
Tosto i nervi j e gli articoli dal grave
Malor sentiasi; e nn ristesse partì
Genitali del còrpo. Altri temendo
Gravemente la morte , il virii sesso
Troncar co '1 ferro: liltri restaro in vita
Privi de* piedi , e delle mani j ed altri
P^rdean degli occhi i dolci amati lumi:
Tale avean dei motir tema > e spavento i
£ molti ancor della trascorsa etade
la memoria perdean , sicché se stessi
Noir pptean più Conoscere. £ giacendo
Qua , è 12 di òadaveri insepolti
Smisurate cataste > 1 corvi, e i cani,
I nibbj , i lupi' non per unto , e l' altre
fiere belve, ed^ augelli , o fuggian lungi
Per ischifare II lezzo; o tocche appena
Con r affamato rostto,, o co '1 digiuno
Dente le carni lor, tremanti ai suolo'
Cadeanò' anch' essi , e vi morian IsTo^Uido.
Né però temetiarìo alcun aug^Uo^
Ivi '1 g{iòhi9 crppafifi) né daik selve
K X
X43 DI Tito tucjiEZio Lii. Vt,
Nel notturno silenzio usclaa !e fiere r
Languian di lor la maggior parte opprent
Dal morbo, e si morian. PrincipaltncQCe
^teso in mezzo alla ria de' fidi cani
L'ai>battuto vigor, Tegra, e dolente
Alma vi depooeai poiclsè '1 veleno
Contagioso del mal toglieva a for^a
Dalie membra la vita . Erano a gara
Rapiti i vasti funerali > « senza
L'usate pompe. Alcun rimedio cerco
rìd comùn non v*avea. Ciò che ad àfcimo
Diede il volgersi 'n petto il vital apirto
Dell'aria, e il vagheggiar del cielo i canpS»
Ruina ad altri apparecchiava , e morce .
Fra tanti , e si gran mali era il peggioce
D*ogni altro » e il più crudele, e miseraadoi
Ch'appena il morbo gli assalia, che tucit
Quasi a morte dannati, e privi af&t^
D' ogni speranza , sbigottiti , e mesti'' J
Giaceansi $ e con pietoso occhia guardando
Degli altri i funerali , anch' essi *a bttfe
Senz'ajuto aspettar, nei luogo stesso
Moriansi : e questo sol , più che nuli* altioi
Strage a strage aggiungea , che il rio
Peir ingordo malor sempre acquistava i
Nuove forze dagli egri, e sempre quindi
Nova gente assalia . Poiciic chinngue
IH Tifò LxstKMÈÌo tlB. Vi. ìiP
Troppo di Tiver desiosi , e tro|;>po
Timidi di morir fuggian gì' infermi ,
Di Tisi€4ir negando i suoi pia cari
Amici > anssi soTence emp) aborrendo
La madre > il padre > la consorte , i figli >
Con morte inCtme abbandonati , e priri
D* ogni umano argumento , il fio dovuto
Pagayan poi di si gran fallo i e quasi
Bestie a torme morian per poca^ cara «
Ma chi pronto accorrea per ajutarli»
Periva > o di contagio, o di soverchia
fatica > a cai di sottoporsi astretto
£ra dalia vergogna, e dalle voci
Lusinghiere degli egri, e di lamenti
QiierttU miste. Di tal mòrte adunque
Morian tutti i migliori, e contrastando
Di seppellir negli altrui luoghi i proprj
Lor morti , dalle lagtime » e dal pianto
Tornaran stanchi i* loto alberghi . In Iettò
Quindi giacca la maggior parte oppressa
Da mcftbia > e dolor i né si potea
Trovare in tempo tale , un che non fosse
Infermo, o mono> o io grave angosciai o io pianto * \
la oltre ogni pastore, ogni guardiano
O* armenti , e già con essi egri lai^gulano
I nervuti bifoleni, e nell'anguste
Lor capanne stivati, e dall' orenda
1
t jo DI TiTd Lucrezio Lib. ^t^^
Mendicità, più che dal mortx) , «pprtiim :
S'arrendeaao alla morte. Ivi miratsl
Potean su i figli estinti i genitori
Cader privi di vita ; ed ali* incontro
Spesso de'cari pegni i corpi iassi
Sovra i padri, e lo madri esalar Talma^
fSè di sì grave mal picciola .parte
Concorse allor dalle vicine ville
Nella città: quivi *1 portò la copia
De* languidi Yillao , che vi convenne
D'ogiìi parte appestata. Era già pieno
Ogni luogo , ogni albergo ; onde auguttiati
Da sì fatte strettezze ognor più crude
La morte a]lor gli nccumulava n^oaci.
Molti da grave insopporiabil sete
Asprameiìte abbattuti il proprio corpo
Gian voltolando per le strade , e giunti
A i bramati silani , ivi distesi
Gi.aceansl 'n abbandono , e con ingorde
Br^me nel dolce umor bevean la morte.
£ n)olte anche , oltre a ciò > vedute avitrà
Per le pubbliche vie miseramente
D'ogn* intorno perir languide membra
D'uomini semivivi, orride e sozze
Di funesto squallore, e. ricoperte
Di viiissimi stracci , immonde e brutte
D*ogoi lordura, e con l'arsiccia pelle
Bi Tito Lucrezio Lib, VI, i j t
Seccia sulle nad' ossa , e quasi a£Fatto
Nelle sordide piaghe ornai sepolta .
Tutti al fin degli Dei gti eccelsi templi
£ran pìeui di morti , e d* ogn' intorno
Di cadaveri onusti •• i lor custodi
Fatti 'n van per pietà d'ospiti infermi
Gli avean refugio ; e degli eterni , e santi
Numi la maestà, la veneranda
, Retigion quasi dei tutto ornai
S'era posta in non cale. Il duol presente
Superava il timor. Più non v'avea
Luogo y antica usanza > onde quel pio
Popolo seppellir solennemente
Solca gli estinti : ognun confuso e mesto
S'avacciava all'impresa, e al suo consorte»
Come meglio potea , dava sepolcro .
£ molti ancor da subito accidente »
£ da terribil povertà costretti
Per cose indegne: i consanguinei stessi
Ponean con alte spaventose strida
Su i roghi altrui , vi sopponean l' ardenti
Faci, e spesso fra lor gravi contese
Facean con molto sangue, anzi che privi
D'ufficio estremo abbandonare i corpi.
K 4
I
■*■ li
FEDRO
TRADOTTO
D A
GIO: CRISOSTOMO
TROMBXLLI.
<
"t
N TIZI. E ; ,, ^.
F E D ii Ó,
V^Uanto sappiam di ceno su questo
nitido ed utile favoleggiatore^ si riduce
a due cose sole ; eh' ei fu Liberto d'^u-
:gi*Mò , f nativo di Tracia . Come venis-
se a Koma^ e perchè "fosse posto in' li-
bertà , noi dice alcuno . Forse perchè
era letterato. La letteratura sempre ha
prodotto^ qualche gran bene , malgrado
Pierio Valeriano de infelicitate Utterato^
rum . Cristio s* immaginò ^ che non vi fo^
se mai Fedro al mondo • Ma Marziale
Ip aomiiim ; e dopo icd Axììù Sesto A^
le sne fiirole pubblicate la prn
volta dal iPiteo in Troies nel i^^^r
Cbioiio euminate dai dotti , e c^edme
degno per la lor tena latinità del lecii
VAatpnos
•vir
^i7
DE L L E
FAVOLE
DI F E D R O
LIBERTO D'augusto: '
LIBRO primo:
PROLOGO.
c>iOn metro uaiil> né a dure leggi aTratio»
Ciò eh' Esopo inreacò > resi pia adorno .
Due pregi lia II libricciuol i il riso . more »
( con saggio consiglio il viver regge.
Se* alcun mi reciii a biasmo che le piante »
Non che le fiere.» abbia a parlare indotto ;
Che son finti taceonti gli fovrenga.
I5i IiB. I. Fay. t
F A V 'O L A I.
Il lufo^ $ V Agnello.
c\ Uà rio medesmo , da la sete spinti »
i' Àgoello e 'i Lupo eran venuci . Il (u'pcr
Al fonte più vicia ; da lunge assai »
Be?ea l* Agoello; «lior che ingorda £i{nc'
Punse il ladron ^ ricercar tal rissa. * f
Perchè l'^acqua, a lui dice « osi turbarmi 2
L' Agnci tremante: intorbidar poss* io' •
L'ondar che dal tuo labbro al mio cràscorit!
Quegli vinto dal vcrt ma tu soggiujne »
Pin da sei mesi con acerbi motti lO
M'oltraggiasti: Io non' era allora nato,
L' Agnel risponde: affé, riprende il LupOi
Che .yillania ii padre tuo mi disse .
Cosi r addenta^ e ne fa Ingiusto scempior-r
La favoletta per coloro è scritta* i^
Che eoa falsi pretesti r buoni oppricnoho.
FAVOLA lì.
Le Sitine , che chiedenr un re •'
R
£tta fiorìa da giuste leggi Atene i
Allor che troppo libera Utenza,
LìbI I. f Av. II. r54r
Sconvolse h cittì» sicché del retto
Santo prtmief costume il fren le tolse i
Né guarì andò, cbe le fazion' s^ unirò > '5
£ fcr Signor Pisistrato . La grave
Lor servitade i ciccadin' piangendo r
Non già perché crudel fesse costai, •'
Ala chi avvezzo non é , mal soffre li giogo :
Raccontò ^esta . novelluccia Esopo. io
Sciolte da servicude eran le Ranes
Qua/ido d* aver, un re vogliose r a Giove
Con tai grida il' richleser, eh' e' ridendo ,
Un picciol travicello a lor destina.
Lo strepito che fa ne ('improvviso 1$
Cader, sgomenta il pauroso gregge*
Ala poiché lungo tempo impantanato
Giaceva» da lo stagno chetamente
Una alza a caso il capo, il guatai e l'altre
Aduna, e mostra il rege: arditamente lO
Salgoftvi sopra a gara y e dopo averlo
U ogni ftccift imbrattato , ambasciatóri -
Spedirò a Giove, tal sovran chiedendo,
Ghe con la forza i rei costumi affreni ,
Se quello far noi puote. Immantinente ly
Lor manda Giove un Idro, che a Io stagno
Giunto appena, le ingoja ad una ad una.
Vorrìan fuggire-, ma il timor Je* antsta ;-
Né dà lor campo 4idimplo»r mettedcv
ié9 LiM. L Fav. m.
A Mercurio coamettoa di ntseoto
Che chieda pietà a Gio?e: ma il grao Pftdre :
Poiché un re buono , dice » yì àìapi^cqfit
Abbiatene un crudele. £ Voi ancora
Tollerate costui $ un mai più grare
Se noi soffrite , citudin* , t* aspetta .
FAVOLA III.
L4 CamMcehié sttptrbd $ il Fjtv0m§ ,
L £r insegnarci y anzi ch'ambir Taltrm^
Dei ben' che*] ciel ci diede, ad esser pMdit
Di tal esempio Esopo ci prorvide «
Una Cornacchia follemente altera»
D* alcune piume ad un Paron cadute , 5
S* adorna, e le Cornacchie avute a rile»
Fra i bei Pavoa'si mischia. A la sfacciata
Essi STclgon le penne, e si co' rostri
L' inseguon, che mal cancia, e in Vaa gemente»
Ver le antiche campagne il vob iadrisza > i^
0ve/ acerba sostiene acre ripulsa.
Una di quelle allor th' avea sprezzate :
Sptacertt non dovean nostri abituri »
Né a sdegno aver ciò che ti die oatara •
Cosi sfuggita quella beffa aresti ,
tJè accorai ti potrebbe or la ripulsa.
Che schernita u rendei ed infelice •
FAVOLA IV,
21 Csni €b$ féHn U càfn$ ptr lo fiume •
B
£a è ragion , che 1 suo perda colui ,
Che r altrui di rapire avidc^ agogna .
Con carne in bocca a nuoto per un fiume
Passava un Cane. La fallace immago.
Che forman Tacque» a credere l'induce, 5
Che altro Cati v'c con altra carne in bocca.
Tema rapirla, aa liinan l'ingordo
Deluso ì r afferrata a lui V invola ,
Ne r altra cai btamà » toccar potrò .
f A V O L A V.
La Vf^4i U CsprM , U FicorSi '0 il li&nv.
kJHx di lorza preirai 9 la fe non serba i
£ ben' chiaro il dimostra il mio racconto •
Una Vacca, una Capra, ed una Pecora»
( Che più eh' altro animai le ingiurie loffirc )
* B$4r9 le Isv^TomoIL L
1
f
x6x tiB. I. Fav. y.
Ne'boscki a caccia d'un Leon compagne, {
Fero d' un Cervo d' ampia mole preda .
Ne fa il Leon le parti , e si soggtugne:
Prendo > poiché son re, la ptima: V «altra
È mia, perchè son forte: anche la terza.
Se vi avanzo in valore , a me si debbe . 10
5e alcun poi contrastarmi osi la quarta,
Fia che sciagura incontri . In cotal g^i8a
Lo sleal tutto il Cervo a se destina»
FAVOLA VI.
QuirelM delle Rane contro al UU»
D
' un vicin ladro le pompose nozze
Esopo vide> e a cosi dire imprese:
Volea il Sole ammogliarsi , quando altlstifflc
Strìda fino a le stelle alzar' le Raae .
Mosso a cotesta petulanza Giove»
Ne richiese il perché. Ora se tutti
I laghi , una risponde, ei solo asciuga » '
£ ardente sete noi meschine uccide $
Che fia se figli da cai nozze ottenga i
LiB. l Fav. vii. e Vili, ist
FAVOLA VII.
La Volpe ad una Maschera o sìa fascia
da scena .
O Imbattè in una Maschera la Volpe:
OH qual beltà di cerve 1 , disse, è priva!
f A coloro il narrai» cui se fortuna
Die gloria e onor , fu di buon senno avara ,
FAVOLA Vili.
Il Lupo e la Gru .
Oe da* malvagi ricot^nsa attendi»
Doppio é il tuo errore: a*rei soccorso appresti»
Né potrà tua follia ime impunita.
^ Erasi al Lupo ne la gola fitto
Un osso » , che dal dolor forzato , j
Alto premio propose a chi ' il traesse .
AlHo la Cm dal giuramento indotta ,
Fidando il lungo collo al Lupo in bocca,
Giunge a le fauci, e con suo' gran periglio.
Trattone l'osso, ogni dolor gli toglie. io
Chiesto il promesso premio; il Lupo: ingrata,
L t
È
j^4 Li». I. Fav. IX. k X
pa che fuor di mia gola impune il capo
Traesti, non se* paga , e mercè chiedi?
FAVOLA IX.
Il Passere , # U Lepre.
ì
Un folle avviso dar consiglio altrui ,
Né curar se medesmo. In brieve il mostro:
^ Fra gli artigli de 1* Aquila una Lepce
Alumenre gemea . Sì la dileggia
Un Passere: dov'è tuo lieve corso,
£ come i piedi cosi tardi avesti ?
Parlava ancora, e lo Sparvier repente
Lo afferra, e a morte m van gemente iftragge»
benché di vita è sui ^kfin la Lepre ,
Quasi r altrui rechi af^o mal conforto*- IO
Tu che sicuro, dice, mi schernirvi.
Con pari duolo il tuo destino or piagni •
F A V O L A X.
n Luf e U Vilpe wnMHzi mlU Scimmia
Uro giudice,
.^H* ad un , s*è colto una fitta in frode s
Se poscia dice il ver fé noa si presti ^
ti» I Fav. XI. 1^5
Coli briere favoluzza Esopo il mostra .
^ Accusata di furto era da un Lupo
La Volpe: essa 16 niega . Elètta è Giudice f
La Scimmia > che le parti entrambe udite ,
.Si parla: lu tkòà sembri arer perduto
Lupo > ciò che richiedi , e avrai rapito '
Tu Volpe ciò ch'accortamente nieghi«'
FAVOLA XI.
Z^Asinp e it Lione f ehi vanno isictU .
^Hi a le parole egual non ha valore >
Ancorché, uno stranier tal volta inganni 1
Da chiunque il conosce è avuto a scherno*
^ Volle a caccia un Leone ir col giumento;
Di fronda il copre, e che con voce strana f
Le fiere intimorisca, ad esso impone;
Ch'ei prese nel fuggir poscia le arebbe.
V orecchiutellò grandi strida innalza ,
Da cui , è dai difforme ignoto aspetto
Le fiere intimorite per le note
Strade tentan fuggir ; ma impetuoso
Il Leone le assale, e ne fa scempiò.
Da la strage indi stancò, a sé il richtaM»
Ed a lui h di pid gridar divieto .
Esso aUiec: di mia voce or che ci sembra? )f
%
Uè tlB. I FaV. XI. E ^ìl.
Tanto, il Leon soggiugne, che se ignota
Erami la tua scblacca , e '1 valor tuo ,
Sarei , se fuggir' V altre , io pur fuggito .
FAVOLA XIL
Il Cervo aiÌM fónte,
Spesso ajdiyien , che cosa avuta a vile
Util più sia che la tenuta in pregio :
£ chiaro vel dimostra il mio racconto;
* Presso ad un fonte ove bevuto arca,
Fermossi un Cervo , e la sua im magia y\ds »
£ le gracili gambe dileggiando ^
Le ramose alte corna ammira > e loda^
Quando de' cacciatori a le improvvise
Grida atterrito > con veloce corso
I campi passa, e folta selva il celai
£ la turba de' Cani in van lo slegue ,
Ma da l'eccelse corna trattenuto.
Da' fieri morsi a dura morte è addotto T
O me infelice I è fama che dicesse
Allor morendo: veggio al fin qual danno
Ciò che lodai m'apporti, e quale aita
Mi recò ciò eh' a torto ebbi in dispregio.
LiB. I. fat. xiri. B XIV. 1^7
FAVOLA Xni.
té Volpe e il Corv0 .
^l peDte In van cai finta lode alletta ,
Che ria vergogna suo mai grado il segiie;
^^ Mangiar yolea soyra alto ramo assiso
Il cacio tolto a una finestra il Corro.
La volpe il vede : o come belle sono y
Dice> le penne tue! qua! leggiadria
Ne le tue membra scorgo , e nel sembiante \
Se ^1 resto è ugual la voce , fra gli augelli
Nessun tuoi pregi adegua: allor lo stolto
Per farsi udir > lascia la preda , e canta •
L'ingannevol Vòlp^^ta avidamente
Il cacio addenta. AUor s'avvide il Corvo } io
Ma taf di, e si lagnò di sua, follia.
Sempre al valor prevalse l'accortezza.
F A V O LA XIV.
XI CiÀbattinù fintosi hUditù .
ljL Povertà ridotto un Ciabattino ,
In luogo ignoto andonoe > e là si finse
Medico , e dispacciando finti Antidoti >
I- 4 '
La cai sciocche»» 6 ^
, A V O t A ^^*
Ss il Principe si «=»«?»' Jp,eacc il «>me*
U" alt"» «»6»'' 'tekve raccónto osegna^
Che ciò sia l^^XlcV^o V Asincl pasce».
* Nel prato un Y^.^ g„d».
Ma Ae* neirn" » \ /..ino esorta,
^Uto. a fag- lj^f^„«mhi ia P«d*'
^^ Per non restar de
[Uè. t Fa^.XVI. e VI!. T^f
Et però })on s'affretta, e kl Vecchio chiede,^
Se doppia sdtna il Yjncitor g(' impotiga ?
No > gli risponde il Vecchio . £che m'impom y io
Di aver tuoVo padroo > s' ugual n*fao il p^so f
FAVOLA XVI.
Il Cit^ùé è U Teeoral
Ln prestito chiedendo uoni frodolentoy
S' offra mallerador simile a lui ,
Anzi eh' assicurarti > ordisce inganno .-
^ Con sicurtà del Lnpo, ad uùa Pecora f
Un moggio di frumento il Cerro chiede. f
Essa che inganno cerne: suole il Lupo
Rapir, risponde, e ratto girne altrove;
£ tu del pari a gU occhj altrui t* involi .
Se in giadicio a chiamarvi un di costretta
Verrà eh* io siai dove dovrò cercarvi? io
FAVOLA XVn.
1« Pecora , i/ . Cane $ il tufo .
lEna incontra chi tesse ai buòni ingaonò.
^ D' aVer datò ih prestanza un Cane lofiàse
A la Pècora un pafie, e a lei Io cbtèir.
i
t
ifo tiB. I. fav; XVIII. B XIX-
Citato il Lupo in testimonio , attesta
Che diece , non che un solo > a lui dorea * f
Sicché da falso tescimonio astretta ,
Paga ciò che non dee. Di pochi andaro»
Che vide il Lupo ne la fossa s e questa
J>e la tua fraudé , disse > e la mercede •
FAVOLA XVIIL
La Donna partoriente i
N
Essun brama tornar ov'ebbe danno .
^ Già scorso il tempo , ed imminente il partOi
Su ^a terra giacea stesa una Donna .
Strida > ed urli mandando . £ perché in letto »
Lo sposo, dice, non ti corchi, u* meglio > f
Di natura deponga il grave incarco ?
Perché veder non so (quella risponde)
Come, ove nacque il mal, guarir si possa.
FAVOLA XIX^
La Cagna partoriente^
}£ cortese é un malvagio, inganni adopra.
£d a schifarli il mio racconto insegna*
^^ Fra' dolori di parto una sua amica
X<18. Ig Fa7. XX. ^ft
Cagna, un'altra pregò, che le lasciasse
Depor nel suo tugurio i p argoietti -, 5
£ agevolmente V impetrò : ma poscia
Che se ne andasse instando l'altra, a* nuovi
Prieghi ricorre , e un brìeve tempo chiede.
Finché la prole maggior forza acquisti. .
L'ottieu; maallor ch'il luogo vuol per l'altra, jO
Essa dice, il darò, se 11 tuo valore.
Me insieme, e i figli miei combatter possa.
F A V O L A XX,
/ Cani famtliei,
. Olle consiglio, ed e di effètto privo,
£ i mortali in roioa , e a morte adduce*
^ D*un fiume in fondo videro dna pelle
/alcuni Cani; in vana speme addotti
Di trarla fuori , incominciaro a bere s f
Ma gonfj pria creparo , anzi che il coojo
Ad assaggiar alcun di loi giugnesse.
L
171 Lis. I. FXV. XXr. 1 XXII.
FAVOLA XXr.
U L<$9n$ veeMoy il Cipmli^ il T$r^
e VA$ÌM.
L^Hi da l'antica dlgoicà decade
Allòr che pia l'inseguc avversa sorte.
Scherno divien de gi' infingardi àncora.
* Privo il Leon di forze, e d*anal carco.
Sa l'estremo confin del viver suo >
Qual fulmine il Cignal, col dente acuto.
Prende di torto antico alca vendetta.
Poco ne va , che il Toro , del nemico
Il ventre con le corna, e fere, e scjuarcla.
L'Asin che scorge impuni irne le offese, io
La fronte del Leon coi calci infrange.
Esso morendo, inf!n> disse , che i forti
M' insultato 9 mi dolse; ma ch'uà vile
Disonor di natura osi cotanto,
ià io lo .sofira > doppiamente io mubjo .
FAVOLA XXIl.
Le Donnola , e V Uomo 7
lA Donnola da un Uom dianzi presa,
Pec la morte sfuggir tai preci porge.
' tia. IFaV. XXIII. ijrjt
Tengo h casa taa netta da' topi •
Perciò cortese a me pierdona. L'altro;
Se per me tu il facessi, io l'avrei càrOf <
£ a le preghiera tue sarei cortese »
Ma poiché a goder ciò che godrian essi» ^
Tue cure impieghif ed essi pur dÌTòri;
Cotesto benefizio inVan millanti:
£ in cosi dir la cattivella uccide • JO
^ Riconosca diretto a se il racconto
Chi sovvenendo altrui, se stesso avanza»
£ un vano merto a gl'imprudenti estolle.
FAVOLA XXIIL
Jl Cane fidili.
u
N* Improvvisa iiberalitade ,
Se a' folli piace , i saggi in van lusinga .'
^ Un ladroncel notturno per Ht provai
Se col cibo amicarsi possa il Cane»
Un pan gli porge. Il Cane a lui lilMlo*
Ch'io taccia, dice , tu lo speri in4tiiM>3
A pia vegliar cotesto don m'aitrtgne»
Tal che del mio tacer tu non profitti.
f^ LiB. 1. Fav. XXIV. E XXV.
FAVOLA XXIV.
U Rana erefata e il Bui .
L^Hi dal destino avaro ha scarsi beni ,
Se il grande imitar yaol , raina incontra .
^ Da la Rana in un prato il Bue fu visto;
£ punta da livor di tanta mole,
Gonfia la scabra pelle , e chiede a' figli > 5
Se ancora il Bue ne la grandezza avanzi.
Rispondono , che no . Elia più gonfiasi ,
E chi maggioi^ fia , ctócde : II Bue ripetono .
Sdegnata alfi^ > con tal forza si gonfia ,
Che rottasi la pelle , estmta giace .
FAVOLA XXV.
Il Cant e il Cocidrillo.
'£ SMKTs scherno espóne» e in van s*adoprai
Chi coodur tenta i saggi a' rei consigli .
^ Che bean correndo sitibondi i Cani
Al fiume Nilo , per non esser preda
De Cocodrilli, e fama. Un Cane adunque ^
Avendo in guisa tal impreso a bere;
A Ini an Cocodrillo : A tuo grand' agio
li». T; Fav. XXVI. i7i
tei presso al fiame, e non temer d'ioganno.
L* altro dice, il £irei , se qael desio >
Ch'hai di mia carne, a me fosse nascpso . io
FAVOLA XXVI.
U Volpe ^ < U Cicogne.
N
Oo offendere alcun : ma chi n* oflèada l
A mendicar > Ja fa?oletta insegna.
^ Dicesi, che la Volpe invitò a cena
Una Cicogna, ch'apprestar si yide
In largo piatto liquida vivanda: $
Talché tutta lambir la può la volpe;
Il famelico augel nulla n'assaggia.
£ cpesto pur a cena 1* ditto invitai
£ posto etico cibo in vaso angusto ,
Tutto col becco agevolmente il prende, i<o
£ si pasce a sua. voglia . Indarno Takra ,
Cui tormenta ria fame, il collo lamhe.
Si allor parlò l'augello ; Invan ti lagtti »
Ch'altri il tuo esempio in danno tu» àrolga.
i>4 )ti«. l'Ut, 3srvn ft xxvirt.
A
FAVOLA XXVII.
Il Csnr , il Tesoro e V Avoltojo ,
Dattata a gli avari e la novella >
k, ad UQ , che nato in umile fciftuna >
A la fama di ricco avido aspira .
^. L'ossa dun tiom dissotterrando un Oi#è
Trovò un tesor. Gii Dei d* Avecao in pcn» f
Del sacrilego ardir , la copidigia
GÌ* inspirar' di ricchezze. Tal desio
L* ingombra si , che cibo alcun non cura »
Onde da dura fame e alfin oonsaoto.
Sul cui cadaver sceso 1* Aroltojo , io
Ben giusto e, dice, che tu giaccia estimo;
Poiché ^iloienie in strada conceputo»
£ cresciuto a! letanse > ia un istante
pi regali ricchezze t'invaghisti. ■■-'■■
N
FAVOLA XXVIII.
Ls Volpo e l'Aquila.
On dispregi il possente un uom delvalgt
Cui non previsto apre vendetta il viirco"
^ Iflg^Qoso peosier. L* Attila i figli
•&1* I.-Fiv. XktX. J77
Rapi a la Volpe, e a i figli suoi nel nido
Li die in cibo: la prega l'altra indarno, 5
Poiché r augel > cui la sublime cima
Rendea sicuro > i preghi altrui ffon cura.
La Volpe, che sue preci ir vede a vuoto,
Da l'altare una fiaccola rapita ,
Tutto di fiamme 1* albero circonda; io
£ la morte de' figli a lei minaccia.
L* aùgoi cui de la pròle il rischio afEinùa ,
5upplice i JVulpicin* salvi le rende .
FAVOLA XXIX.
I* jisino mottigtaton del CigitMle ,
G
Li stolti -co* motteggi un piacer liete
Cercando ,. fanno altrui Tillana offésa ,
£d espoi^gon se stissi a rio periglio.
^ Col Cignafe incontrafbsi un Giumento,
Buon di fratel , gli dice . Egli ri saluto 5
Rigetta , e d* onde e* fia fratel gli chiede ?
Almen ( 1* Asin risponde , estratto il pene )
Se iù altro par che a te non rassomigli.
Questo mi par al cefib tuo simile «
Assalir lo voleva, e^ farlo in brani xo
Il Cignale *, ma pur l' ira rattenne i
diluirò UI4V.T.11. M
t'pZ LlM. l, Fat. XXX. t
E agcTol fora vendicarmi , ci dice ,
Ma, lordarmi di un vii sangue non voglio.
f A V O L A XXX.
L4 Rsnt che ummo $ comhattimesti de^Tarh
J Ono 'i plebei in gran periglio allora > ,
CJbe vengono a tepzon fra k>ro i grandi»
^ Vide i Tori pugnar da la palude
Una Rana > e a noi > dice qual sovrasta
Strage crudeli Perchè, soggiugne un'altra, {
Se per regger la mandra e la tenzone ,
£ lontaii da gli stagni e il. lor soggiorno?'
Ne natura comun , ne tetto abbiamo»
Risponde -, ma colui che riman Vinco,
I boschi abbandonando , ne gli slagni lO
Asconderassi , e noi fuggenti invano
Col duro pie schiacciando infrangerà ;
£d «eco a noi funesto il lor furore.
Ut. I. Fav. XXXI. t7f
FAVOLA XXXI.
2l Nibbio § U Colombi i
L^Hi per difesa ad uom insto s* affida^
Doyt ajuto ei ricerca , danno incontra ,
^ Spesso col ratto volo le Colombe >
If Nibbio predatore avean deluso.
A la frode e' ricorre ; onde 1* inerme
Stuolo tragge in inganno; e perchè , dice ,
In continua angoscia i dì menate ì
Meglio fora > che fatta lega insieme ,
Il comando io n' ottenga • A n' andrete
Per mia difesa da gli oltraggi franche .
Esse credule al Nibbio in man si danno > !•
Che fatto lor Signore , or questa or ciucila
Presa fra' duri aitigli , si divora .
Una di quelle allot che eran rimase:
Tale il volemmo , s* é crudel couui • **-
A rin$ del Libro Frimo ,
M a
Ilo - .
DELLE
FAVOLE'
F E D R
LIBRO S £ C ti D 0,
PROLOGO. '
D
£' mortali a i desiri impoogon freno
I racconti > onde Esopo a noi fé' dono ,
Talché il comun fallire si corregga ,
E induscre ingegna ad acuirsi apprenda: .
Quinci qualunque sia la faYoletta> )
Se dal ptoposto fin non s* allontani ,
E diletti l'orecchio , illustre assai
Non per 1* Autor, ma per se stessa é Topra.
Del saggio vecchio ad Imitar lo stile,
tnapiegherò ini« cure^ ma se alcuna I9
LIs. li. 7at. I. i8x.
Cosa il mio frapporre unqua mi piaccia»
Siccbè dilecco , variando , apporci ,
Vo*che il lector in buona parce il prenda «
Mia brevicade quesco don ri porge,
Di cui prolissa esser non dee la lode ^
'^FAVOLA, I.
Il Giovenco , il Leonh il Cacciatori ^
fjL Rigeccar de gli avidi le inchieste >
Cd a' modesti a offrir^ tuoi doni apprendi •
^ Stava sopra an Giovenco testé ucciso
Fiero Leone. Un Cacciacor là giunto
Ne chiede parce ;. io lo farei , risponde f 5
Ma prenderne cu stesso hai per costume -,
£ si r ardir dei temerario aSrena .
In buon punto uom dabben colà pervieoe i
Ma il Leon vede appena, e il pie ritira.
£i mite, non temer; dee tua modestia io
ilverne parte. Francamente prendila.
Il Bue divide, e fa ritorno 11 bosco.
^ Degno di lode esempio! e pur si vede^
Bieco l'ardir^ e |a modestia grama I
M I
?ti Lrt. li. Fav. II. ^r tlf.
o
, F A V O L A II.
La Vecchia e la Giovane y amanti A' un
Ventò di mezxjk età .
Slen le Doabe amanti , e pure amate y
Vi spogliano a la fin . Ecco V esempio .
^ Uh aotn di mezza età due Donne ansava;
Ura con la lindezza gli anni asconde i
Giovine e bella è l'altra: uguale etate 5
Mentre aftettan mostrargli entrambe y i ertili
Gli svelgono a vicenda. £t cke si cred6,
Che il pulisca lor cura > di ^repente
Calvo divien . I bilenchi crin' gli area
Svelti la Giovinetta, e l'altra i neri.
u
FAVOLA III.
VVomOy $ il Cantf.
N Uomo a can i^abbiosa» onde fa morso.
Pane gittò ne la ftrira intinto.
Che remedio opportuno essere adio.
Dove sien molti Cstn* ( s^ggiugne Esopo y
Guardati di noi far, perché altrimentc, J
Ore tale mercè si» de la colpa >
Ili. n, Fav. IV. itj
Himarem tutti i:' lor denti in predi .
^ MaWagio oprar se lieto fine' ottenga >
I prari escmpj ad imitar ne invita •
FAVOLA IV.
«
X' AqfiiU , U GMtta 9 e U Scrofi$ selvaggia ,
J-J A<jiila in cima d" una quercia annosa
facto a?ea il nido. Una sclraggia Scrofa
Depose i porccllctti a la radice:
Nel caro eh* è nel mezzo» partoriti
ATea una Gatta i pargoletti suoi , 5
Che cotal camerata a caso unita
Con arti scellerate , e rie disciolse .
De r Aquila s' aggrappa al nido , e oh quale
Danno a te > dice , e forse a me sorrasta /
Col continuo scarar che fa la Scrofa 10
La quercia atterar vuol, sicché cadendo
I nostri figli uccida . A cotai detti
De r augel turba alto terrore i sensi ;
Allor r astutk corre in ver la Scrofa ; ^ *
Liti gran periglio , dice , e la tua prole. I|
Quando uscirai con essa a la pastura,
L' iqaila e pronta a farne avida preda.
La Qatta dopo aver anche costei
M 4
lt4 !-«• II. Fav. IV.
Ripiena di timor, s'intana e asconde;
Indi pian piano a la campagna uscendo > to
Giunta la notte , del trovato^ cibo
Largamente se stessa, e i figli pasce.*
Qual timida il di tutto osserva 9 e guauJ
L' Acquila intanto paurosa stassi ^
Sa gli alti rami ad osservar la Scrofa. &
Questa, i figli perchè non le sien tolti.
De la tana non esce . Indi ambe , e i jfigdj
Di pura fame morti , a' suoi Gattucci ,
Lauto convito l'empia Catta appresta.
^ Stolta credulità quinci comprenda, 50
Un frodplen to qual ruina apporti .
FAVOLA V,
Cesare di etisfpde dell'Atrio,
L^Erta di Faccendier* razza evvi in Roma »
Che nulla f a , e in mille cure immersa ,
Qua e là senza ragion corre affannosa >
Onde reca a' se pena » onta ad altrui. (
£ difiìcil* impresa j pur m'accingo
Con non £nto racconto ad emendarla:
£ degno è ben che orecchio gli si appresti
* Nel viaggio , che fé' Tiberio a Napol ,
A la sua Villa di Miseno gii^oco ,
Lea. II. Fat. V.. lEf. i
Che In erto colle fabbricò Lucullo, io
Sicché il Mar di Sicilia a sua veduta
Ha soggetto, e da lunge il Tosco mira»
. Fra gli alro-cinti serridor jde 1' atrio ,
Uà 9 cui fascia 4' %ItC9 , da le spalle
Tratta > la veste tal raggruppa e scrlgae, 15
Che dal suo nodo slen le falde sciolte:
D'acqua ripien preso uq orciuoi di iegao.
Onde al Padron si mostri ufficioso,
Che per verzure amene iva a diporto^
li terrea caldo inaffia. Ma il Padrone xo
Punto noi cura; indi per noti giri
la lin alerò vìal il suo Signore
Precorre, ed ivi pur la polve ammorba .
L' astuzia di costui comprende il Duce ,
£ qu^le nel suo oprar fia.si proponga; ay
Ma vuoU che speme lo iusinghi indarno:
Poscia a se il chiama . £i pronto si presema ,
£ lieto attende la guanciata amica.
Che libertade apporti. Sorridendo
Cosi scherzò Ja maestà del Prence : . . . 3 ^
Poco hai tu fatto.) e 90 l'hai fauo indarno.*
Assai più care le guanciate io vendo > ^
it^ Li»; n. fav^ yi.
I A V O L A VI,
V Aquila 9 U dmaechis, é U Testug£int.
N
Essan contro a uà potente e assai difeso*
Ma se rio consigliefo a lui s'aggiunga ,
Nequizia a fona unita il tutto atterra .
^ Trasse l'Aquila in alto una Testuggine,
Che tutta ascosa entro la dura scorza f
Non lascia che i* auge! le faccia offesa .
Là vola un^ Cornacchia , e avvicinatasi ,
Pingue codice, tua preda.* pur m'arveggi*,
Che se ciò che far dei , non ti si additi -,
Andrai di grave peso indarno carca. io
Parte a lei ne promette. L'altra allora:
Ver l'alte stelle innalza il volo, e a piombo
Sopra uno scòglio l'abbandona^ e infranta
La dura scorza, à tuo piacer l'addenta*
Pronto l'augèl l'innalza, ed ottenuta 15
Dal rio consiglio fortunato evento.
Ricca paji^te ne dona a la Cornacchia .
Cosi colei difesa da' natura ,
Tal che una darle morte unqua non seppe,
{Quella , in cui due s' unir' , campar non potè . ic
liB. It Fay^ VU. I Vili. $tf
F A V a i A vn^
/ MuU I -t i Lsdnnl ;
J^IVan dpe Muli ^i grao soma carchi
Giavi di pubblico oro i ed ampie ceste
Portara V ita ; sacchi ^ pien d' orzo V altro J
Superbo il primo per lo ricco peso
Scuotendo acuto campanel dal coilo, 5
Erta ùen la cervice, ed orgogliosa:
Dimesso V altro, chetamente il segue;
Quand'ecco t Ladti da gli agguati scagliaosi
Contro del Molo altero» e ne la 2uffii ^
In cai la ricca soma a lui s'invola, io
Soffrir pia colpi a T infelice è forza;
Il vii peso de l' altro hanno in dispregio ^
Mentre il compagno de la sorte duolsis
A gran prò ( dice l'altro) io fui negletto:
Nessun ferimmi 9 e intero Forzo io serbo, t$
* Sicure son le porere fortune,
Son le opulente a gran perigli esposte.
FAVOLA Vili.
21 C$rvo , e i BU9Ì •
-^Cacciato fuor de' folti boschi il Cerro;
Da fiero caceiator che a morte il cerca f
I» Lij. ir. Fat. vnr.
Tal ha timor, ne U vicina villa.
Eacro a una stalla celasi fra Buoi.
Qdando un lor: misero, in bocca a morte y
V £ncro abituro uman tua vita affidi?
Qui lacciatemi, a lui sogg;iugne il Cèrvo:
Quando il vorrà fortuna a' boschi io riédo .
La notte vien, e a* Buoi k fronde arreca
*Il bifolco, ne il Cervo ivi discopre . io
Vengono . gli altri tutti , e par di tanti
^Fra quali evvi il fattòr ) nessun V osserva .
Sicché a* Buoi , donde (ti sottratto a morte ,
A render grazie il Cervo s'accingea.
Bramiam bensì, che salvo al bosco rieda i^
Un dice i ma se vien quel eh* ha cent* occhi ,
Fia tua vita in periglio: il dice appena.
Che ritorna il Padron da cena > e visto
Poe* anzi i Buoi, negletti , a lor $* accosta :
£ perché^ dice, senza fronda, e senza t%
Toglier via queste ragnatelle ! In somma ,
N Mentre tutto ricerca , e tutto osserva ,
Scuopre a 1' ecce:lse corna il Cervo ascoso .
£i chiama la famiglia : il prende , e uccide, t^
^ La Favola tal sensa in se racchiude.
Vede acuto il Padrón ne le sue cose.
EPILOGO.
3» L'ingegno d'Esopo eresse Atene;
Un simulacro, e in base eterri^ un Setvo
?ose, perchè si veggia^ che Virtude ,
Non chiarezza di sangue onore arreca .
Quantunque ne la gloria e' mi preTenne»* f
Pur questo ottenni almen , ch*ei sol non fosse;
Ne a ciò lÌYor» emulazion mi spinse.
Che se il Lazio mie cure e approvi» e onori/
£i molti avrà da star co' Greci a fronte.
Sea condannarmi invidia imprenda; il merto io
ira se stessa a approvar sarà costretta .
Se poi tue orecchie il mio lavor diletti^
£ a rilevar pervenga l'opra mia>
Le querele a sbandir ciò fia bastante.
Se cada in man di quel, cui ria natura > 15
De' buoni a roder i* opre a vita trasse »
Costante il soiTrirò; finché conosca
Fortuna il suo delitto > e rossor n* abbia j
// 'Bm dtl libn SifQnÌ0,
A
D E L L E
FAVOLE
DI
F E D R O
i I^ B TERZO.
PROLOGO
AD E U T 1 C O.
3£ leggv brami > £utico > i libri miei > \
Ogni cura allontana > onde a la sciolta
Kleate de' versi la forza pervenga .
Ma il tuo ingegno non metta j a me rispondi 9
eh' un sol momento al mio dover si rubi . 5
Dunque fia me*, che ciò tua man non tocchi»
Che ad occupate orecchie mal s' adatta %
Ma tu fosse dirai : verran le Ferie ,
0?e a gli studj da gli affari io lieda.
LiB. \lt Pkolcco. 491
¥t», diUKjue allof cheta a mie baje attenda , i o
<2jiando te da gli affari a se richiami
£ moglie e casa, e amici; e il corpo stanco,
£ la mente da mille cure oppressa
Giusto sollieTo, e bricTe ozio richiegga^
Da cai più franco al primo oprar ritomi ^ 15
Altro impiego deh prendi, altri costumi.
Se de le Muse a'iiminari aspiri.
Io che pur Dacc[ui su V Aonio giogo ,
U*diè a la luce l'alma Dea Memnosine
Di nove figlie il nobii Cora a Gio.Yej^ xm
£ chiara lode ottenni da tai studj»
Ore i natali in certa guisa io xrassi»
10 cui brama d* aver unqua non prese ,
Ne la sacra famiglia a stento, e appena.
Mi veggio ammesso . £ che avverrà a colui , if
Che purché a Toro altro nuovo oro aggiunga.
Cui più del letterario acquisto, apprezza ,
Nulla cura il vegliar le notti intere?
Ma comunque sia questo, come a Priamo
Disse Srnon , condotto a lui davanti, go
11 tcx2o. Libro de le mie Novelle,
Ove Esopo a seguir indastre impresi ,
Al roerto ed onor tuo scrivo, e consagro.
Mei recherò y se il leggi, a gran ventura l
Se no, diletto i posteri n'avranno • ||
Or brievemente qual'origin trasse
I>a LiB, III. Proeooo;
La Favola dirò . Per iscoprire
Ciò che in palese un servo non aralo ,
( Sì di sua sorte il fan cauto i perigli }
I sensi sdoi In favole rivolse y 40
E ai livor con novelle si sottrasse .
II ^ varco aprimmi Esopo i io dietro a lui .
Più .di ciò ch'egli scrisse, inventar seppi',
Da cui la parte scegliere mi piacque.
Che sembrommi più acconcia a mia sventura . ^5
Se il testimon , l' accusator , il giudice
Non fosse un sol Sejano, io mi direi
Dal mal che soffro, giustamente oppresso »
Né di cotal conforco in cerca andrei .
Che se taluno il suo sospetto inganni, 50
£ a se ciò tragga, ove il comune io purgo.
Porrà lo stolto in chiaro i suoi riniorsi.
Ma costui pur vo'cbe mia scusa ascolti.
Nessun addito. Il pubblico costume
Io sol disvelo. È malagevoi Topras ^ 55
Ma se Anacarsi Scita, o il Frigio Esopo,
Eterna fama con Ì' ingegno loro
Acquistato; io che nacqui a' dotti Greci
Più vicin , lascerò che neghittoso
Sonno a* miei Traci lin giusto onor rapisca.? 60
Me il primo già sarò, cui vantin essi
Trasdotti spirti; ebbero un Lin d'Apollo»' *'
Ed Orfeo de le Muse illustri germi •
[Li& in. Fav. 1. m il i^ì
Costui le ^etre ai dolce canto trasse ,
Placò le fiere, e l'Ebro altier ratteacie . 6^
Dabque seo parca lafidia ; ella la yaa piagne .
Di chiara lode è degno il mio lavoro.
^ Alfio e' lio4odottoi a leggere . Un sincero
Dal cuo noto caodot giacucio attendo •
I A V O L A I.
V.
Ide una VeccliKi^ un orcioletto vuoto
Giacer negletto, iì| cui r'eran rimasi
D* un ottimo Falerno Tecchi avanzi .
, La cui fragranza d' ogni intorno sparsa ,
Con le narici quanto potè, attratta»
O che soave odor! gli dice: O quanto
Di buono sari statQ in te una volta»
Se tanto n'hanno i rimasugli ancora!
Ciò ch'io dir voglio» sa ehi mi conosce*
FAVOLA II.
1« f antèra 9 9 i TastoH,
Ooglion gli offesi il contraccambio rendere.
^/ loavvedtttameme una Pantera
dì Fidro le Vav. T. //. N
j^^ lm* ni fay. Ili:
sdrucciolò ne la fossa . De* vi llaai ,
Chi pietre coDtra , e chi legni le arveaca l
Altri però di Iw mossi a pietade, . j
• ( Poiché > se alcun non le portasse offesa»
Pur la trarrebbe sua sventura a morte) .
Le gittan pane ^ oivle alcun tempo yiva..^,
Notte si fa -, ciascun che si lusinga
Di morta ritrovarla il di reggente» !•
Ogni timor sbandito, a casa riede.
Ma la Pantera > poi cK ebbe col cib^
Ristorate le forze, un lieve salto
Da la fossa spiccando al suo coviljp
Veloce torna. Indi a non-mol^ giorni SS
Repente uscendo , uomini e gceggi aj^lc.i
£ ruine a 1* intorno , e morti arreca .
Allor quei che a la fiera dier perdono >
La vita in don le chieggono > ed ogni, altro
. Danno a patir son pronti . £ ben soviemn^i > ae
£ chi sassi a/ven^ommi > ella risponde >
£ chi pan mi gettò . Voi non temete ;
Di quei che m'oltraggiar' > nemica io tiedo^
FAVOLA III.
Eiopùy e il vUUnù.
L>«He più d'un indoyin i'intetuì^Uom prati»»
È proverbio; ij percbè fion T'J»a chi '1 dica;
/l». Ili Fat. IY. » 1^1
Lo ioségneri pria d'alni il mio racconto.
^ Fuvvi già tal , nel cui gregge gli agnelli
Kacijuer col capo titnaoo. A gl'indovini 5
Mesto ricorre per consiglio. Il capo
Del padron si minaccia» un di lor disse»
Se vittima il periglio non rimova:
Altri: il padre drudo» e moglie infida
Jigli vuoisi indicar . Ostia più pingue y io
Cotesco mal però fia che allonuoi .
in somma in varie opinion' divisi
Accrescon nuova pena a l' infelice ;
Esopo allor vecchio di acuto naso» x(
Cui vender foie non poceo natura (
Vuoi tu» dice» Viilan, ciò, che s'addita»
Da te far lungi; a' tuoi pastor* dà moglie. .
TAVOLA IV.
Jl Cèfo ihlU ScimmU .
L Ra r altre merci ad un macello appese
Esposta vide un uomo anche una Scimmia»
E del sapor ne chiese . Il Macellajo :
Qual e il capo» cai è il sapore ancora.
^ Arguto egli è anzi che vero il motto: .f
ispesso yirtude in tozzo corpo albergo, .
£ a' sei costami dà beltà ricetto .
N a
u
i^i Lu. ni. Fav. V. » VI
FAVOLA V.
• Esifp t un VHulimH •
L Austo tvento a perir molti ne addusse ;
^ Folle Garzon un sasso a Esopo aip/enta %
Cui egli ; O che bel colpo ! £ a lui dà un soldo:
Per Dio, dicendo, altro non iio: pur eccoti
Come n'ottenga. Tal possente» e ricco f
Ne vien incontro» in cui sé accerti il colpo»
Premio ne avrai . Sei crede» e scaglia il sasso t
Ma s'ingannò, poiché del premio ia vece.
Sa una forca pagonne \\ giusto fio.
FAVOLA VI.
Na vii Mosca sul timone assisa
A la Mula: Sei pur, dice, tu pigra*
Vuoi che. il collo col mio stilo ti pung^ ?
£ perché n«n afiretti il tardo passo?
Cui l'altra: tue parole lo nulla apprezzo:
Bensì temo colui» che in scanno assiso,
I«e briglie tiene e con maestra sferza
A suo talento ogni mio passo re^e.
Vanne» e tue fòlli ciance altrore arreca:
Il» III. Fat. va 1,7
Xo SO quando posarmi , o correr deggta . io
^ Così ridir tu puoi di quei , che priri .
.D'ugual Taloci spargoQ minacce al veoto.
FAVOLA VII.
21 Cane , § il Lmp0 »
Lilberti, quanto i etra» in bricTc espongo.
^ Un Lapo, cut consunto ba lunga Urne,
Un ben pasciuto Cane a sorte incontra ••
Fermi si salutaro. Primo il Lupo:
Onde tal liscio, onde si lauto cibo, f
11 ventre ti distese ? Io pili robusto
Di te, a perir son da ria fame astretto.
Sen^plicemente il Can: Fia ugual tua sorte »
Se ugual servizio il mio padron n* ottenga .
£ qual } Custode il di sia de la soglia io
Da i ladri la magion «lardi la notte.
Io son pronto; ne' boschi, e pioggia, e neri
Soffrir m'c forza, e dura vita io meno,
Qiianto più agevol fora sotto il tetto
Viver agiato, e. largamente pascermi? ly
Vien dunque meco. Nel cammins* accorge,
Che roso il Can da la catena ha il collo.
Onde é ciò, amico? Nulla. Amo saperlo.
Poiché sembro feroce, il di mi legano»
N 3
^^% Lii. iir; Tav. ym.
Perchè allor dorma* « desto sm là notte; 2<
Sciolto su r imbrunir , to dorè ▼bgltò:
JBenché noi ^hiegga, mi si porta il pane;
Da la mensa il padron Tossa mi porge;
la famiglia gli avanzi ; t se a taluno
Vico qualche cibo a nojaY a me si getta: 2
Cosi senza fatica empiomi lì ventre.
Ma se d'alcrove andar mi vien talento.
Posso!' io far ? O (juesto'^àoy e m goditi ,
Cane , le lae "venture : io non le caro .
Kegnar non yo" , se libertcdé io perdo. ' $c
FAVOLA Vlir.
il Tfétillot 9 U SerelU.
-'Pesso a mirarti il mio racconto insegbà.
* Un padre <f un bellissimo fancìulio.
Una deforme , e sconcia figlia area.
Mentre ( qua! di sua eti costume il porta )
PrendeTan gmoeo , a caso sa io scanno
Veggion lo specchio de la madre, e in esso
S" affaccian . Sae bellezze il tubini Tanta .
£lia noi sof&e , e a grave oltraggio il reca .
Corre al padre, e 1' accusa che maneggi
( Benché nato domo ) i fenìminill arredi.
Il buon padre li bacìe, e uguale amore
Li»; ni. Jay. ^X. i X. x>.
Ver entrambi ' mostrando , al sen gli scria gè <
Anzi vo*, dice, ch'ogni di lo specchio
Consultiate ; onde , ò figlio > tua ayyeneoza
Non macchia re*i costumi} e tu il tuo volto 15
Yioca eoa virtà belle > ed atti onesti.
R
FAVOLA IX.
SccfMte sgli Amici .
Ara d la fé , comuo d' amico è il nome «
^ Piccioia casa fabbricossi Socrate.
( La cui morte > se ugual fama m* arreca ,
Soffrir nòa m'è discaro, e se m'assòlve
Morto, livor a suo piacer mi roda. }
Come costume il vuol , talun del volgo
Perchè casa si piccioia s* avesse
fabbricato richiede. Oh la potessi
^.icmpicr di veri amici/ egli rispose,
F A V O L A X.
Il Pùgta sofrm il Credi)r9 , g non .Cndérè .
I
L credete egualmente è periglioso ,
Che il 000 creder : gii esempli in breve i] mostrano,
N 4
^c« LzB, III. Fay, JC
A la madrigna perchè fc si diede»
Ippolito mori» perchè a Cassandra
Non si die» n' eòbc Troja eccidio estremo.* (
Dunque pr/a ch'ai giudicio alcun e* arrenda >
Un foiJrcico esame il tutto indaghi ,
Anzi che la sentenza s* arFenturi.
Ma perchè non si dica, che con vecely
Esempi faTolosi il persuada > io
Ciò narrerò, eh' a mia memoria a^renne.
'^ Tenero amor in ver la moglie > e il figlio >
Coi preparata avea la para toga .
Portava un nomo; allor che da on liberto i
Coi de r eredità speme lusinga » if
Tratto e in disparte , e son da lai del figlio ,
Dal mentitor finti delitti esposti.
Pid prm de la moglie, e sovra ogai altro.
Ciò ch'altamente sa che il cuor gli pugne ,
eh' a un dxodo in braccio Tinfedel si dona , io
Di casa onde 1* onor deturpa » e sfregia •
Da cocai detti acceso , irsene in Villa
Fnng^c ; m^ in città limaso occolco
^ oocce a casa d impcoTTÌso riedc ,
^»a dirctcaoiente ore la moglie ij
^^^. cà-ii figlio mol ch'ivi put dorma,
'^'^tcif';* ^Juica età castode ìndustre,
^^ «w*,^'^.** ^'^-'t*/ e de- famigli
"** ^^«* * '^iù ia li , ci che non potè
LiB. III. Fav. X ^Ox
XattcDcr il furor > ch'il cuor gl'ingombra» 50
S'accosta al letto, ed a tentone cerca >
S* alcun vi dorme: alici eh* a certi crini
S'accorge, che y'è un uom , nulla avvertendo >
Purché il dolot de V onta , e l' ira sfoghi >
Tutto al figlio nel petto il ferro immerge . 5 5
Portano intanto il lumei il figlio vede,
£ la casta consorte ancor nel primo
Sonno involta, onde nulla udito avea .
Del suo delitto nel pensier raggira 40
La giusta pena, e il ferro, di che armoUo
Stolta credulitade, in se rivolge.
Accusata la moglie , a Roma è tratta
Al tribunal de i cento. Sua innocenza
Sembra oscurar l'eredità ch'ottenne.
Ma chi quella difende, non consente 45
Che per sospizion si tragga a morte. • '
Ne r ardua quistion sospesi i Giudici ,
Pregano Augusto eh' ei , disciolto il nodo >
Porti g la JFe del giuramento aita .
Le tenebre eh' avea calunnia avvolte jo
Sjjombrate , e il ver ne la sua fonte appreso:
Paghi ( dice ) il Liberto , che n' e autore , .
La pena. L'empio e sposo e figlio uccise.
Merta pietà' la Donna , e non gastigo .
Che se i neri delitti avesse il vècchio 55
Sollecito ricerco, e Ja meniogna
iot LiB. III. Fat. XI.
Supposta a duro esam«; da ne morti
Non fora or sua famiglia in tutto estinta.
^ Tutto ascolti ; ma tardi ad altrui creda •
Forse reo sarà tal , che ta noi pensi ; Co
£ orditi sono a un innocente incanni i
Ciò pure ai meno accorti avverei^ pote>
Che non l'altrui opinion li guidi t
Ambizioa troppo a sue voglie inchina. ,
Odio la porti» o amor^ a quel tu credi» 4^
Che conos^ca tu stesso . Poiché offese
Alcun mia brevità» lungo è il racconto»
F A V p L A XI.'
VEunùeo ad un malvagio .
D
I due» ch'eran venuti a lite insieme»
Era 1* uno malvagio , e V altro Eunuco ,
Colui fra i motti acerbi e f;a le Ingiurie» \
In ciò , di eh' era privo , il pun^e e morde .
£ però le fatiche io mal non soffro» 5
Rispose quegli; ma tu, stolto» il danno 9^ .
D'avversa sorte accusi. È vergognóso
Alfin ciò a Tuom > eh* il suo fallir gli addhoe.
M
LiJ. m. fxr. X». » XIII. les
FAVOLA XII.
£ntre fra l' Immondezze tsa ricerca 9
Trovò una giòjt nn pollo : ed ho in ^ual ìuog»
Neglètta è, disse, si prcgeyol cosa?
Se trovato ti avesse un the ti apprezza»
Già 1' antico splendor f oh qaal ! ) ne avresti.
A me che noit le giojc, il cibo esthno»
A che vai, che ti sia tu (Jui scoperta ?
Kè a me puoi , nìl a te giovar poss* io .
^ A colui si dirige il mio racconto
Che non apprende de' miei detti il senso ;
FAVOLA XIII.
té jffif 9 f fuchi mt trìhuMU dtlU Vispa.
D
Entro un' ^népsa quercia averan V Api
Fatti i h>r fatì, e questi i neghittosi
Fuchi se gir arrogaro . Fu la lite
Portata al cribuoai. Giudice siede
La Vespa, che ben sa l'indo! d'entrambi;
Onde essa legge a* litiganti impone.
Somigliante è il colore, uguale éil còrpdi
i
104 tii. IH. Fay. XIV.
Sicché da lor l' Autore io noa disceno ;
Perché dunque la fé giurata io serbi»
Tal to' la prova: altro alvear $ì prenda^ io
£ nuoTo mei s' infonda^* entro a le cere.
Tal sapor> da la forma > che cornigli
Quel che recaste > fia 1* autor palese .
Spiace a' Fuchi la legge > accetta é a 1' Api .
Pronunzia tal sentenza allor la Vespa: if
Chi far non possa il mele» e chi lo fece,
jl in chiaro. A l'Api il frutto lor si renda.
^ Di buon grado il racconto omesso a? rei j
Se a?esser la promessa attesa i Fuchi .
FAVOLA XIV.
ts»f^ che giucca.
f Isto» che in mezzo de' fanciulli Esopa
A le noci giuocava, un Ateniese
Fermossi , e 1* ebbe come sciocco a scherno ^
Se n'avvide il buon vecchio» c^ potea
Anzi che esser deriso» altri deridete: ^
£ un arco teso in mezzo a la via posto»
Che cosa disse ho fatto , o ser saputo ?
Il Popolo s'a£R>lia. Il derisore
Pensa , e ripensa in van , e< in van s' affanna •
Tal che confessa al fin » che noi coinprende . io
Li». III. Fay. XV. 10 f
£$0^ Tiacitor: Se l'arco teso.
Terrai sempre, sarà bea tosto Infranto;
^a se il rallenti, fia che forza acquisti;
^ G>sl la stanca niente abbia ristoro.
Onde à'grarl pensier' più sciolta rieda.
FAVOLA XV.
Il Cémé sir AgmlU «
rx Un Agnei che belava infra le capre
Ore , gli dice il Can , folle t* aggiri ?
Qui' non c'^ la tua madre: indi io remota
Parte le pecore gii dimostra.
Non quella, che a talento concepisce» %
£ un tempo fisso porta ignoto peso,
Poscia cader dal ventre il lascia, io cerco.
Io colei cerco, che sue poppe appresta.
£ a* figli toglie, sicché io n'abbia, il iatre.
Pur chi ti partorì più prezzar dei. io
A partito t'mganni. £ come seppe,
Se nascer bianco, o pur nero io doyessi?
Ma via, te|>uto i' abbia $ fu gran dono»
Volermi maschio, perelié tal nascessi,
eh* ognor del macellajo il colpo attenda . 7 ^
Come yuoi eh' anzi quella apprezzi , ed ami ,
Cui nulla scelta in generar si lascia.
xQé LijB. IIL Fav. XVI. C^
Che l'altra , che ve^ mf giacente» t iaCérao/
Cortese ( a pietà mossa } si dimostra ì
Non da oecessicade di natura 9 ^o
Ma da boutade i Geaicor' ravviso •
^ Che Tiipm riman da benefizj avvinto»
Non da le leggi, il mio racconto addita»
FAVOLA XVI.
Ld CicdUt ^ y^ civetta,
^-^Ovente avvìen, fh« lo (cortese il fio.
Che sua alterezza ineritogli incontri •
^ Con dispettoso canto a una Civetta»
Che sol de notte va di cibo in cerca,
£ in qualche cavo ^onco dorme il giorao, f
Toglieva il sonno ^in'incivU Cicala.
5e pregata è a tacer , ella pid stride ;
Dan nuove preci nuova leda al canto;
Sicché non v'esser scampo» e sue parole
Dispregiarsi» veggendo la Civetta» • io
, A la frode rivolta si le parla .
Giacché il tuo dolce armonioso canto.
Tal che di Febo udirmi sembra il pletcroj
^ Dormir mi vieta , il nettare vo' bere ,
Che testé diemmi Pailla. Se t' è a grado, i{
Vieni che il beyeremo. La Cicala,
I.I1. III. Fav, XVII. %aj
eh' atdea di sete » appena udlo lo lodi
Di sue voci ) che ratta a lei sen toU •
Tosto fuor de la una 1* àiu< cucita >
La trepida Cicala insiegae> e uccide»
Che morta quello die , che negò vira .
FAVOLA XVIL
(ali Alberi in tunU d$gli Dèi.
Vallando da' Numi gli Alberi In tutela
Fur presi, l'aita Quercia a Giove, il Min*
A Venere, l'Alloro a- f elio piacque.
Gradi Cibelp il Pino, Eccole II Pioppo.
Stupì Minerva, che iqfecQpde piante
A lor piacesser i . e il perché 9« ckiest .
Si parlò Giove: perché alcun non creda 5
Che l'oiìsequio cpl lor frutto si compre;
Ma Minerva a ognun dica ciò ch'ha in gf^do ;
Ch'io per le frutta sue 1' Ulive eleggo. io
Il gran Padre a lei voltp; é giusto , o figlia»
Di saggia il nonìe j pnde ciascun t' onora .
Che se ciò che facciamo , util non have ,
L' ouor che ne ridonda , e folle onore.
* Qualunque cosa di vantaggio priva 15
'Vuol la novella mia che non s* imprenda.
teS lu. IIL Fat. ZVUL
FAVOLA XVIII.
i/ r0w»i « Gìmtmt,
M
Al soffrendo il Payoo cbe t se negato »
Concesso fosse a i* Usignuolo il canto >
Con Giunon si lagnò , che dove ammira
Di quel la toce ognun % ei fuori appena
La manda, che dispregio, e hetk incoatra.
La Dea il consola: ed in grandezza il riiici,
Ed in beltade. Il colio pur t'adorna
Vivo smeraldo > e a te l'occhiata coda
( Si ratio n' é il color ; piA gemme intessono.
Muta avvenenza ma guai prò mi reca, jo
Se nel casto ei m'avanzai A sao talento
Divise i pregi il fato: a 1* Usignuolo
li canto, a te beltà» la forza a 1* Aquila.
Se a destra è il Corvo > e la Cornacchia a manca i ) )
Predicon l'avvenir; e ognun n'é pago.
^ Ciò elie^ vien negato, noi ricerca,
Ne sarai poscia k qucrelani utretto.
N
Lij. ni. Fat. XIX. 1 XpC. i^f
f A V O L A' XIX.
^ Ms»po sd un CÌ4rlùn9 (
lon altro servo area il padroa d' Esopo ^
Cui s'impone, che pria del consueto
La cena appresti: per alcune case
Ricerca Esopo il fuoco > al quale accenda
La lucerna , e a la fine lo ritrova:
£ accorciando la strada» per la piazza ^
Tosto a casa ritorna . Un Saccentino
Il vede, e perché^ dice > ora col lume.
Che il pianeta maggiore è nel meriggio ?
Un Ùom cerco , ci risponde» e in fretta parte, io
* Se il motto a rilevar l'altro pervenne.
Vide eh* un Uom non riputollo Esopo ,
Poiché in altro occupato» fuor di tempo»
Con ba}e intrattener pure il volea.
FAVOLA XX.
L* Asino 9 $ GmIU SMCirdoti di Cibihl
^Hi nasce sventurato » non sol vivo
Lo insiegue rio destin» ma 'morto ancora
Lo preme » e incaica. ^ I Galli di Cibele,
Un Asinel di lor bagaglio carco ^
èli Fedro liTMV,T,Jl ^ i
ilio Lit« IIL Fav. SX,
Seco lo cerca condarre tvean costume 2
Da fatiche e percosse ucciso, timpani
Dei cuojo scorticato ne formaro.
Da un lor diletto la cagion richiesta:
Lusingaya costui ( disser ) sua speme*^
Che morto fora da percosse immune:
Far d lui norto altre sofixirne é forza ;
Il Ihi d$l T$txi tihn
ir A
ifi
DELLE
FAVOLE
D I
F ED R O
LIBRO (Jl/^RIO*
FAVOLA I.
La Donnola i e i Tofi,
Juietc fotse ti sembri , e folle cura ;
Se allor ebe son da graYi studj scarco ,
)Scrivendo io schenEij ma tu queste baje
Penetri: oh <[uanto d'util v*è racchiuso i
Non sempre son quai pajono le cose ,
i £ più d*uao deluse il primo aspetto:
( Sicché rado addiivien, che quando avvolse
Ne le tenebre T arte, tu Io scopra;
£ eh' io nói fiiga , mostrerà il racconto
IH' topi e de U Donn^Ja. Da gli anni
9 i
i4
1
tu Lu. IV. Fav. h ^ ^l.
Resa ioetta una Donnola à raggiugaere
Gli snelli Topi> entro a farina inroica
Per cotal guisa in luogo oscuro giacque.
Che parea morta. Uà Topo esca la crede»
E se le avventa: essa lo azzanna» e uccide;
Cosi al secondo , ai terzo » e ad altri accade . 15
Al fin ne vìen un che forbito > e lacci ,
'£ trappole più volte area scampato.
Scopri lunge l'inganno» e fossi» dice»
Tu che giacente entro farina io scorgo»
Salva cosi come farina sei .
F A Y O L A II.
La V0lp$^ 4 V Uvm .
D
A fame spinta d'alta rite a TUrt.
Quanto mai potè lanciasi una volpe;
Ma coma vide ir ogni sforzo a voto»
Parti » dicendo » io non la curo : i acerba •
^ La favola è per tal» che con parole»
Ciò ch'ottener non può» bìasroa e dispregia»
. Li». W. Fav. III. X IV. ifj
FAVOLA IH.
Il CavmUo 9 é H CignéU .
Ln quel guado in cui ber solea un Cavallo ,
Mentre il Cignal s' avvolge > il turba e mes^e.
{^uiodl vieo lite : i( Destrier d'ira acceso ,
A FUom ricorre > e lui del suo soccorso
-Chiesto , sul dorso il toglie > eal Cignal riede> 5
Cui trafigge con dardi il Cavaliere .
Indi al Destrier rivolto .- aita indarno
Non ti donai, gli dice, e preda io n*ebbl^
*£ appresi quanto tu giovar mi possa;
£ suo ipalgrado it freno vuol , eh' ei soffra . io
3;li altor mestoj o qual pazzia rei prese!
i fei per leggier onta ad altrui serVo.
^ Impari quinci 1* iracondo i torti
Anzi a soffrir, che darsi ad altri in mano;
FAVOLAI
Il Vmst.
LiHe sovente in uu sol più senno afbergbi , ^"
Che in motti insieme , il mio racconto insegna *^ ^i
* Mori tal, che di se lasciò tre figlie* ,
tra un» bella, e con gli sguardi aVvoz^a i
o 3 ■ ^
ii4 Ub. IV. Fav. IV.
A trar gli uomini in rete e la secondi
Sol' era a* campi » e a filar lane intenta :
Bruttissima la terza > e bevltrice .
£rede fa la madre i ma con patto
eh' il retaggio ugualmente a lor di\rida ^"^
Sì però> che di quel d*onde fien ricche» jo
Nulla resti in possesso , o In balla loro .
Al lor poscia eh' il tutto avran consunto ,
Cento sesterzj paghino a la madre .
. Già ne va piena Atene; in van la donna
Più Giuristi ricerca; eh' a le figlie j;
Come possesso non provenga^ o frutto
Da tal' Eredità, non v'ha chi incenda;
Né come il prezzo sborsino , st nulla
Lor rimane. Assslì tempo era già speso
Jn fallaci ricerche: a sue ragioni io
Cede la madre » e carne sa , del vecclito
La mente adempie: femminili arredi
A la galante, e yesti, e lavato] o
D' argento > Eunuchi , e giovanetti imberbi :
A r altra campi » ville , armenti , e buoi , i^
E giumenti , ed aratri , ed opera]:
Cantina e botti di vin vecchio piene
A la terza destina, con polita
È ben acconcia casa, ed orti ameni.
£ suo pensier già ad eseguir s'accinge, 30
£d il popol le applaude I che il desio
Li», IV. Fav. ly. II y
Sa de le figlie . Allor repente Esopo
Ne la folla s' intrude , e oh quanto gtaTe
Sarebbe , dice , s* or rivesse , al padre
Scorgere, che di tutti gli Ateniesi $^
Non raglia alcun a interpretar sua mente!
Onde pregato, si l'arcano scioglie:
La casa, gli ornamenti > gii orticelli
Deliziosi , e il vin serbato ottenga
Colei, che solo campi, e lane apprezza • 40
Abiti, perle, servidori, eccetera y
Date a la bevitrice: abbia la bella
Gli armenti, e lor custodi, e campi, e TÌlIe.
Nessuna fia di lor , che patir possa
Cose al suo genio avverse, e quel eh* ottenne 45
La bevitrice, d* onde rin provveda j
Per abbigliarsi vendura l' altra i campi .
Quella cui piaccion solo e campi e lane ,
Dissiperà la casa , e gli orti ameni .
Si fia che il lor retaggio a lor non giove r 70
£ da ciò che venderò, avrà la madre
Il denar , che lasciolle il vecchio astuto .
^ £d ecco ciò, che pria fu a molti ascoso.
Per accortezza d'un sol uom, palese.
O 4
2lil LlB, IV. Fat. y. JE VI.
FAVOLA V.
21 comhsnimgntù di* Topi , e delle Vùnnoh ;
[jLLlor che. vinti i Topi da 1* esercito
De le Donnole ( e ben nota è la storia »
Né T*è taverna in cui non sia dipinta )
fuggivano > ed intorno a le lor tane
Pavidi a grande stento s' af&Uavaao ; ^
Ma pur v* entraro ed iscampar la mor^e ;
I Duci» che per dar un manifesto
Segno, ciii seguan gli altri ne la pugna >
Avean le coma al capo intorno avvinte »
S' impacciar' ne le porte, ove in minati io
Brani > tritati da' nemici ingordi»
Kestan ne'cavi ventri innabissati .
^ Sono i primati a gran periglio esposti:
la vii plebe ritrova agevol scampo*
FAVOLA VI.
Xu che nasuto i miei scritti censuri,.
Né lor d' un guardo ( é tal tuo sdegno } oaorii
SqS:ì ^ Smdai de || tua wtera fronte
Lu. IV, Fat,. Yl^ 117
le rughe appiaoI)\e a me migliot ti renda;
Con noyelli coturni eccoti Esopo . f
^ Deh non avesse mai Tessala scure
Stesi nel Pelio gic^o a terra i pini:
Deh non avesse f^ricato an^uanco
Col consiglio di Palla Argo la nave»
Ch* a Barbari in lor danno , e a Greci aprio io
Del mar 1* ignoto sen: indi la morte
Ampia vide a sue prede aprirsi strada.
Qpinci ne piagne del superbo Aeta
La casa, e di Medea per l'empio ardire
Soffrir* di Pelia i regni eccidio estremo. 15
£ssa in pid modi barbar! ingegnosa»
Co* sparsi brani dei fratello , e il varco
A la fuga trovò; qui nel paterno
Sangue lordp le figlie . Che ti sembra >
Lettor , di tal priocipio ? Ed è scipito > ao
Mi rispondi) ed è falso: ognun pur sa.
Che molto innanzi con possente armata
Signor' del vasto Egeo si fé' Minosse,
' £ un giusto freno a la baldanza impose.'
Come fia dunque , o leggitor Catone , 2 ^
eh' unqua a te piaccia > se diletto alcubo
Non può recarti, o faroletta, o favola?
Non pugner le belle arti, se ri è caro
Da le punture loro andarne esente.
Il diiv a tal (se ipiz yi éalciu si stolto) 30
tri Li>. IV. fat. vii t vm.
che tatto ha a schifo, e per paier saccente,
Scioglie centro del eie! l' audace lingua ,
FAVOLA VII.
la Viferé e U Lime .
^Hi un più mordace a lacerar s' accinge >
In ^questa favoliiccia si ravvisi^
* Ne la bottega d* un ferrajo giunse .
Una Vipera, ed esca ivi cercando,
Una lima alFerrò , che contumace :
Pensi , a Iti disse ; o stoica , farmi offesa $
Che rodere ogni ferro ho per costume ì
Q
FAVOLA- VIII.
la Volpe e il Becco •
Uando un astuto a grave rischio è tratto >
Cerca con T altrui danno averne scampo ».
^ Inavvedutamente era caduta
In un pozzo la Volpe , a cui 1' uscita >
Il margo un cotal poco alto, divieta^^
Quando un Becco assentato colà giunto^
Ss dolce, e molta sia T acqua, le chiede.
La Volpe a frode ifitesaVa^^^o > sctnd{.
Lii. IV. Fav. IX. E X. ii>
A lui risponde) è dolce essa cotanto» io
Che saziar non puossi il piacer mip .
Scende il barbuto: alloc la Volpicella
S'appoggia a Talee corna > e un lieve salto
Spicca dal pozzo , e nel pantano il lascia .
FAVOLA IX.
De' vizj degli uomini , *
D
UE tasche ci die Giove: una de' nostri
Vizj ripiena al dorso appesa; 1* altra
De r altrui colpe grave al collo impose .
^ Ecco perche gli errori tui non vedi:
Altri fallisce appena» e ru '1 riprendi.
u
FAVOLA X,
7/ Ladro che spogliti V Altare .
N Ladro al fuoco de 1* Aitar di Giove
Il lume accese , onde spogliarlo ardio >
Ed iva già del' sacro fucto onusto ;
Quando del nume coiai voci uscirò;
Benché don di ria gente é ciò che inyoliy f
Sicché rodio, e '1 tuo furto a me non cale»
Tu però » scellerato , con la vita >
<
aio LiB. IV. Fa». X e XI,
AUor che giunga il destiQato giorno ,
Vo* che ne paghi il fio . Ma perché il fuoco ,
Per cui Religione i Numi adota » io
A fayoz non risplenda de'malragi;
eh* altro indi s* accenda , io fo divieto •
Così non piil si accende il sagro fuoco
A la lucerna , o questa a lui si alluma •
^ Quanto d'util racchiuda la novella» 15
Il potrà solo disvelar 1* Autore ,
Ella dunque ne avverte , che non rado
Nutre fiero nemico nostra mensa.
Che non per ira il ciel punisce i rei»
Ma spesso tarda la vendetta il fatto
Con gli empj ì alfin «gni .adoprac condanna ^
FAVOLA XL
IreoU s GÌ9V9 .
J^Iusto k V odia|.che ha il forte a le riccbeztc^
Che ricico erario a vera> lòde è avverso .
^ Accolto in ciel per sua vlctude Alcide^
Mentre tutti gli Dei seco s* allegrano ,
£ lor s* inchina i al venir Pluto il figlio
De la fortuna , altrove gli occhj volge »
£ tal cagione ai Fadre^ che il richiede >,
In. IV. Fày. XIL Iti
N' adduce s Odio colui che a' cristi è amico >
£ con r oftrte ogni ragion corrompe.
Q
F A V O L A XIL
// Le§ne rtgnante .
Uanto d' atll cotiiprende uo retto avviso !
? approva il detto ; pur veggiam non rado ,
Che sincero parlar ruina apporta.
^ Re de le fiere fattosi il Leone»
Per conseguir di giusto Prence il nome » *
Oltre al natio costume , dì non molto
Cibo ò contento» e ad esse in mezzo» esatea
Incorrotta giustizia a t^tte rende.
I
ié0»f$ il rìmaneuUj intùtno t ch$ vidi di
chi in fine ti nots.
Tu LiB. IV..FAV,. XIll. « XIV.
I
FAVOLA XIIL
. if # 4 >f jf jf
Fochi versi Ai questa farola non si tra juco^
Bo, perché di essi non s'è potato ricavare
trn senso perfetto per altro, qualunque. có-
la ne dicano alcuni in contrario , io li re-
puto avanci d*una Favola conne^a con la
seguente : oc xnf titano èssi, di esser trs^
' flotti.
d
FAVOLA XIV.
Nde fia» eh* a mollezza alcuno inclini >
Chiesta da un altro il Vecchio, co%i parla;
^ Prometeo quel, di cui testé parlai:
£ che il loxa impastò, d'onde l*uom costa,
Che se in fortuna avviensi , immantinente 5
ilompesi; speso un giorno intero avea,
A disgiunto formar ciò eh' ooeScade
Con .vesti ricoprire a -tioi prescrive ,
f er adattarlo , ove bisogno il chiede ,
Allorché Bacco di lepeote a etsdì
tiis. IV. Pav. 3CV. «1$
L'inTitòy cosi il neturo gli piacene,
Che io pie non ben reggendosi, à gran notte
A casa giunse : ed ei , che vuol pur compiere
L* intrapreso lavoro s e sonno , è vino
Sì l'ingombra, che i menj>ri don discerné f l{
£ ^Qcl de Tuoo applica all' altro > e quinci
Un rio giacer la votatti ne prova*
FAVOLA XV.
Li CMpre t i Becchi,
b Arean sdegnarsi i Becchi > allorché Ciovtf
fé' de la iKitba a le Caprette il dono:
Qiiasi le mogli a lor' volesse uguali*
Cui. Giove: deh lasciate, che cotesta
Godan ombra di gloria, e gli ornamenti $ )
Quando il vigor lor manca , abbian comuni •
^ A non curar la novelluzza insegna
Se akan» che di valor lasciamo addietro^
lUsHmbri ugual ne 1* apparenze a noi.
»i4 ;iis. IV. lAT. XVI. B XVII.
Q.
FAVOLA XVI.
2l Pihto e i Nétviiémti.
Querelandosi aa uom di sua sreatiira »
Per consolarlo , Esopo a dir imprese ,
^ Na?e agitata da contrarj venti
De* passeggler* fra i gemiti» e le angosciei
Da Iie?e aura sottratu e dal periglio | . y
Indi i nocchier* da gioja cai sono presi ,
Qiial subito sere» l'arreca al giorno»
Di fosco, e mesto y allorché il cangia in liceo.
Reso il Piloto dai periglio accorto:
Né a duol, dice» si dee > ne ad allegrena
Darsi in preda » la riu è or lieta » or mcfOt . I9
FAVOLA XVII.
I Gli Mmbsuistcri dg'Cémi m Okvi.
M
Andaro Ambasciatori i Cani a OioTe
Ad implorar mercè; poiché lot grare
Servita s'imponeva» ed a gli nmaol
Strazj soggetta. Il pan» eh* a lor si porge»
Di crusca è asperso, e riofofiibil fame 5
Lia. IV. Fav. XVn. _ 11 1
A speg&et con le feci son costretti.
Van lentamente'» in ogni mondezzajo
L*esca fiatando, né di Giove al trono
CHiamati , dan risposta. Ai Ho Mercutio
Con fatica li trova, e a lui li tragge. io
Ma fiffar'nel gran Padre i guardi appena»
Tal timor H sorprese, che la reggia
Tutta lordar* di stomacose feci .
A colpi' di baston cacciati fuota,
eh' a* suoi riedano y Giove noi consente , i 5
Stupiti gli altri di cotal tardanza.
Di alcun delitto lor preso sospetto ,
Novelli ambasciatori destinaro .
La fama intanto il lòc fallir palesa;
Sicché temendo, che an* ugual sciagura ao
Non .accada a' secondi j ad essi il podice
Di replicato e folto odor empirò.
Vanna y udiens^ chieggono, 1* impetrano.
Siede il gran Padre , e la folgore «cuote.
Trema ogni lato: intimoriti 1 Cani, ty
Poiché giugne il rumor loro improvviso,
£ feci , e odore insiem mandan dal ventre •
Grida ognun, che si dee punir tal' onta:
Ma pria che Giove a lor gastigo imponga;
Non dee, soggingne, ratteoere il Prence 50
Gli Ambasciatori, e agevol fia; trovarsi
Pari a 1' onta la pena ; e sarà questa .
di itdro U Tsv. T^m9 U. P
a 1 5 LiB, IT. lAT. XVIII. 1 3CIX.
Tardi n* andrete > e to' che fame insegoWì
Por freno 9,1 mentre, A qae'poi che ioviaxd
61 goffi Ambasciator* ) soffrir fia fotta jf
De i'uom le ingiurie. A la ptigion som ttatti.
Ne si riiascian tosto . Ecco lì perchè .
I Cao', che i primi An;ibaacÌJ^^ori> e gli akri
Aspettano > se in «ane ignoto abbattoosi >
Lo fiutan dove avean l'odor tiposto,
FAVOLA XVIH.
VVomo il Serpe.
JL Ardi si peate chi ^ceoxre i tristi;
^ Dal freddo un serpe intirizzito > prèso
Fu da tal» che crudel lo Ter se stesso»
Scaldollo in seno.* si tiebbe appena.
Che r uccise t il perchè chiesto: a*malTagi 5
Perchè, disse > non sia chi a gioTar prenda.
FAVOLA XIX.
Lm Velpe e il Drago ^
WL Erra scaTava per formar sua tana
La Volpe > e fatte alquante buche area;
Allor che giunse. oYe tesori un Drago
i : Lii. IV. Ur. XIX, 117
Appiattati guatdara. Il vide appena.
Che, di gcazia >.gli dice, se cotanto T
Incauta m'inoltrai , tu nifi «condona;
Indi , chiaro {poiché lu scorgi , o Drago ,
Naila confarsi 1* oro al viver mio ,
Dimmi.comse» ^[ipale p premip, o fruttp.
Ciò ti reca, sicché lu sempre vegli je
In tenebre i Nessaao , egli rispondi i
Ma Giove me^ l'impose. Adunque nulU
Ne prendi, o doni? È tale il mio destino.
Se audace parlo > mei «opdfpa : irato
Cielo chi^ft te è simile, a vita trasse.
^ Tu dunque, che n'andrai ove andar' pria
{guanti fur di te ianansis a iche t^afTanii.
Sordido , cieco , ed infelice avaro ?
Gaudio d* etede, a cùijl supn di cetra,
£ di flauto, tristezza, e angoscia arreca, ao
Che ti privi di cibo» i Dei d* inc^enso ,
Cui de* viveri il prezzo elice il pianto ;
£ purché a l' arca un qualche ^do aggiungali)
Con sordidi spergmri il cielo sunchi : ly
£ purché Libicina non acquisti
Tutta la spesa ai funeral recidi.
P a
ttS LiB. IV. Faw. XX. E XXI.
F A V O L A XX.
Fedro,
\JVci che ii?ot fra ie raggira appresi 9
£ se occultar Io brama > io^ran s'adopra ,
Ciò ne* miei libri > che di fama é degno ,
E^ d'Esopo. Se cosa egli abbia a vile»
Vorrà che ad ogoi patto a me s^ ascriva . f
Ma in tal guisa m* appongo: o fia diblasmo:
O par di lode degno il mio lavoro i
Esopo mi fa dace> il resto è mio.
Ma si prosegua ciò che a dire impresi.
FAVOLA XXI.
Il Hskfrsgh di Simonids ^
D
Ovunque va, seco ha dovizie il Dotto, '
^ Simonide d' illustri carmi autore.
Per men sentir di povertade il peso»
Per le chiare città de 1' Asia in giro
Cominciò a gir » u* stabilito il prezzo^ 5
Le lodi in verso a' vincitor' tessea .
Fatto ricco in tal guisa, al patrio suolo
(Che in Geo nascesse il vuoi comua sentenza)
.. . LiB. IV. Fjiv. XXI. , li,
S* accinge a far ritorno , e al mar s* affida .
Tal legtio ascende,. cui sdruscico» fea io
Tempesta in mezzo a 1* onde , e fiede , ed apre .
Chi ciò eh* have di pretto , e chi il danajo
De la vita sostegno » al seno strigne .
Un saccente: Simonide > deh nulla
Di tue ricchezze prend> ? Q tatto ho meco . x 5
Rari scampan. nuotando* i i ^và sommerge
Il grave peso, e ciò che por rimane»
Tolto lor da*,ladron', testano ignudi.
Clazoniéne in bopn punto era.' vicina »
Cittade antica» e là drizzan suoi passim zo
Uom de le Mote amico, jcbc Ja gran pregio,
£d in ammirazion ha?e Simonidci
Di cui frequente leggea i carnai, in esso
S'arviene, e appena il suo parlar lo addita,
eh' aTÌdissimamente a ; $c . Iq • tcagge p,.,, . 1 f
£ vesti , e soldo , e servi a., lui destina .
Con la ubella il vitto acc^tan gli altri.
In «ssi a caso s!incWrò il .Poeta >
£ mec9i (toe, «eco. se tutto io serbo.
Da le cose rapite a tpì che resta?.
t 5
%Si> LiB. IV. Fat. XXU. 1 xxiir.
V
F A V O 1 A XXII,
Icino a partoriir , con alce grida ,
Tatto ti mdndo ileneà sospeió uà Monte;
A la fili- a'iisei 'UA Topo. ^ A te Ìd scrìssi «
Da cui grafi eòse attendo^ e oulh^ io Teggio.
P A V O L A XXttl.
V.- ' . .
- Là FarmUa-i U H9ns.
L RA U Mosca era inatta, e la Formica »
Chr di ìot sovrastasse^, acre concesa .
Si comincia la Mosca : ed ancor osi
Venir nièéb ii tenzone'*? AUor che s'ofiire
Vittima a' Dei, le riseere n',asiaggto .
fra gli altari io dimoro $ racapa a* Regi
Se m'è a gradò, m' assida; e' su i bei labbrì
De le casi'e^lrìàtrone id m' róttattengo ;
Nulla fatico, ed il miglior mi godo.
Ch*faai tu di soffliglievoie , villana? IO
Lo seder a la mensa de gli Dei
Reca gloria , egli é ver ; purché ne sia
Invitato, non già, se avuto a schifo*
LfB. IV. ÌAT. XXIII. E XXIV. 15 r
De le matrone i baci , e i re millanti ?
Quando bea mi ricorda , allor che il grano i j
Per il verno sollecita raccolgo.
Veduta averti d'ogni vii sozzura
Pascerti presso a' muti . Tu gli altari
frequenti; ma però se' giunta appena.
Che ti discaccian tosto: non lavori ^
Ma nulla hai pronto , ove bisogno il chiegga >
Ciò che vuoisi celar » commendi altera .
Mi disfidi la state , il verno taci ,
Allor che il freddo intirizzita a morte
T'adduce; nulla io soffro, e ricca casa a 5
Di «curo soggiorno mi provvede.
Ecco abbastanza tua alterigia doma.
^ Segna il racconto quei che finte lodi
S'arrogan, e coloro a cui vinude
Soda gloria comparte, ed onor vero. |o
FAVOLA XXIV.
Simcnid» tbg gli Dei pnsirv4n$ da morti.
Q
_Utl nasci giovamento da gli stu«lj
Fra gli uomini il narrai; or quanto i Numi
Gii omtftt' , dir a' posteti m'accingo.
* Per tener lodi a un vlncitor Atleta ,
uji LtB. IV. Fàv. JQHV,
SimoQide , éì cai parlai poc'aoKÌ,
Subiti il prezzo > e in loco cimo stn. gio;
Ma r argomento licTC a la feconda
Vena frenando il corso» ^1 si suole
Da' Poeti, licenza prende, e i doe
figli di. Leda >* che cangiarsi ÌB stelle, io
Frappose -, indi simil laude a V Atleta
le' derivar. S'approvò l'opra, e un terzo
De la mercede convenuu occeant • .
Richiesta l'altra, la daran risponde.
Quei eh' ebbero due parti di tue lodi s if
Àia perché disdegnato tu non parta^ ,
Polche i congiunti , ( e te a' congiunti cacato » )
•A la cena invitai, te pure invito..
Benché deluso, e l'onta alto il trafigga,
t Per non farsi l' Atleta in tutto avverso , ic»
Promette, e a l'ora destinau riede.
Siede a mensa t le tazze ^ l' apparato ,
lì convito, la casa empioo di gioja •
Quando repente due, pid che d'umano
Sembiaate, di sudor , ^i polve aspersi »
Impongono ad un servo , che il Poeta
Faccia si , che a lor Tenga incontinente ; ^
Giovargli assai i eh' e' aon frapponga indugio .
Si turbato gliel dice, che Simooide
In frettg parte: il piede ha fuori appena, ^o
Che cadtiido U volta rótti opprimo
LIB. IV. Iav. XXV. *33
Kè a la sporta più alcun gioTin si trora.
Come ciò si riseppe, ognun s'IiTTide
Che gli Dei fur tpt' due , che per mercede
De'lmo leocomj > gli donar' la TÌca. 35
M
FAVOLA XXV.
Oht) ancor mi rimane, e ad arte al lascio
Pria perché esser grar^ ad an , cut moke »
£ varie ingombran cure , io oonrassembrii
Poscia perchè s'a caso ad altri è in grado>
Coca! ttudj seguir , abbiane il come . $
Bencbé sia ricca la materia io guisa,
Che mancar questa anzi che possa a^,
Mancar vedrassi cfai.il iavor ne imprenda,
^uel premio, che a la nosrra brericade
Promettesti , io nchieggO; e quel che in roce io
Voler darmi dicesti , al fin mei dona .
Ogni dt pili si fa morte vicina,
£ quanto mi piolungfai i dooi^tuoi.
Tanto ne ruba il tempo: immantinente
Se li rechi, più ancor godronne il frutto, ly
Finche un po' dunque mi riman d' etade
Or or mancante, il tuo soccorso appresta.
Che pio, se mi sovvenga » allor che morce
x^if Lia. V. Prolooo
Udir le favolucce, eh' Esopèe »
Ko& più d* Esopo appello; ei fu di poche;
Dietro a sua scorta io son di molte autore:
Nuovo è il racconto» é la materia antica.
Se tu sovente , che sei meco erede , i ^
Le legga, e quanto a lai piace» le roda.
Se non puote imitarle , atro livore .
;Cl^ tu, ch'altri a te egual, ne'ifcricti suoi
Xe- mie baje frammetta ^ e degno m'abbia
Di lunga fama 5 assai di lode ottenni. io
De' Dotti il plàuso di dtrartie io bramo «
1 L' P O E T A.
^E in avvenir d'Esopo il nome incontri J^
Poiché a lui diedi ciò ch'io dar dovea^
Perché stima s' accresca a l'opra, il posi.
Siccome avviea, che a'tempi no«tri aggiugnére
Pregio al lavor se qualche artier desia, 5
Prasitele nel marmo ne fa autore ,
Ne 'l'argento Miroa. Mordace invidia.
Anzi che no buon pftsente , i . morti estolle .
Ma cotal favoietta s'iocomjlnci .
u
LiB. V. Fav, I, t|/
FAVOLA l.
JUmitrh , e Uinémdro .
Surpato d'Atene avea Io scettro
Demetrio Falerno . A gara , e in lolla >
Come costume ha 11 volgo , a lui s' accorre :
Soonano intorno a fioca roce 1 piansi .
I primari medesmi , ancorché angoscia ^ ^
De la mutata sorte il cuor lor ponga }
A h man, che gli aggrava > imprimon baci.
È quegli ancor > cui nulla oprare è cura ,
Perchè ad essi il mancar non sia dannoso,
£ qeasi a forza addotti , al fin vi Tanno . io
A questi, di Commedie illustre autore,
Ménandro, il di cui volto è ignoto >d Duce>
Che ti avea lette , ed ammirate V opre »
S' unlos sciolta é la veste : ondeggia il passo \ '
Moi^ d' unguenti è il crine . Il vede appena : i f
Chi è quel bagascion , dice , che ardisce
Farmisi innanzi? E' lo scrittor Ménandro^
Rispondono i vicin*: si cangia tosto.
M/tnc0 il fimtmenu.
»li LiB. y, Iat. iJL
F A y O L A II.
i Viémibmti f $ ti tndfé.
Jl Acean viaggio due compagni , un prode ,
Imbeile l'altro. Masnadier gli assale.
Chiede il danaro, o lor minaccia marce.
r Lo afferra il prode , e forza a forza opposta ,
{^ L* uccide incauto . Il vede l* altro appena , 5
Che acconci e spada impugna; e via gitt^taj
La Penola^ che il braccio rattenea> i K>^
Ove è il ribaldo? ( dice: ) mostrerogll
Con chi r ha presa. Almen cotale aita
Recato avèscù , il prode a lui soggiugne:
Ugual creduto a le parole il core, io
Pio valor «e la zaffa avrei dimostro .
Or tue folli minacce, e il ferro as.coodi.
Se chi non ti conobbe ingannar puoi:
lo che vidi ^al forza a fuggir abbia»
Al tuo valor so eh' affidar non dessi . i ^
^ Ne la favola mia colui ravviso ,
Che se prospera sorte arride , è Sottri
linahè pentie dubbiosa > é fuggitivo .
u
LiB. V. Uy. IIL * IV. iir
F AVO L A HI.
N Calvo» cui nei nudo capo puQsé
Uoa Mosca» sperando d* iscbiacclarla ,
Si die grave cef&u. Essa il dileggia:
Se merce dar si vuol per lieve oftesa,
Che fia reco > che danno e bef& incontri ì f
Meco in grazia ritorno agevolmente >
Perché lungi da oflesa è il mio pensi«re.
Ma te, animai malvagio, di vii razza.
Che il succhiar sangue uman rio piacer prendi.
Spegner vo* , come che più danno io n* abbia • io
^ Non egualmente eh' avvertita offesa ,
Quella ch'il caso fé*, punir si debbo.*
Ma pur da pena non la sciolsi unquanco.
F A V P L A IV.
VUùm^ , e V Asinù,
rjLD Ercole, da cui fu da rio morbo
Sottratto un Uom, e pria promise in voto ;
£ poscia in sacrificio un Porco ofFrioj
£ l'orzo, che re&tovvi , a^l'Asin porse;
£' si'l rigetta: il don mi fora grato.
)4o tiiu y. Fjiv. y.
Se chi se ne cibò , tì Fesse ancora • 5
^ La faToIecca tal timor m' incusse >
Che i perigliosi lucri ebbi in orrore .
Pur ricco e > dite » chi a c[uei d' altri agogna .
A color che perirò attendi » salvi
Fochi vedrai 9 far gli altri tratti a morte.
Dannosa a moki> utile audacia è a pochi, io
i^ A V O L A V.
Il Giullare , i il FilUno .
-Spesso i mortali tal furore ingombra»
Che ai preso inganno appigliansi tenaci.
Finché chiaro argomento il fallo scopra .
f- Cura d'illuseti giuochi un ricco prende;
£ perchè novità li renda accetti» • f
Di nuovo gioco oSre mercè a l'autore:
Di lode a la tenzon vengon gli artieri : ,
Fra questi per li suoi urbani motti
Noto GiuUar, tal ne promise» ch'un^
Per r addietro teatro aUun non vide. io
La fama tutta la cittade adunai
Fassi il teatro a la gran folla angusto .
Quando senza apparaiy^"» e senza attori
Solo in scena compare. Si procaccia
La stessa novità silenzio: il capo i)
LiB. V. FÀv. V. ^41
Repeoce m sen si. pooe, e fuor tramanda
Voce di Porco. tal > che tutti induce .
A pensare > che verro in seno asconda .
Cb* apra il mantel sigrrda. £i l'apre , e nulla
Vi si scopre: d'applausi il del rimbomba . 10
Vide il gioco w\ yillan> e afFé ( soggiugne )
Costui non l' arri rinta > e il di Tegnente ,
Che molto meglio egli è per farlo, accerta.
Maggior fassi il concorso i prevenuto
E* il volgo a favorir del primo il giuoco,, i^
Tal che al Villan per far scorno , s* asside .
£cc« entrambi : il Giullar primo grugnisce s
Suona a 1* intorno il plauso, e un lieto viva.
Alloc fingendo di coprir col manta
Un porcelletco > che di fatti avea 9 30
A lui strigne l'orecchia il Villan furbo,
£ n'esprime dolenti, ed alte grida.
Che il Giullar molto meglio imita il verre ,
£ che r altro si scacci , ognuno esclama .
Apre il seno il Villano > e mostra il p»rco , 55
£ sì additando de V error la prova ,
Ecco > dice , c[ual giudici voi sete .
M
IL POETA.
Olto da dir mi rimarrebbe ancora:
Si cotesta materia è ricca > e varia.
diFedrùUFav.T.U. (^
*4i I^s. V. Fiv. VI.
Ma fien grate, se pacca man le doni;
Se molte son , ci ofièodono le arguzie.
Per il che, coerede dabbeoissimo> ^
Nome» che vita avrà, finché alcun pregio
A le latine lettere rimanga »
'La brevità 9 se non l'ingegno, approva.
Tanto di lodt è degna , ^anto noja
Hanno i Poeti di reca^r costume . io
I A V O L A VX.
Dfte Calvi, ^
r .
JL Rovossl a .caso un pettine in istrada
Da un Calvo: ed ecco un altro Calvo accorte »
£ ciò eh* hai trovo dipartiam, gli dice.
Esso petttn dimostra > e tal favella :
Favorir volea il ciei» ma noi consente j
Invido fato: del tesoro in vece»
Cacbon (come suol dirsi ) ci si oflèrse*
A chi speme andò a vuoto adatto e ijl motto.
Lii. V. Fay. va 14)
f A V O L A VII
2l J^rmiife trombittien .
iJiHì per Ikye aura di te scesso prende
Opinioa^ ch*^ oltre il dorer lo estolle i
AgeTol fia ch^ befie e scherno incontri .
^ Fu in gualcite pregio un Tcombectier> di nome
PKiNCiPfi, dei eoi suono sul teatro» 5
Freijuente usar Bacillo area costume .
Mencre in palco s'aggira (ni in quai giochi
Ciò avvenne , mi sovvien ) la manca coscia >
Tal ei cadde, si ruppe immancinence >
Per cui due descri flaaci infraaci arrebbe, io
fra dolenci querele» e grida, a mano
Lo riportano a casa; indi a non moiri
Mesi y a guarir mencre incoriaiacia i il yoigo
De* spetcacor*» qual folle lor desio
£ capriccioso il vuol, loatcende al ballo, 15
Che dal suono di lui prendea vigore.
Tal, che ampli giochi celebrar desia,
Sa , che Principe é presso a risanarsi ;
Va, prega, ed offre, perché almcn la scena
Renda col solo comparir più lieca. io
Viene l'acceso giorno: ecco il teatro
fremer per lui : morto calun i' accerca ;
eh' a monetenci s'attende, altri assicoca.
£44 Un. V. Fav. Vm.
Tolto il Sipario » tertnmatt I tuoni >
Qual peregria costume il vuol, parlata tf
Avean gì* Iddìi y ailor che il noto canto
Ai Trombetta s' impone , ed era qnesto : i
Ti allegra , o Roma : hai salvo il Trtnce : Voce
Risuona , che il teatro empie d^ gio/a.^
Ad onor suo (o reca il buod Trombetta , jo !
Ed a gli spettacòr' fa baciamani . \
L'ordin Equestre il Folle error conosce >
£ con gran risa impone , che s' intuoai
Di nuovo il canto.- ai suòlo il buon Trombetta
Si profonde col volto: a lui fan plauso 5^
Con piacevole festa i Cavalieri :
Che chiegga la corona il volgo stima ;
Ma poiché sua sciocchezza ognun comprese »
Candida benda in van la coscia avvolge ,
In van bianca ha la veste , e bianco il piede : 40
Che presolo . pe' crin* , lo %ccian fuori •
Né a lui giovaro le onorate insegne,
Di cui ne va l'Augusta Casa aitera.
FAVOLA Vili. j
V Occasione difiofs.
LilevQ il corso, la man di ferro armata» j
Chioma a ia fronte, e capo> e CQrpo ignudo >
Lia. V. Fav. IX. a X. i^l
Che se una Tolta preso avvien che sfugga > '
Né pur se Grore il segua , afFerrar puote $
La Brere simboleggta > e fuggitiva ^
Occasìon de le mondane cose.
Perchè dun^e del booa voler lo efFecto
Pigrizia non ne rubbi> i nostri Padri
Cotal del Tempo immagine ci diero .
FAVOLA IX.
2l TcrCi $ il Vi$$lh.
L Ornar per fóro angusto al suo presepe
Poteva appena, e sol cozzando un Toro.
Un yitel> che s'inchini lo consiglia:
Taci , ei risponde s anzi che tu nascessi
Io già il sapeva . ^ II motto a quello è adatto , 5
Che un pia saggio di se corregge» e ammenda.
u
FAVOLA X.
Il CuccUtùrey $ il Cane.
N Can, cui non poteo veruna fiera
Star a fronte > al padron mai sempre accetto ^
Con r etade il primier valor perdette .
Un giorno dietro ad un Cignal lasciai»»
14^ 1.1»^ V. ìat. X.
Tosco r azzanna} ma da* rosi dead >
lugge franca la fiera, e si iloselva.'
Irato II caccìator , lo sgrida* li Tccchio
Si latrando soggiugne : ti deluse
Non r animo, il raloc: ciò che già fui,
Ck>mniendi, e quel ch'or pia non soo^ coadanni» la
'^ Perché iociò scriva hcn » Fileto > U redi «
21 Emi del lihé Qjuht^.
»47
APPENDICE
DELLE FA V O L E
D I
FÉ D R
Va un mtteo Mémcscritta
D A
MARQUARDO GUDIO
TRASCRITTE
I A Y>--0 LAI.
il Nibbio malato.
jLf K molti mesi infermo, oltra speranza
Ornai reggendo la saa rita un Nibbio,
Prega la madre, che a camparlo, imprenda
Lunghìi pellegrinaggi , nd offra Toti .
Ella, dice, il farp, ma temo, in vana.
Ttt profanasù i sacri luoghi , e a Vai«
a 4
14S Appsndic£ Lib. y. Fat. Il e Ut
Le vittime Inrolasti : or con qaal fronte;
Per trarci di periglio , pregar deggio ?
FAVOLA II.
Xt Le fri attediatesi di vivere^
V>iHi non sa sofferir le sue sciagure,
L' altrui rimiri » e tolleranza apprenda •
^ Da gran fracasso ài bosco spaventate
Le Lepri un giorno , orsù ( disser } fia meglio ,
Che tronchi morte alfin giorni si gravi . f
Mentre van duntjue a immergersi in un lago>
Spaventate al lor giugnere le rane ,
Si nascondon fra l'alghe a la rinfusa.
Un Lepre allor: altri in eguale affanno
Vivono pur: con lor del par vivete. io
N
F A .V O L A III,
L0 Volpe > e Giove .
On ha fortuna si leggiadro manto >
Che una malvagia e Ha natura asconda.
^ Di volto uman resa una Volpe adorna ^
Nel toro accolta riceva da Giove
Trono regaL S' asside» e un bacheiozzo \
ApMNDIC£ LlB. V. FAv. ÌY. 24^
Da un angolo spaotar Tecle> e repeate
Si i^Qcia , e il piglia .' Risero gli Dei >
N'arrossì Giove, che dal regio trono >
fi dal ciel con tai motti la sbaidio.
Vivi qual metti, al compartito onore
Se apprender non sapesti ugual costume ;
FAVOLA IV.
// Uime , € il Sorcio •
Jl\. Non ofFcndere 1 minori insegna
La favola. ^ Dormendo ne la selva
Un Leon« mentre a lui gtocan d'intorno
I villerecci sorci, un d'essi a caso
Sopra gli passa., e Io risveglia: pronto $
II Leone lo arresta .* ci d* imprudenza
Reo si' confessa , ed il perdon ne chiede •
Vede il Leon da regio onor lontana
Gotal vendetta , e mite a lui perdona .
Indi a poco di notte, mentre ei preda > 19
Cerca a 1* intorno , ne la fossa inciampa .
Tosto che preso si conosce, al cielo
Alza i ruggiti» al cui rimbombo orrendo
Accorso il Sorcio > ogni timor deponi ,
Gli dice : il mio sta coi tuo dono a fronte t i e
E imaiaatiQeote tutti e kcci) e nodi
Ricerca > e rode , e il L0O& leade al boicm:
3F A V O L A V.
L'XUm», # 5U Alktri,
L £re chi al suo oemtco tjuto ajppresta .
^ Aveva uq uom fatta un'accetta , e il manico^
Pet forte averlo,, a gli alberi richiese •
Essi concordi eleggon i' Olivastro .
S'accetta il dono, e fattane la scure,
I roveri pid annosi e sceglie , e atterra •
II Frassino a la Quercia in coraì motti
£' fama» che parlò: giusto e lo scempio;
IL JF I N £•
Qui si è creduto bene di aggiungere due
Indici j r uno Italiano , V altro Hàfi^
no ; e ciò per agevolare agli studio»
il confronto delle due lingue , ^mndo
volessero consultar V origimle.^ .
t
IN DE X
FAB ULAR UM
P B JE D R I.
j^UaSùfus Md gamnlum .
JEsopus ludens .
MsopHs interpres test^meun .
JEsopus (3^ pitulans,
JEsopus er rusticus.
Agnus et captllis nutritut.
^Jignus ad Amphovam .
^Jlpes ty fuci vespa judice .
AquiUy cofnix &* testudo .
jiquUu y folti (sr aper .
Arbores in deorum tutela .
\Astnus ad senem pattorem •
jisinus csr Galli.
Asinus tsr leo venantes,
Jisinus irridens aprum .,
Cisar Md atriensem .
«fr
INDI C E
DELLE FAVOLE
D I
FEDRO.
Es
iSopo td un ciarlone • to>
Esopo che giaoca. 104
Esopo interprete d'un testamento. j^4
Esopo e un petulante. 156
Esopo, e 11 Villano. j^4
L'Agnello nutrito dalle Capre* zo^
La Vecchia ali* anfora . \j ^ x
Le Api e i Fuchi al tribunale della Vespa . 205
L' Aquila , la Cornacchia , e la Testuggine . 'it6
V Aquila , la Gatta > e la Scrofa selraggià • i S 5
GH Alberi in tutela degli Dei. zOj
L'Asino al vecchio pastore. . x6tf
V Asino e i Galli Sacerdoti di Gibele . ao^
L'Asino e il Leone che vanno a caccia* 1^5
V Asino mottegiatore del Cignale . 17 7
Cesare al custode dell'atrio. " 184
i
t^ttlvus or musié •
Ct^num legati ad Jov$m.
Canis Cf efoeodilHs.
Canis & lupus .
Cgmis fide li s .
Canis nuttms .
fCMnis parturifns,
Cétnisy thesaurus t^ vulturim^
Cap^lU er bìrci .
Cwvus ty boves .
Cicdda ty nc^uM^
Cervus ad fontem.,
T>em$trius &* Menandet,
£quus tsr aper .
TLun$uhus ad improbum •
dèrmica cr musca •
^féUer C5* sor^r .
ymr aram compilans •
KSraculus suptrhm,
Cuhemator ty nauta é
JSercules ad Jovem .
Homo &* asinmt .
H9mo C* canis .
Homo e* colubra*
Uomo cr arhores»
Calvo e la Mosca. i5y
Calvi . 24X
ni famelici. ^71
Ambasciatori de* Cani a Giove» 114
ane e il Cocodiillo. 274
ane e il Lupo . t^j
ane fedele. 173
;oe che porta la carne per lo fiamt» i^t
lagna partoriente. 170
me , il Tesoro e V Avoltòjo» 17^
lapre e i fiecchi. a, a 5
:r?o e i Buoi. tSjr
;rvo alla fonte . 1 ^S
icala e la Civetta: aotf
^trio e Meoandro. 237
.vallo e il Cignale. xr|
meo ad un malvagio. 2.0 1
trmica e la Mosca. 230
icello e la Sorella. 19Z
àio che spoglia 1* altare . xi^
ornacchia superba e il Pavoot • 2i&
oto e i Naviganti . 124^
: a Giove . 11 a
mo e r Asino. 139
no e il Cane. 181
310 e il Serpe. iztf
mo e gli Arbori. ao^
»f^;
t$9 ttgnans ;
Lio sapiens .
Leo senio confeBus »
Leo (y mus,
Lepores viu pertoesì .
LftpHs (gr Agnus,
Lupus (T gruif.
Lupus er vulpist judiee simio l
Margarita in sterquilinio.
liilvus cr columba,
Mijsffus Agrotans .
^ons parturiens .
Mstlier partariens ,
Muli IT latrones .
Musca ty mula.
Mustela & homo «
Mustela er mutes.
Occasio depista.
Ovis canis O* lupus •
Ovi's C9* cervus ,
Tanthira c^ pastous .
Master Ì3r> lepus ,
iPavo ad Junonem.
Thédrus in fabularum censores .
Vrineeps tibicen,
Pugna murium & mustelarum .
B^ina rupta.
'V
il Leone regnanto 4 -
xii
Il Leone saggio .
21>
Il Leone yecchio .
I7X
Il Leone e il Sorcio .
14^
Le Lepri attediatesi di TiTire .
248
Il Lupo e r Agnello .
i^o
Il Lupo • la Grae.
i6l
L •
loro giudice.
Ii4
La Gioja nelle immondezze.
»Oj
Il Nibbio malato.
i«
Il Nibbio e le Colofnbe.
n»
Il Monte partoriente.
230
La Donna partoriente.
J70
I Muli e i Ladroivi •
iS7
La Mosca e la Mula.
196
La Donnola e Tuomo.
ifZ
la Donnola e i Topi.
xtt
L'occasione dipinta.
ii7
La Pecora > il Cane e il Lupo;
169
11 Cerro e la Pecora .
Jtfj,
La Pantera e i Pastori.
^9i
Il Passere e la Lepre.
JU
Il Parone e Giunone .
108
Fedro contra i detrattori delle j^arole.
»jr
Principe Trombettiere.
14X
Il Combattimento de* Topi e delle Donnole • 1
iij(
di lidTQ h Fw. T, XXIU. R
JLAni, ad ver SMS solerne
]SLan£ metuenses taurofum ^r^f.
B.anA rej^ém fitentes .
^s gesta sub Augusto^
Seurra (5* rfestieus,
Simil caput,
Sìmenides a diis s^fvatus,
SJmonidJls »juifMjium,
Soeratis di^um .
Sutor m^dicus .
TaMfus er vitulus .
Vacca y cafella » pvis ^^3^1^0 1
Venator ty canti ,
Viatores Cf latro .
Vipera C9* lima,
Vulfis or aquila .
Vulpis tsr ciconia .
Vulfis ey corvus .
Vulpis ©• draeo .
^tf/^ix e* hirctés.
Vulpis er *v>».
r«/^fV Ai^ persenam tragiean^
Vulpis »• Jupiter.
I I N I S,
la Rana crepata. ' 174
Qtierela delle Kant contro al SoleT ^^^
Le Rane che temono r^^mbattimtnti de* Tori • 17S
Le Rane che chiedono ^ Re , x ^o
Fatto succeduto nell' impelo d* Augusto • 1 7 S
Il piallare e 11 Villano. 140
il Capo della Scimmia . 19$
Simonide che gli Dei preseryano ^ morte. 13 1
Il Naufragio di Simonide. 2i8|
Detto di Socrate. i^>
II Ciabattino fintosi medico; x6j
Il Toro e il Vitello. Ì45
La Vacca, la Capra» la Pecora e il JLeone; j6x
Il Cacciatore e il Cane. ' J81
I Viandanti è il Ladro , asS
La Vipera e la Lima . ' ^^^
La Volpe e l'Aquila . 17^
La Volpe e la Cicogna. 27 s
La Volpe e il Corto. J^7
La Volpe è il Drago. *i^.
La Volpe e il Becco •
La Volpe e l'UVa. aia
La Volpe e la maschera o sia faccia 4^ sctna • 1^3
La^V&lpe e 6io?e. »4«
IL FINE.
IV
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